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Sandokan: immaginazione e gioco dei Sacchi di Sabbia

Passa finalmente da Roma uno degli spettacoli di maggior successo della compagnia tosco-napoletana I Sacchi di Sabbia, Sandokan – o la fine dell’avventura. Ad ospitarlo il Teatro Biblioteca del Quarticciolo, uno dei due teatri di cintura in gestione allo stabile romano, che dalla recente apertura ha dato prova, insieme al “gemello” Teatro di Tor Bella Monaca, di sorprendente vitalità. Scelte “politicamente corrette” quelle dei cartelloni di periferia, rivolte soprattutto al recupero di un pubblico che per troppi anni è stato tenuto a margine. La direzione interessante è stata però nel non dirottare su questi due modesti palchi i “classici” che invece – purtroppo – affollano il palco dell’Argentina, optando piuttosto per una programmazione apparentemente “meno borghese”, aperta a un bacino d’udienza auspicabilmente più ampio, che include diverse generazioni e diversi background culturali, dagli immigrati alle famiglie dei lavoratori di zona. Questa è la compagnia di cui si gode sedendosi in queste nuove platee, non sempre stracolme di gente ma di certo riempite da chi a teatro “ci vuole” andare (più che “ci deve”).

Per cominciare a leggere un romanzo, non c’è niente di meglio, per i bambini, che partire dall’avventura. Il Jack London di Zanna Bianca, Il richiamo della foresta e Capitani Coraggiosi, il Mark Twain di Tom Sawyer e Huckleberry Finn, il Ruyard Kipling di e Il libro della giungla. E naturalmente l’Emilio Salgari dell’epopea dei pirati della Malesia. Figura a cavallo tra storia e leggenda, Sandokan incarna tutta la mitologia del furfante dal cuore d’oro. Avidità, vendetta, sete d’avventura ma anche amicizia, lealtà, amore, sacrificio e lotta all’ingiustizia: Sandokan è il prototipo del rivoluzionario. Salgari compone il cosiddetto “ciclo indo-malese” a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, mentre in Italia registrava le scosse di assestamento dell’Unità e in Europa si facevano le prove generali per la Grande Guerra. Sandokan non era (meglio, non sarebbe stato) soltanto un personaggio da fumetto, un prodotto commerciale, ma la materializzazione di tutti i sogni proibiti di donne e uomini. Di carattere sentimentale, certo, ma prima di tutto politico.

I Sacchi di Sabbia si confermano una  compagnia assolutamente unica. Se di recente il loro ultimo esperimento Don Giovanni di W. A. Mozart aveva lasciato stupefatto il pubblico con una sorta di riassunto neanche troppo sintetico della celebre opera completamente interpretata da nove cant/attori alle prese con melodie e rumori (il libretto era solo nei sottotitoli), andare a ritroso nella loro teatrografia risulta illuminante. Sandokan porta in scena quattro attori e un’attrice. Tutti intorno a un tavolo da cucina. Verdure, ortaggi, coltelli, utensili e grembiuli diverranno oggetti di scena, materiale scenografico e addirittura personaggi. Stralci del testo originale de Le tigri di Mompracem saranno usati quasi come pretesto, spesso chiusi a chiave in intonazioni assolutamente trasversali. Come quando, nei laboratori di recitazione, si usano parole a caso o numeri al posto di un testo drammatico. In questo caso la cifra stilistica è estremamente complessa e sembra giocare attorno alla tesi secondo cui un testo e il suo contenuto sono materiali assolutamente corruttibili, al totale servizio di altre costanti: fisicità, ritmo e transfer sugli oggetti.

Questi ultimi si fanno il vero e proprio veicolo del racconto, che riesce ad articolarsi includendo decine di personaggi e senza alcun pericolo di confusione anche quando a cambiare repentinamente sono i luoghi e i tempi. Così un doppio inseguimento nella giungla è rappresentato dai volti che fanno capolino tra ciuffi di cicoria, il temibile equipaggio di Sandokan sono fameliche patate, carote sanguinarie e spietate zucchine e basta un ciuffo di prezzemolo tra i capelli a far apparire la meravigliosa Marianna Guillok, la Perla di Labuan.
Se da un lato questo Sandokan può essere una sorta di circo per bambini, uno spettacolo di teatro ragazzi in cui a dettare legge è la potenza senza freno dell’immaginazione e il gusto nobile per il piccolo grande divertimento, un adulto – forse soprattutto se appassionato di teatro e spettatore abituale – può ritrovarvi il bandolo di quel ragionamento complesso sul rapporto tra drammaturgia, attore e convenzione poetica che è alla base dell’energia unica del teatro. Di bambini in sala ce n’è un agguerrita delegazione, che non manca di “disturbare” gli attori ma che non perde mai davvero l’attenzione. Ed è tutto dire. Per quanto riguarda il resto del pubblico, è ovvio che la riflessione degli autori è particolarmente sottile e di certo individuabile meglio da chi il teatro lo conosce da vicino, giocando con l’aspettativa degli spettatori e la loro meraviglia di fronte all’uso così radicale di un terzo elemento estraneo come medium tra contenuto ed effetto. Se nel Don Giovanni erano i rumori, qui sono gli ortaggi. In entrambi i casi si tratta di elementi inseriti a forza in un contesto che non li richiederebbe, ma che hanno una propria consistenza semiotica. Lì acustica, qui materica, sono linguaggio di un’animazione. Ed ecco che mentre ci divertiamo a seguire un improbabile pirata nelle sue avventure e veniamo rapiti da un senso del ritmo e della musicalità eccezionali, abbiamo imparato qualcosa di più sull’estetica della narrazione e sul teatro come mezzo per un’immaginazione critica.

Michelle Martini

visto l’11 gennaio 2011
Teatro Quarticciolo
Roma

Sandokan, o la fine dell’avventura
da “Le Tigri di Mompracem” di Emilio Salgari
scrittura scenica Giovanni Guerrieri
con la collaborazione di Giulia Gallo e Giulia Solano
con Gabriele Carli, Giulia Gallo, Giovanni Guerrieri, Enzo Illiano, Giulia Solano

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