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HomeArticoliRialto Mon Amour. Pinocchio vol.1: la duplicità in versi

Rialto Mon Amour. Pinocchio vol.1: la duplicità in versi

Con una serie di interviste agli artisti in scena e in residenza, raccontiamo la nuova stagione del Rialto Santambrogio di Roma

I contenuti di questo articolo sono stati realizzati in coproduzione con il Rialto Santambrogio.

Foto E. Bernardi
Foto E. Bernardi

In quest’occasione presentiamo il debutto dello spettacolo Pinocchio vol 1 – in scena fino a domenica 15 al Rialto – diretto da Matteo Cusato. Incontriamo l’autore Andrea Carvelli.

Dopo l’esperienza con Colossal Kitsch Teatro, la tua penna si unisce alla direzione registica di Matteo Cusato per Pinocchio vol.1. A cosa si deve quest’incontro?

Io  torno in teatro dopo tre anni di silenzio. L’ultimo mio lavoro sempre con Ck Teatro è del 2011, Superstar, con degli ampi brani pasoliniani anch’essi scritti in versi. Tre anni che mi hanno consentito di sviluppare questo progetto, la cui prima stesura risale addirittura a una decina di anni fa. Matteo Cusato è alla sua prima regia teatrale. Ci siamo incontrati, come avviene spesso in questi casi, un po’ casualmente. L’occasione è stata il 48h film festival del 2012 al quale abbiamo partecipato con un corto scritto da me e diretto da Matteo.

Il progetto si articola in tre parti quasi a voler dividere il testo di Collodi in tre rispettivi volumi. Com’è nato, come si articola e se potessi darci qualche anticipazione riguardo i prossimi lavori…

La scelta di dividere l’opera in tre parti deriva dalla volontà di rispettare in qualche modo l’uscita in capitoli del libro di Collodi. Abbiamo individuato delle cesure all’interno del testo atte a garantire per ogni volume già una fine in sé. Questo primo volume termina infatti con l’impiccagione di Pinocchio, che tra l’altro era uno dei possibili finali scelti dallo stesso Collodi. Ci riserviamo la sorpresa dei volumi 2 e 3 salvo anticiparvi il ruolo giocato dalla scenografia, che varierà continuamente pur rimanendo sempre uguale a se stessa.

Citando: «Un adattamento in endecasillabi a rima baciata» dell’opera originale. Come anche in Being Hamlet, ritroviamo una particolare attenzione alla metrica del testo, quanto un simile lavoro influisce sulla costruzione del senso?

Sia la letteratura che il teatro nascono con la poesia. Perché? Prima è venuto il canto poi il racconto. L’esigenza quindi è quella di un ritorno all’origine, dove la parola diventa canto e il canto melodia delle cose, dell’anima mundi. Il verso è la condizione necessaria affinché il ritmo, che è sempre ritmo del cuore, misuri i suoi battiti a tempo con l’armonia delle sfere. Non a caso la poesia, parafrasando Josif Brodskij, ha una certa inclinazione per il vuoto, a cominciare, diciamo, da quello dell’infinito. La poesia non è una forma di intrattenimento, bensì il nostro fine antropologico, genetico, evolutivo. Si direbbe che ne abbiamo la percezione fin da bambini, quando assorbiamo e ricordiamo versi per imparare la lingua. Ecco la scelta di utilizzare l’endecasillabo a rima baciata per Pinocchio. È un richiamo dell’infanzia, il metro per eccellenza delle filastrocche per bambini.

Il vostro adattamento si concentra sul viaggio di Pinocchio da burattino a bambino e sull’«attraversamento dell’Erebo, del Regno dei Morti, che ha il suo centro nel cuore nero del libro». Potreste spiegarci questo lato “dark” della storia?

Pinocchio è una storia di morte, di una volontà di morire. Il pezzo di legno che parla, prima ancora di essere formato, è la voce di un’anima, potenzialmente immortale, che una volta incarnatasi si consegna al destino ultimo dell’essere umano. Il burattino scalpita, frigna, freme per diventare bambino. Vuole rinunciare alla sua immortalità. E l’incontro con la Fata, che esaudirà il suo desiderio, è più che esplicativo. La Fata infatti appare per la prima volta sotto le spoglie di una bambina morta che aspetta la bara del funerale. È una sorta di Caronte, quindi. Colei che viene dal regno dei morti per tornarvi insieme a Pinocchio.

Provocatoriamente: perché, ancora, Pinocchio?

Provocatoriamente perché crediamo che nessuno abbia mai colto il reale spirito del libro. Non ricordiamo nessuna messa in scena che parta dalla duplicità del personaggio Pinocchio, burattino e bambino. Noi li presentiamo entrambi come facenti parte di un unico essere sdoppiato in anima immortale e corpo perituro.

Redazione

vai alla pagina sul sito del Rialto Santambrogio

in scena fino al 15 febbraio
PINOCCHIO VOL.1
di Andrea Carvelli
regia Matteo Cusato
in scena Emanuela Bernardi, Simone Di Pascasio, Alice Ferranti, Francesco Turi
scenografia Dinuovonuovo
direzione di scena Giulia Cervini, Daniele Poce
musiche Marco Cinquegrana
grafica Giulia Cervini
con il sostegno di Rialto Sant’Ambrogio

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