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MANIFESTUS (Jacopo Jenna e Mattia Quintavalle SLY)

Questa recensione fa parte di Cordelia di luglio-agosto 25

Foto Gabriel Ledda

Non so se Jacopo Jenna abbia mail letto L’elogio della mano di Henri Focillon (l’autore di Vita delle forme, il libro più bello scoperto negli anni d’università): qui la mano è strumento capace di meglio cogliere le sfumature della realtà, oltre le forme apparenti; è volontà, scelta, azione e garanzia del processo creativo; techne di un fare con arte e perizia come un sapere dell’esperienza. Manifestus, il nuovo progetto di Jenna (in tandem con Mattia Quintavalle SLY) «sull’utilizzo composito, ritmico, plastico, relazionale del movimento delle mani e delle articolazioni delle braccia», sembra indirettamente dialogare con questo elogio di Focillon. O forse con quello di Roland Barthes, che chiamava danza della mano la calligrafia come una continua negoziazione del peso con il movimento del polso sulla carta. Nella Chiesa di San Giovanni a Bassano, tre formidabili street dancer hanno dato vita a ciò che nelle mani e nelle braccia si palesa, si manifesta: Simone De Giovanni, Petra Audrey Mangoua Youaleu, e Phex, hanno clickato le articolazioni, incrociato geometrie, vaporizzato le pulsazioni e i battiti dei polsi, incatenato attimi veloci in schematici port de bras, frantumato assi anatomiche, vettori corporei, tattiche di prossimità. Tutto qui è ibrido e alieno a quel che più comunemente è atteso in un festival di danza, eppure nulla viene rivendicato o gridato come in cerca di affermazione. Grazie alla computer music di Bienoise (ossia Alberto Ricca) i tre danzatori si allineano, si accentrano, costruiscono lo spazio intorno, anche si liberano in momenti solistici, in genere brevi perché non è una esibizione in corso ma una vera fuga polifonica, il cui contrappunto è questa scrittura fisica dalle tonalità urbane e dalle mosse semi-acrobatiche, in una iperframmentazione delle linee che trasformano il movimento in un codice alternativo, riconoscibilissimo, eppure inattingibile se non posseduto. Ma è la ricchezza della composizione coreografica radicata nell’uso del corpo, nella frammentazione dei suoi centri, nella variazione del materiale tematico continuamente generato («il contrappunto è già nel corpo» dice Forsythe), a emancipare ogni materiale, ogni idea, e rendere tutto manifesto. Imperdibile. (Stefano Tomassini)

Visto alla Chiesa di San Giovanni con: deazione, coreografia, regia Jacopo Jenna collaborazione alla coreografia Mattia Quintavalle SLY danza Simone De Giovanni, Petra Audrey Mangoua Youaleu, Phex
suono Alberto Ricca / Bienoise direzione tecnica e luci Mattia Bagnoli organizzazione Luisa Zuffo
produzione Klm – Kinkaleri con il supporto di OperaEstate Festival, MilanOltre Festival, Fabbrica Europa

Cordelia, luglio-agosto 2025

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Stefano Tomassini
Stefano Tomassini
Insegna studi di danza e coreografici presso l’Università Iuav di Venezia. Nel 2008-2009 è stato Fulbright-Schuman Research Scholar (NYC); nel 2010 Scholar-in-Residence presso l’Archivio del Jacob’s Pillow Dance Festival (Lee, Mass.) e nel 2011, Associate Research Scholar presso l’Italian Academy for Advanced Studies in America, Columbia University (NYC). Dal 2021 è membro onorario dell’Associazione Danzare Cecchetti ANCEC Italia. Nel 2018 ha pubblicato la monografia Tempo fermo. Danza e performance alla prova dell’impossibile (Scalpendi) e, più di recente, con lo stesso editore, Tempo perso. Danza e coreografia dello stare fermi.

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