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Bipiani all’Infinito. L’oro di Ponticelli

Ai Bipiani di Ponticelli in scena ancora un movimento del progetto #Foodistribution dal titolo Infinito ∞ / La foglia d’oro, curato da Manovalanza Teatro e presentato all’interno del Campania Teatro Festival. Recensione

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Ove per poco il cor non si spaura. Giacomo Leopardi, che osserva da un punto definito e noto ciò che non appare e non conosce del suo Infinito, in un preciso verso della sua poesia lo dice chiaramente: ci manca poco che il cuore non si spaventi, perché abbandonare il noto per l’ignoto non è un passaggio così semplice, come tuffarsi nel vuoto, staccare da terra il corpo e l’ombra al seguito, per essere poi del vento e dell’altrove. È a questo verso di Leopardi che sembra guardare il settimo capitolo del progetto #Foodistribution, firmato da Manovalanza Teatro di Adriana Follieri e Davide Scognamiglio con le e gli abitanti dei Bipiani di Ponticelli, nella periferia est di Napoli, presentato all’interno del Campania Teatro Festival. Infinito ∞ / La foglia d’oro, dopo il precedente Exaudi realizzato negli anni recenti, continua a riflettere sul connotato artistico di una esigenza (non diremo, qui, emergenza) abitativa, messa a fuoco negli anni della trasformazione: dai capannoni di fortuna costruiti dopo il terremoto del 1980, dall’altro lato di Via Isidoro Fuortes è attivo il cantiere del Comune di Napoli che sta costruendo le nuove case direttamente assegnate agli abitanti. Ma – la domanda è il fulcro del nuovo nucleo di riflessione – come si passa da uno stato precedente al successivo? Cosa si perde e cosa si conserva?

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È una campana che squarcia il buio attorno ai capannoni azzurri, i rintocchi cadenzati di una campana a morto, nella regia orchestrale di Adriana Follieri, segnano il tempo in questo luogo che con la morte, a causa dell’amianto di cui i blocchi sono composti, ha dovuto fare i conti a lungo; tace, ogni altro rumore. Un uomo è seduto su una sedia, posta nel piazzale sterrato che fa da spazio scenico, accende un fuoco che inizia a dilagare da un rametto all’altro, lentamente; l’odore del fuoco, che il vento spinge nell’aria attorno, inizia a fluire verso il pubblico; una bambina se ne sta poggiata a una piccola parete in fondo, davanti a lei una poltrona semidistrutta, una di quelle che mai sarebbe messa in un salotto di casa, ma forse qui in scena sì, come simbolo ricorrente di una difficile separazione tra dentro e fuori.

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Lo stesso spazio scenico è ora largo ad anfiteatro sul cemento sterrato, mentre invece in Exaudi posto in verticale lungo uno dei corridoi tra i capannoni, così la disposizione del pubblico segue un identico schema: allora una tribuna, vuota alle spalle verso la strada, saliva in altezza a schiacciare visivamente le azioni a terra, ora la forma semicircolare della tribuna, velata stavolta da un telo appena trasparente dietro al pubblico, abbraccia la scena, permettendo di sviluppare anche delle azioni verso l’alto, poste su una impalcatura tubolare sopraelevata che fa da fondale. Questa disposizione, con molte fughe laterali e la visione libera nella profondità, impedisce realmente di delimitare il dentro e il fuori dello spazio artistico – lo testimonia l’errore evidente e significativo di un operatore video, lì per alcune riprese, che ci passa attraverso senza accorgersi di essere in scena – perché forse non serve, anzi, forse è davvero questa compenetrazione una chiave di lettura, perché il passaggio avvenga è necessaria questa fluidità, questo riverbero continuo tra prima e dopo, tra qui e altrove, tra finito e infinito.

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C’è una torcia che inizia a sgusciare nell’oscurità, indaga ogni frammento, visibile o nascosto, di questi edifici, che edifici non sono; Davide Scognamiglio, anima del progetto e curatore delle luci, racconta ogni angolo colpito dalla torcia, usa parole poetiche ma non nostalgiche – lo ricordiamo: questo è anche un luogo di morte – fa scivolare lo sguardo su pareti, materiali, dimensioni, suggerendo un modo più profondo di osservare la superficie, così da cogliere lo spirito del luogo, pur non essendoci mai stati. È una guida, dunque, che porta gli spettatori a penetrare la materia del paesaggio e raggiungere un nucleo sotterraneo, perché è lì che si trova “la foglia d’oro” del titolo, quell’elemento di continuità di tempo e spazio che, se conservato, dal passato potrà condurre al futuro delle nuove abitazioni. L’oro dipinge così la pelle di tutte e tutti, l’oro dipinge il fuori e il dentro, è l’elemento distintivo di una comunità che qui si è formata e altrove, poco lontano, dovrà da capo riformarsi e riconoscersi.

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L’arte e la vita non sono sovrapponibili: se Peter Brook, parafrasando, poteva dire che ogni spazio vuoto può diventare teatro, non si può dire lo stesso di una casa, perché suonerebbe retorico, sbagliato; non si può prendere ogni luogo e abitarlo come una casa, l’esigenza radicale di servizi non permette voli di fantasia che l’arte invece si concede; però l’arte può attraversare quella esigenza, la può interpretare, la può addirittura suscitare. E tanto ha fatto qui Manovalanza, ai Bipiani per il quarto anno consecutivo, riuscendo anche stavolta a dare vita al sentimento nascosto tra le pieghe di una trasformazione, componendo quadri eterogenei, meno netti di Exaudi, ma non meno intensi, che non possono essere definiti perché questo è un momento di transito, dei corpi e delle idee: nulla può essere fermo, come la luce saetta nel buio anche le emozioni subiscono gli effetti del desiderio, dell’attesa, della paura. È in questa chiave che emerge un forte contrasto tra stasi e movimento: c’è chi in scena resta immobile lungo l’intero spettacolo, chi si muove e crea la tensione di ciò che non si può afferrare, come se i corpi dicessero che qualcosa inevitabilmente – lo hanno imparato, gli abitanti dei Bipiani “provvisori” oltre 40 anni fa – si dovrà perdere o, forse, disperdere, nell’aria e nel tempo passato.

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Il fuoco, mosso dal vento, si avvia a spegnersi e si fa fumo, l’odore satura l’aria e il respiro; e di nuovo è oscurità, contrastata da piccole luci che si accendono alla base delle impalcature, oppure tra le dita di attori e attrici fluttuando come lucciole, piccole stelle terrene, che cercano di farsi firmamento. Si avverte la dolcezza di una staticità pittorica ma anche la sgrammaticata violenza della strada, nei movimenti scomposti, nei fischi, negli urli sconvenienti e veri. Tutto concorre alla genuinità di un passaggio di stato difficile, ma che non si può arrestare né ignorare. Cosa si perde, dunque, e cosa si conserva? Ma soprattutto come si fa a conservare? Non perdere il contatto, l’attenzione, la memoria. Tradurre un tempo nell’altro. Si alza uno degli attori, getta semi a terra, poi un altro lo segue e inizia ad annaffiare, ma l’acqua non penetra e si perde in una pozza verso i piedi del pubblico, perché non c’è terra qui, solo cemento. Potrà mai, qualcosa, germogliare? Giacomo Leopardi, forse ancora, ci lascia le parole per capire, perché senza il colle a cui è legato non potrebbe comparare “quello infinito silenzio” a “questa voce”, non potrebbe indugiare sul legame tra altrove e qui, tra sempre e ora. E dunque siamo, adesso, perché siamo stati? C’è una continuità, solo se esiste il segno segreto di una comunità che diventa e, allo stesso tempo, lascia andare.

Simone Nebbia

Visto ai Bipiani di Ponticelli, Napoli – Luglio 2025

INFINITO ∞ / LA FOGLIA D’ORO
Un progetto di Manovalanza. A cura di Davide Scognamiglio e Daniele Ciprì
Referente Scientifico Prof. Rosario Sommella
Regia Adriana Follieri
Disegno luci Davide Scognamiglio e Sebastiano Cautiero
Spazio scenico Emanuele Perelli
Con le attrici e gli attori abitanti dei Bipiani di Ponticelli e la comunità artistica di #Foodistribution Carmela Barone, Sire Camara, Daniele D’Ari, Hawa Diarra, Morena Di Matola, Pasquale Di Matola, Rebecca Di Matola, Alessia Di Pace, Francesco Esposito, Pedro Giovanni Bejarano Fiascunari, Xhesika Kolici, Abdulaye Kone, Miriam Lanzini, Carmela Marchionne, Klea Matodashaj, Elseda Nikolli, Brunella Paolillo, Giulio Pastore, Emanuele Perelli, Tergit Plaku, Gaetano Ruggiero, Davide Scognamiglio, Djeneba Toure, Emanuela Felicia Tushi, Gabriella Tushi, Antonio Varriale, Fatima Varriale E con Paola Maria Cacace, Francesca Capasso, Veronica D’Elia Con la partecipazione di Marcello Squillante e Gianluca Fusco / Ars Nova
Aiuto regia Monica Palomby, Valerio Pietrovita
Assistenti spazio scenico e allestimento Alessia Di Pace, Giulio Pastore
Costumi Carmela Barone
Assistente ai costumi Brunella Paolillo
Sound designer Fiore Carpentieri
Consulenza musicale Carla Pastore e Fondazione Pietà dei Turchini
Coreografie Cynthia Fiumanò
Documentazione fotografica Tommaso Vitiello
Acconciature Anna Benedyk
Collaborazione artistica Immacolata Bisaccia, Giulia Capasso, Silvia Cioni, Salvatore Di Matola, Federico Esposito Alaja, Fernando Fevola, Cynthia Fiumanò, Carlo Galiero, Valbona Lamce, Maria Lanzini, Rosanna Lanzini, Carlo Martello, Valentina Martiniello, Nicoletta Marchetti, Annamaria Nocera, Daniele Oliva, Monica Palomby, Maria Paolillo, Raffaella Pennone, Massimo Renzetti, Gioia Antonia Terrano, Antonio Testa, Vladi
Direzione organizzativa Velia Basso
Location manager Xhesika Kolici
Logistica e direzione di palcoscenico Gianluigi Signoriello
Cerimoniale Nicoletta Marchetti
Video Elio Ugo Di Pace
Foto di scena Ivan Nocera
Produzione MANOVALANZA. Con il sostegno della Fondazione Campania dei Festival e IUO Istituto Universitario L’orientale Di Napoli – PRIN – Progetti di Rilevante Interesse Nazionale 2024 indetto dal MUR Ministero dell’Università e della Ricerca.

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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