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OGNI CREATURA È UN POPOLO (Grandi Magazzini Criminali)

Questa recensione fa parte di Cordelia di luglio-agosto 25

Il volto ombroso di Romeo Castellucci veglia sulla Sala Comando di Centrale Fies. Ai suoi lati, un edificio distrutto nella Striscia di Gaza e il Teatro alla Scala bombardato durante la Seconda guerra mondiale. Davanti, un cumulo di 400 mattoni dell’ex Fornace Smorlesi a Valle Cascia, luogo di provenienza dei componenti dei Grandi Magazzini Criminali. Sono le varie sfaccettature dell’eredità che la giovane compagnia marchigiana mette in discussione sulla scena, collegando la violenza post-colonialista foraggiata dall’Occidente, un modello industriale ed economico al collasso, il teatro in guerra e «la guerra al teatro» – cito Giorgiomaria Cornelio – di Romeo Castellucci, il cui metodo analogico e combinatorio sembra essere stato preso a prestito, ispirando tra le altre cose la presenza di due bambini tra l’estenuato (Linda Baldantoni) e lo schizoide (Andrea Giannoni). Come in un’installazione di Castellucci, i segni sembrano non avere più alcun valore intrinseco: non è un caso che, verso la fine dello spettacolo, venga dichiarato che tutto quello che compare sulla scena sia acquistabile. A differenza di un’installazione di Castellucci, però, questa inconsistenza del segno è esplicitamente manifestata: Cornelio e Danilo Maglio ce lo comunicano nel modo più chiaro possibile, mentre Giulia Pigliapoco allestisce il banchetto del merchandising. In vendita c’è addirittura una pubblicazione, edita da Nero, per ulteriori approfondimenti, mentre all’uscita sono esposti i libri che hanno guidato l’operazione (Gilles Deleuze e Bifo su tutti). La bellezza delle corrispondenze sta nel loro mistero, nel loro esclusivo desiderio di esplodere. Esplicitandole a forza di buone letture le si sciupa e se ne mostra l’ovvia illogicità. C’è l’impressione di stare di fronte alla bandiera di un oscuro paese sconosciuto, uno di quelli appena nati a seguito di un colpo di Stato militare (il “Burmini libero” della prima stagione di Boris): un forte desiderio di significazione, alcuni altolocati consensi, pochissima riconoscibilità.  (Matteo Valentini)

Visto Centrale Fies. Radical Love da un’idea di Giorgiomaria Cornelio | un progetto di GRANDI MAGAZZINI CRIMINALI (Giorgiomaria Cornelio, Danilo Maglio e Giulia Pigliapoco) | regia di Giorgiomaria Cornelio e Danilo Maglio | scrittura di scena Giorgiomaria Cornelio | con Linda Baldantoni, Giorgiomaria Cornelio, Andrea Giannoni e Giulia Pigliapoco | musiche Enrico Bordoni | costumi Mavranyma e Franko b | segno Giuditta Chiaraluce | cura della produzione Giulia Pigliapoco | produzione MARCHE TEATRO con il sostegno di Congerie | progetto sostenuto da Fondo, network coordinato da Santarcangelo dei Teatri e sviluppato con AMAT Associazione Marchigiana Attività Teatrali, Centrale Fies, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Fondazione Fabbrica Europa per le arti contemporanee, Fondazione I Teatri – Reggio Emilia, Fuorimargine / Centro di produzione della danza in Sardegna, L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino | Centro di Residenza Emilia-Romagna, Lavanderia a Vapore / Fondazione Piemonte dal Vivo, OperaEstate Festival Veneto / CSC Centro per la Scena Contemporanea, Ravenna Teatro, SCARTI Centro di Produzione Teatrale d’Innovazione della Liguria, Teatro Pubblico Campano, Teatro Pubblico Pugliese – Consorzio Regionale per le Arti e la Cultura, Teatro Stabile dell’Umbria, Triennale Milano Teatro

Cordelia, luglio-agosto 2025

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Matteo Valentini
Matteo Valentini
Matteo Valentini ha conseguito una laurea in Letterature moderne e un dottorato in Storia dell’arte contemporanea presso l’Università degli studi di Genova. È tra i fondatori dell’Oca – Osservatorio Critico Autogestito, webzine di critica teatrale, e collabora anche con Hystrio e Teatro e Critica. È docente di ruolo di Italiano e Storia presso il Convitto Nazionale Longone di Milano.

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