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HomeArticoliM.A.P.P.A. Katarína Cvečková, Slovacchia/Slovak Republic

M.A.P.P.A. Katarína Cvečková, Slovacchia/Slovak Republic

M.A.P.P.A. è un progetto di ricognizione e mappatura internazionale sulla critica dedicata alle performing arts. Abbiamo intervistato giovani giornalisti, osservatori e critici provenienti da tutta Europa.

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KATARÍNA CVEČKOVÁ si occupa di critica teatrale e di riflessione sulla danza contemporanea. Per cinque anni, ha lavorato come editor nella rivista kød – the code to the slovak theatre, pubblicata dal Theater Institute di Bratislava. È co-fondatrice della piattaforma culturale indipendente MLOKi e caporedattrice della rispettiva webzine teatrale. Insegna all’Accademia delle arti dello spettacolo di Bratislava e tiene seminari sul pensiero critico e sulla scrittura sulla danza contemporanea. Come parte dei suoi studi di dottorato, si concentra sulle tendenze creative dell’attuale scena indipendente in Slovacchia.

Quali misure sono state prese a sostegno dei lavoratori dello spettacolo in Slovacchia?

Quando si sono verificati i primi casi di coronavirus in Slovacchia, il nostro paese stava attraversando un momento ben specifico quale il cambio del governo. Questa situazione ha profondamente influenzato la questione delle misure protettive e di supporto alla categoria degli artisti e ha anche contribuito al palesarsi di un‘incapacità del governo attuale e di quello precedente. Sono trascorsi due mesi e il governo non è riuscito a presentare un valido piano di supporto per gli artisti e per gli altri professionisti afferenti all‘area cultura. Nonostante siano state create diverse piattaforme, nonostante siano state organizzate diverse iniziative che hanno avuto luogo in questo periodo al fine di raccogliere ed analizzare i dati dell‘intero comparto artistico – e quindi discutere di possibili misure con il governo – finora non abbiamo visto nessun risultato accettabile.
Naturalmente, anche questa situazione ha un notevole impatto negativo sulla nostra cultura indipendente. Anche se alcune misure sono state introdotte dai singoli fondi e istituti, queste non riescono a fornire un’assistenza sostanziale a tutta la comunità artistica. Diverse città e regioni hanno perfino deciso di ridurre in modo significativo o di sospendere i finanziamenti previsti per l‘arte e la cultura nel 2020, ad eccezione delle rispettive istituzioni pubbliche. Insomma, sembra che la Slovacchia non sia in grado di risolvere la crisi attuale, tantomeno che sia pronta al periodo post-crisi.

Il periodo del lockdown ha visto molti teatri e compagnie pubblicare su internet parte dei loro archivi. Molte sono anche le performance nate online, così come si parla sempre più di residenze digitali. Persino i festival, luoghi di incontro per eccellenza, stanno proponendo un cartellone digitale. Come ti relazioni a questa modalità di fruizione?

Durante i due mesi di “quarantena”, ho attraversato diverse fasi. All’inizio, per principio, mi sono rifiutata di guardare le registrazioni di produzioni teatrali. Quando è diventato chiaro che saremmo dovuti rimanere a casa per un periodo di tempo più lungo, ho iniziato a esplorare il programma di diversi teatri stranieri. Dopotutto, quando avrò di nuovo la possibilità di andare al Kammerspiele München, allo Staatsschauspiel di Dresda o al festival Aerowaves? La fase successiva è stata la visione di live streaming della scena nazionale, motivata dalla necessità di mostrare solidarietà e sostegno ai nostri teatri indipendenti. Tuttavia, a prescindere da quanto fossero grandiose e spettacolari le performance, non mi sono mai sentita completamente coinvolta. Ed è giusto che sia così, così dovrebbe essere. Dobbiamo continuare a ricordarci che l’interazione dal vivo non può essere sostituita dallo spazio online. Se così non fosse, dovremmo iniziare a pensare che non abbiamo più bisogno di un teatro.

Quali sono state le pratiche performative più interessanti durante i giorni del lockdown, su un piano di temi, linguaggi, modalità di presenza, dal tuo punto di vista?

Per quanto riguarda il contesto nazionale locale, considero il progetto di danza MeMoirs XX un esperimento stimolante. Diversi ballerini professionisti e non professionisti hanno deciso di materializzare le loro impressioni sull’esperienza della quarantena in un’opera collettiva. Per diverse settimane, questi artisti hanno condiviso sequenze di movimenti fisici, suoni e testi che sono stati poi montati in una coreografia dal danzatore slovacco Jaro Viňarský. I danzatori imparano la coreografia durante sessioni di lavoro in video. La performance finale dovrebbe essere presentata online e, quando sarà possibile, dal vivo presso il centro culturale Záhrada a Banská Bystrica. Il progetto riesce così a combinare una riflessione artistica sulla situazione attuale con la capacità di adattarsi alle attuali possibilità creative.

Credi che questa crisi cambierà profondamente i linguaggi, gli spazi, i temi delle arti performative, anche riguardo alla compresenza di attori o performer e pubblico nello stesso spazio-tempo?

Non sono sicura di come questa crisi influenzerà la nostra percezione della cultura. Temo che tutte le mie opinioni siano piuttosto cupe e deprimenti in questo momento. Non posso accettare l’idea che teatro, danza e performing arts debbano esistere senza il contatto del performer con il pubblico. Allo stesso tempo, temo che la società si abituerà alla propria esistenza senza le arti dal vivo. Quando la situazione è migliorata e le prime restrizioni sono state allentate, il governo slovacco ha aperto chiese e consentito servizi, ma la riapertura dei teatri è prevista in un futuro remoto. Quando il capo del Dipartimento della Salute Pubblica ha cercato di spiegare questa decisione, ha affermato che “la fede è un diritto costituzionale” e “la fede è più importante del divertimento”. Nessuna delle persone competenti a farlo ha discusso con lui, ha chiesto spiegazioni. Questo solleva le mie preoccupazioni sul futuro del teatro e della danza contemporanea, non in termini di come sarà, ma sul “se” o sul “come” verranno accolti.

È possibile vivere del mestiere della critica in Slovacchia?

È possibile studiare critica teatrale, teoria e storia in un dipartimento separato dell’Accademia delle arti dello spettacolo di Bratislava. Anche se questa professione esiste nel nostro paese, è quasi impossibile guadagnarsi da vivere facendola. Alcune persone lavorano come redattori di periodici teatrali o culturali, altri lavorano come insegnanti o come ricercatori presso il Theatre Institute. Coloro che si concentrano principalmente sulla critica, ora sono bloccati in uno strano vuoto. Tutti si chiedono cosa dovrebbero fare attori e registi quando non possono fare teatro. Ma cosa dovrebbe fare un critico quando tutti i teatri sono chiusi? Dovremmo provare a scrivere recensioni di performance in live streaming? Secondo me, questo è un argomento complesso che merita sicuramente più attenzione e un’ulteriore discussione.

Che cosa ti manca di più della dimensione live delle arti performative?

Mi manca esattamente quella caratteristica essenziale e insostituibile della performance: la liveness.

Katarina’s lockdown office

KATARÍNA CVEČKOVÁ focuses on theatre criticism and reflection of contemporary dance. For five years, she worked as an editor in the magazine kød, which is published by the Theatre Institute in Bratislava. She is the co-founder of the independent cultural platform MLOKi and the editor-in-chief of an online theatre magazine mloki.sk. She teaches at the Academy of Performing Arts in Bratislava and conducts workshops on critical thinking and writing about contemporary dance. As part of her doctoral studies, she concentrates on the creative tendencies of the current independent theatre and dance scene in Slovakia.

What are the measures overtaken by the Slovak government, or by the local institutions, in support of the theatre workers?

When the coronavirus occurred in Slovakia for the first time, our country was going through a change of government. This situation has profoundly affected the issue of protective measures and support for artists. It also contributed to the exposure of the inability of both past and present governments. Two months have passed and the Ministry of Culture has not presented a viable plan of support for artists and other culture-related professions. Even though several platforms and initiatives have been set up to collect and analyze data from the entire art scene and then discuss possible measures with the new minister, we haven’t seen any acceptable results thus far. Naturally, this also has a considerable negative impact on our independent culture. Even though individual funds and institutes have already introduced certain measures, they don’t have the potential to provide substantial assistance across the whole artistic community. Several cities and regions have also decided to either significantly reduce or terminate the planned subsidies for art and culture in 2020, with the exception of their own institutions. Therefore, it seems that Slovakia is not able to resolve the current crisis and neither is ready for the post-crisis period.

During the lockdown, many theatres and companies published part of their archives on the internet. Also, we have watched many digital performances, just as there is more and more talk about digital residences. Even festivals, meeting places par excellence, are proposing a digital billboard. How do you relate to this way of enjoying performing arts?

During the two months of “quarantine”, I went through several stages. At first, I refused to watch recordings of theatre productions out of principle. When it became clear that we would have to stay at home for a longer period of time, I started to explore the diverse program of various foreign theatres. After all, when will I get a chance to go to the Kammerspiele München, the Staatsschauspiel Dresden, or the Aerowaves festival again? The next phase was watching live streams of the domestic scene, which was motivated by the need to show solidarity and support for our independent theatres. However, no matter how great and spectacular the performance was, I never fully enjoyed it. And that is how it’s supposed to be. We should always remember that live interaction could never be replaced by online space. Otherwise, we could start to think that we don’t need a theatre anymore.

The most interesting alternative theatrical practices you have experienced in these days

From the local context, I consider the dance project MeMoirs XX to be an inspiring experiment. Several professional and non-professional dancers have decided to materialize their impressions of experiencing quarantine in collective work. For several weeks now, these people have been sharing sequences of movements, sounds, and texts, which are then combined into choreography by Slovak dancer Jaro Viňarský. Everyone learns the moves through regular video sessions. The final work should be presented online and, if possible, live at the cultural center Záhrada in Banská Bystrica. The project thus combines artistic reflection of the current situation and, at the same time, the ability to adapt to current creative possibilities.

Do you think the current state-of-things will affect the language, the topics, the space of the performances etc…in deep? If yes, how?

I am not sure how this crisis will affect our perception of culture. I am afraid that all my views are rather gloomy and depressing right now. I can’t accept the idea that theatre, dance, and performance art should exist without the performer’s contact with the audience. At the same time, I am afraid that society will get used to existence without live arts. When the situation improved and the first restrictions were loosened, the Slovak government opened churches and allowed services. But the reopening of theatres is in a far-off future. When the Chief Hygienist tried to explain this decision, he said that “faith is a constitutional right” and “faith is more important than fun.” None of the competent people argued with him. It raises my concerns about the future of theatre and contemporary dance, not in terms of what it will look like, but whether or how it will be received.

Is the theatre criticism perceived as a job per se in your country, or is it included in another labor framework such as the artists’ one, or rather the journalists’, or academics’? Are there self-supporting troubles for the category right now?

It is possible to study theatre criticism, theory and history at a separate department of the Academy of Performing Arts in Bratislava. Even though this profession exists in our country, it is almost impossible to make a living by doing it. Some people work as editors of theatre or culture-related periodicals, others work as teachers or as researchers at the Theatre Institute. Those who focus mainly on criticism have now got stuck in a strange vacuum. Everyone is asking what should actors and directors do when they can’t do theatre. But what should a critic do when all theatres are closed? Should we try to write reviews of live streams? In my opinion, this is a complex topic that certainly deserves more attention and better discussion.

What do you miss most from live performances and plays? 

I miss the essential and irreplaceable feature of the performance – liveness.

ph. Dorota Holubová

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Andrea Zangari
Andrea Zangari
Architetto, laureato presso lo IUAV di Venezia, specializzato in restauro. Ha scritto su riviste di settore approfondendo il tema degli spazi della memoria, e della riconversione di edifici religiosi dismessi in Europa. Si avvicina al teatro attraverso laboratori di recitazione, muovendosi poi verso la scrittura critica con la frequentazione dei laboratori condotti da Andrea Pocosgnich e Francesca Pierri presso il festival Castellinaria prima e Short Theatre poi, nel 2018. Ha collaborato con Scene Contemporanee, ed attualmente scrive anche su Paneacquaculture. Inizia la sua collaborazione con Teatro e Critica a fine 2019, osservando la realtà teatrale fra Emilia e Romagna.

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