HomeVISIONIRecensioniAtlante XXVII – Editoria e drammaturgia: tre testi di Claudio Tolcachir

Atlante XXVII – Editoria e drammaturgia: tre testi di Claudio Tolcachir

Familia Coleman – foto timbre4

Uno dei motori per la crescita di un paese è il contatto, la contaminazione con altre culture. Attraverso la creazione, ossia ciò che l’uomo modella a partire dalla propria realtà, noi conosciamo. Il teatro, il buon teatro, è il luogo che meglio di ogni altro rappresenta una comunità, perché pone di fronte alla realtà uno specchio indiretto, che diremmo drammatizzato, in grado cioè di restituire nell’immagine il visibile e l’invisibile, la realtà completa. Per tutto questo il lavoro editoriale, che scova nel mondo la creatività e trasmette quindi l’espressione di una realtà d’appartenenza, è decisivo anche quando si situa nella marginalità di esperienze minute e varca gli oceani su malsicure imbarcazioni sperimentali.

È il caso di Editoria & Spettacolo, casa editrice fondata e diretta da Maximilian La Monica, che assieme a poche altre sta tenendo viva l’editoria teatrale, e più nello specifico di un volume fondamentale che prende ora corpo e costituisce la prima pubblicazione italiana dell’opera del “teatrista” argentino Claudio Tolcachir (visto in azione come maestro per la formazione all’ultima Biennale di Venezia) e della sua compagnia Timbre4, una trilogia di testi curata dalla studiosa e critica Silvia Mei, che ne introduce per noi la figura inquadrandola nel panorama teatrale d’origine.

Primo valore di questo libro è infatti in pari con una caratteristica determinante al fine di comprendere, assieme, testi e contesti: il teatro argentino è del tutto immanente, nasce non per sofisticazione ma per espressione diretta della realtà concreta, una trasformazione che dunque non può prescindere dalle città e dai luoghi in genere, dai nuclei in cui essi si conchiudono, dalle dinamiche sociali in cui si manifestano. Silvia Mei fornisce una testimonianza diretta di quanto esso sia connaturato all’evoluzione storica del territorio, più precisamente della città di Buenos Aires in cui ha sede. Lo stesso nome di compagnia Timbre4, che traduciamo “campanello 4”, prende dal quartiere, dalla casa, una porzione di mondo da focalizzare e restituire in mondi altri: in questo luogo nasce l’opera di Tolcachir, dalla natura di teatro-casa che è rimasta intatta, come si evince dalle sue parole, anche quando i suoi spettacoli hanno iniziato a girare fuori dall’Argentina, come se gli attori tenessero attorno una sorta di scenografia memoriale, fantasmatica, intimamente connessa alle loro azioni.

Tre i testi tradotti da Rosaria Ruffini, per questa che si definisce Una trilogia del living e che ha il primato di essere in assoluto la prima raccolta completa. Il primo risale al 2005, anno in cui Tolcachir integra le sue regie e la sua carriera di attore con la scrittura di testi di propria messa in scena. Si tratta de L’omissione della famiglia Coleman, cui seguono Terzo corpo (la storia di un intento assurdo) e la penultima produzione della compagnia, Il vento in un violino – il più recente Emilia non ha ancora avuto una circolazione italiana. La forza di questi testi ricade ancora nel suo legame con la terra che li ha originati: l’Argentina è un paese che ha conosciuto una recente dittatura e, negli anni successivi, la difficile relazione con essa, i suoi processi, le sue – non a caso – “omissioni”. Negli stessi anni, i primi del nuovo secolo, in cui si andavano svelando i misteri atroci che al paese soggiacevano, il noto crollo economico che ha dato avvio alla crisi mondiale fu un evento di inarrestabile emergenza. In tale condizione, dunque, si inizia ad affermare una generazione di “teatristi” (oltre Tolcachir, da noi il più noto è Rafael Spregelburd) che di questa geografia di diverse ferite dà conto, e lo fa affondando negli interni familiari, ossia nelle pieghe della società fino ai suoi nuclei più ristretti.

la copertina del volume

Questo contesto produce una scrittura quasi per suppurazione della realtà in una materia altra, di altra consistenza ma per questo interiormente congenita a quella realtà. Un teatro di tanti personaggi che producono un’espressione violenta, nelle parole e nelle situazioni, un rasoio affilato fatto di frasi brevi che nel contesto, negli interni familiari, ricadono come capi d’accusa e si conservano nella messa in scena (come dimostra il comparto iconografico a fine volume) proprio in virtù del loro generarsi dall’intimità dell’attore, cui il drammaturgo soltanto concede ordine.
Nasce dal realismo ma in esso non si conclude, dunque, la drammaturgia porteña. Mette in campo l’abbandono e la rassegnazione, un disagio che calato nella realtà concreta si fa per astrazione atemporale, è astorico. In questo la drammaturgia di Tolcachir sa diventare da forma di resistenza una forma di ri-esistenza, perché mettendo in scena tali sentimenti se ne allontana, li considera con il filtro della drammatizzazione, il distacco della messa in arte.

L’Italia sta producendo, anche nelle sue migliori espressioni, una drammaturgia intorpidita e ripiegata su sé stessa (come rileva anche Renato Palazzi in un recente articolo su Il Sole 24 Ore del 31 marzo 2013), da un lato nella sua dispersione negli psicologismi e dall’altro nel fraintendimento di un realismo appiattito sul reale, senza spessore. L’Italia che ha saputo permettersi una poesia romana dalle influenze ellenistiche, che ha codificato una lingua nazionale dalla volgarizzazione del latino, saprà contaminarsi da esperienze lontane per riconoscere e riprodurre ciò che le è – fin troppo – vicino?

Simone Nebbia

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CLAUDIO TOLCACHIR/TIMBRE4
Una trilogia del living
cura Silvia Mei
editore Editoria & Spettacolo
collana Spaesamenti

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Info su www.timbre4.com

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