Prospero | Aprile 2025
Un corpo per tutti, di Sonia Bergamasco
Una bambina allo specchio scorge l’altra sé finora invisibile. Stacco. La bambina batte il coperchio d’un piano, messa in punizione dalla maestra. Testa china, le dita che piastrano il legno, l’assenza di note che lei sente comunque. Stacco. La bambina è una ragazza, provino per la Scuola del Piccolo, non recita ma suona a fiato invece Beckett, Woolf e Cavalcanti. Stacco. Giulia Lazzarini la raggiunge e le dice che ha un modo musicale, con cui rende in forma molteplice il mondo. Scorci iniziali d’Un corpo per tutti, il titolo per ciò che c’è a pagina 22: «Quella prima invenzione di linguaggio al provino, quel solfeggiare le parole e le frasi che in me era nato istintivamente, ha rappresentato negli anni una forma di ispirazione» per cui si tratta di «dare voce alle voci del corpo, del mio e di quello di tutti gli altri corpi immaginati. Imparare a farsi strumento». Frame. La difficoltà di farsi «zero» in Accademia. Strehler che legge il Wilhelm Meister rendendo Mignon «l’incarnazione del dolore». Carmelo Bene che le dice «devi deciderti», non teatro o musica ma un «teatro musicale». E Gabriella Bartolomei – Winnie di Giorni felici che spande vocalità in ogni punto della sala – da cui apprende metodo, libertà e il valore del silenzio, «senza il quale non viene mai nulla». La tournée sui trampoli in Spagna, il seminario di Raffaella Giordano e Danio Manfredini, la lettura de Il funambolo di Genet, le gigantografie di Eleonora Duse, Café Müller in video e gli spettacoli e le compagne e i compagni di recita per fare non autobiografia di sé ma del mestiere, di cui Bergamasco discute i fondamenti: danza e immobilità, forma e istinto, partitura e improvvisazione e la ripetizione in prova o replica, il rapporto tra regia e attorialità o cosa cambia se il pubblico respira con te. Il pudore che nasce dallo studio, l’importanza del lavoro di gruppo, la necessità di una stanza tutta per sé. Cui tornare e da cui ripartire ogni volta per andare in scena, per suonare ancora. Un corpo per tutti, di Sonia Bergamasco, Einaudi, 2023
L’attore, di Roberto De Monticelli
Nessuno come De Monticelli sa scrivere d’attori ed attrici. Nessuno come lui ne coglie le vibrazioni tonali, i gesti, lo sciupio del destino, quest’esistere al quadrato tutte le sere, dall’inizio alla fine d’uno spettacolo, alle prese solo con un pezzo di vita. E L’attore, curato nel 1988 da Odoardo Bertani per Garzanti, riedito da Cue Press, ne è la testimonianza. Anzi è la testimonianza di una testimonianza perché ponendo in sequenza quarant’anni d’interpreti del teatro italiano dice anche di chi ne scrisse, che il critico, si sa, parla pure di sé, accucciato nel buio dell’inchiostro. Libro di ritratti, nell’ampiezza che aveva il giornalismo una volta, e che una volta aveva la scena sui cartacei, offre dettagli-diademi. Il vecchio respiro di Renzo Ricci, connesso alle lame che segano le piante alla fine de Il giardino dei ciliegi; il pallore di Rina Marcelli, nel cerchio di luce che chiude Morte di un commesso viaggatore; Sarah Ferrari che nel terzo atto di Tre sorelle sta sul divano, plaid addosso, e coniuga «Amo, amas, amat…». La faccia da clown di Buazzelli nel Galileo di Brecht, Lila Brignone «buia» «e dilaniata da un dolore scabro» nel Macbeth, i silenzi ossuti di Eduardo, Memo Benassi in ospedale, malato e abbandonato da tutti, dove s’è portato i bauli per stare ancora in un camerino, Ruggero Ruggeri che va via dopo la replica, riducendosi alla punta rossa d’un sigaro in una Milano fredda, che costringe i gatti ad appallottolarsi. Ma, accusato di non aver letto l’avanguardia (di cui invece comprese il valore, scartando la fuffa), di De Monticelli qui ci sono anche le tracce di Grotowski e Brook, delle cantine e Ronconi. E c’è la condanna alla maschera di Marcello Moretti, o il più bell’articolo che potrete mai leggere su Strehler. E c’è la morte, perché già allora fu libro postumo e perché molti dei pezzi sono un ricordo fissato nel momento dell’addio. «Cosa rimane?» avrebbe detto Garboli. Questo: il teatro che vissi, attraverso gli attori e le attrici che amai. L’attore, di Roberto De Monticelli, Cue Press, 2017
La non-scuola di Marco Martinelli. Tracce e voci intorno ad Aristofane a Pompei, di Francesca Saturnino
Se si chiama non-scuola vuol dire che non ha maestri? Semplice, a dirla così. Ma nei fatti il discorso si fa magnificamente complesso. La non-scuola di Marco Martinelli è un progetto modulare che da decenni, prima a Ravenna e poi in molti altri luoghi, raccoglie gruppi di ragazzi e ragazze di una comunità, ne interpreta i bisogni più profondi, veicola i segnali già esistenti in un nuovo sviluppo di società e lo fa attraverso il teatro. Che succede se tale esperienza, nata in seno al Teatro delle Albe con Ermanna Montanari, prende vita in un territorio come il Parco Archeologico di Pompei? Lo racconta Francesca Saturnino – giornalista e, fondamentale: insegnante di scuola – in questo omonimo libro per Luca Sossella Editore, lo racconta dall’interno di una partecipazione al progetto Sogno di volare che ha coinvolto giovani partecipanti attorno a una “strapazzatura” dei classici, in primo luogo Aristofane, per tirarne fuori forse un succo spremuto, qualcosa che lì dentro parli proprio di chi, nei classici, vi entra. Ecco perché si tratta di una non-scuola, perché maestro di sé stesso si fa chi decide di intraprendere la strada, assecondare certi slanci istintivi, trovare le parole per dare senso all’urlo nascosto di ciascuno. Per Martinelli il progetto, che risale al 2021, è in realtà un ritorno in Campania, dopo aver guidato nel 2005 il progetto Arrevuoto che aveva dato vita alla compagnia Punta Corsara; ora a Pompei il lavoro sui classici, “messi in vita”, è un tentativo di appropriarsi di quei testi allo stesso modo che dei luoghi, spesso considerati per esclusiva compresenza turistica, così che ognuno possa appropriarsi, finalmente, di quella parte di sé inconosciuta e urgente. Saturnino governa un libro ricco, bellissimo, dà conto della propria “esperienza di esperienze”, potremmo chiamarla, chiedendo a osservatori – artisti, critici, studiosi come Linda Dalisi, Davide Iodice, Franco Lorenzoni, con una toccante intervista al compianto Enzo Moscato cui il libro è dedicato – di allacciarvi la propria, cucire insieme un racconto fatto di spinte e ostacoli, accensioni e vuoti, fino a che in ognuno appaia quel teatro da sempre presente, sopito e che ora esplode, un non-teatro, cioè la vita. La non-scuola di Marco Martinelli. Tracce e voci intorno ad Aristofane a Pompei, di Francesca Saturnino, Luca Sossella Editore, 2024
La rivoluzione artistica di Francesco. Un teatro che non è stato e forse sarà, di Antonio Attisani
In poco più di ottanta pagine Antonio Attisani ci racconta un teatro che non è stato, la scena inesplosa di una storia bucata, ma non per questo non riconsegnabile al futuro dei nostri studî, in tutto il suo potenziale rivoluzionario. Le storiografie del teatro sono distratte, spesso inattaccabili, bulimiche nel ripetere con pigrizia discorsi già noti, le cronologie già acquisite, in forme appena appena spolverate. In queste, Francesco è un fantasma. Attisani non punta a una contro-storia, ma a una liberazione di idee e di pensieri, per lui lo studio di un’intera vita, che potrebbero alimentare la scena di oggi o di domani, come già in parte e a diversi gradi di consapevolezza quella del Novecento (da Steiner a Grotwski, da Bene a Tanguy). In questo libro si parla dunque di san Francesco, il «giullare di Dio» e della novità culturale che non viene raccolta e trasformata in una ipotesi performativa, perché portatrice di protocolli etici assai distanti dalle peculiarità della rappresentazione necessarie all’affermarsi della prima modernità. Sono il corpo grottesco, il protocollo giullaresco, la predicazione cantata o silenziosa, adottati però in chiave povera. Come rovesciamento dell’impostura inaccettabile della corruzione e della infedeltà spirituale, dell’epoca di Francesco, cui il santo risponde vivendo l’obbedienza come una performance capace invece di generare fisicamente la comprensione della verità, lo smascheramento dell’impostura. Una tecnica di recitazione a tutti gli effetti, come accesso a «uno stato di libertà e felicità senza possesso, vale a dire il modo d’essere scaturito dalla povertà». La rivoluzione artistica di Francesco. Un teatro che non è stato e forse sarà, di Antonio Attisani, Cronopio, 2025
Manuale di progettazione strategica per le organizzazioni culturali, di Lucio Argano
Di recentissima pubblicazione, questo manuale aggiunge un nuovo tassello al corposo percorso di scrittura e curatela di Lucio Argano nell’ambito della gestione degli enti culturali che ormai da anni abita la sezione "Textbook per l’università e la professione" dell'editore FrancoAngeli. Diversamente da altri intramontabili titoli dello stesso autore, qui si predilige una forma breve e schematica per fornire un’introduzione al tema della progettazione strategica, con un’attenzione particolare al lungo periodo e ai temi della sostenibilità economica e organizzativa. La sfida, anche qui, è quella di trovare applicazione ai tanto odiati anglicismi tipici del business management, svincolandoli dall’ambito del profitto e dalle dinamiche di “libero” mercato che caratterizzano il loro contesto di provenienza e risalendo alle etimologie e significati profondi del concetto di strategia per poterlo applicare alle nostre imprese culturali. Esse, infatti, devono necessariamente considerare la relazione con l’ente pubblico, così come il posizionamento in una condizione di generale e perenne incertezza, incostanza, volubilità. Si tenta qui, di proporre un lessico aggiornato che tenga conto della creatività richiesta per condurre operazioni di progettazione strutturata ma malleabile, capace di adattarsi ad un equilibrio mutevole e a un contesto giocato da numerosi ed eterogenei attori. Il volume integra e completa un corpus accademico raramente reperibile in lingua italiana e, soprattutto, basato su contesti produttivi e organizzativi difficilmente riferibili a quello italiano ed europeo. Ma, sia per la brevità che per la scrittura agile e schematica, si fa anche spunto di riflessione e suggeritore di metodologie pratiche per le diverse professionalità che animano l’ente culturale di piccole e medie dimensioni, e che nella visione di Argano dovrebbero partecipare attivamente, in un meccanismo di tipo "bottom-up", alla progettazione. Così come all'individuazione di una strategia che sappia mettere un punto agli approcci organizzativi di tipo emergenziale e basati sull'improvvisazione, particolarmente diffusi nel settore, così come a una tradizionale rigidità delle metodologie, a un'impreparazione spesso fatale. Portando stabilità e visione prospettica, sì, ma anche valorizzando la creatività organizzativa e la capacità di una visione strategica dalla salda visione ma contemporaneamente capace di evolversi con il proprio scenario. Manuale di progettazione strategica per le organizzazioni culturali, Lucio Argano, FrancoAngeli, 2025
Dall’azione alla recitazione, di Jan Fabre e Luk Van den Dries
Pubblicato da FrancoAngeli nel 2023, il nuovo volume della collana Drama (diretta da Fabrizio Gifuni) è un viaggio nella mente e nell’anatomia del performer fabriano, dalla filosofia alla materia, dal respiro al sesso, dalla performance art al teatro dell’oltranza. L’esperienza di Jan Fabre è qui ripercorsa nel dialogo con i principali collaboratori, dopo anni di sperimentazione, scandalo, una fama internazionale prima inscalfibile, poi lacerata dall'evidenza della colpa. Dopo un’introduzione alla biografia e al percorso artistico e teorico – preziosa soprattutto per chi poco pratico dell’opera in questione - il volume e la scrittura osservante di Luk Van den Dries ci introducono all’universo-Fabre con dodici principi performativi che dettano le coordinate dello spazio e del tempo, i punti cardinali e anatomici del processo recitativo. La parte centrale del volume, poi, la più corposa, prende la forma di un vero e proprio manuale, una guida prima narrativa, poi vero e proprio tutorial, che descrive passo passo il tranining del "guerriero della bellezza". Una lunga serie di esercizi, ognuno accompagnato da un minuzioso apparato fotografico, improvvisazioni e modelli coreografici propongono una pratica complessa capace, se perseguita con costanza e onestà, di condurre dal dentro al fuori, dall’umano all’animale, dall’oggetto al pubblico. Un vademecum prezioso non soltanto sul palcoscenico, bensì nella comprensione del sé e dell’altro scenico, dell’azione che è agita in questo luogo e in questo istante della performance postdrammatica. Un qui e ora che, nel caso di Fabre e delle sue opere più scandalose, si dilata, si ripete, stravolge il proprio perimetro e degenera, sconfinando i limiti - non solo della scena. Ma tuttavia vive e muore, costantemente, in quei corpi e quei cervelli così sexy, che hanno appreso il lavoro sporco della seduzione. Dall’azione alla recitazione. Linee guida di Jan Fabre per il performer del XXI secolo, di Jan Fabre e Luk Van den Dries, FrancoAngeli, 2023
“Il Castello” di Franz Kafka secondo i burattini di Otello Sarzi, a cura di Francesca Cecconi
Quello del rispetto della volontà dell’autore non è soltanto un tema di grande dibattito nell’ambito delle teorie teatrali. È una questione di vera e propria scaramanzia. O almeno lo diventa dopo la lettura del curioso volume a cura di Francesca Cecconi (ormai tra le maggiori e più appassionate studiose italiane di teatro di figura) e pubblicato dall’editore Seb27 con la Fondazione Famiglia Sarzi in un progetto editoriale che intende riportare alla luce l’opera di Otello Sarzi, maestro della baracca e della ricerca teatrale del secondo Novecento italiano, così come proseguire nel periglioso percorso di riabilitazione del teatro di figura. Un volume nel segno della rarità: rara è l’occasione di trovare indagate esperienze artistiche fallite, così come rare sono le testimonianze di produzioni di figura delle proporzioni de Il Castello. L’opera, infatti, debutta l’11 marzo 1980 al Teatro Nazionale di Milano, per la regia di Giorgio Marchesini, le musiche originali di Giorgio Gaslini, le figure, le scene e l’animazione di Otello Sarzi. È un’operazione grandiosa, che vede la coproduzione del Teatro alla Scala, del Comune di Milano, Milano aperta e Ater / Emilia-Romagna Teatro, due tir per il trasporto delle imponenti scene e figure, 13 giorni di tenitura, una tournée già programmata in Italia e all’estero, da Parigi a New York, 10 animatori, 1 milione di lire di cachet. Più iva. Già la prefazione di Luca Zenobi ci aveva messo in guardia sull’impervietà e sugli spesso fallimentari tentativi di mettere in scena l’autore praghese. Cecconi ci accompagna, poi, oltre che nel processo produttivo, nella serie di sfortunati eventi - dagli imprevisti alle corse, dai cedimenti agli incidenti fortunosamente sventati - che portarono la grande impresa a tramutarsi in mirabile fallimento, nella stroncatura unanime e spietata della critica, nella delusione dei produttori (che ritirarono, in parte, il contributo alla produzione e, soprattutto, cancellarono le repliche previste). Rimangono soltanto pochi bozzetti e immagini – in bianco e nero, un po’ costrette tra le pagine del libro - e un copione breve, puntuale, meccanicamente schematico e che riduce all’osso il testo per prediligere la macchina scenica. Una grande ambizione che non vide mai realmente la luce e che possiamo tentare di immaginare, guardandoci bene dal fantasma di Kafka che, del resto, il suo Castello l’avrebbe voluto vedere distrutto. In un gravoso equilibrio di carte. “Il Castello” di Franz Kafka secondo i burattini di Otello Sarzi, a cura di Francesca Cecconi, Edizioni Seb27, 2024
Alexander Moissi. Grande attore europeo 1878-1935, di Massimo Bertoldi
Teatrino dei Fondi. Una fantastica sinfonia teatrale, di Massimo Marino
È scritto nel DNA della storia teatrale italiana un carattere specifico - lo ritroviamo tornando indietro nei secoli fino alle corti rinascimentali - che ha a che fare con la forza propulsiva della provincia. Così il professionismo teatrale nel nostro paese è stato in grado di produrre una geografia scenica spesso disegnata lontano dalle grandi città eppure in grado di strutturarsi in storie di successo. In Toscana ad esempio dal 1993 è attivo il progetto del Teatrino di Fondi, «un intreccio articolato complesso e multidisciplinare» (come lo chiama nella premessa il direttore Enrico Falaschi) che si muove tra San Miniato, Fucecchio, Montalcino, Capannoli e da tempi recenti anche Firenze. La complessità e l’articolazione del lavoro di questa compagine più che trentennale le ritroviamo proprio nella varietà dei percorsi: il Teatrino dei Fondi si occupa infatti di residenze artistiche, produzioni, audience development, programmazione, ma anche di editoria attraverso Titivillus. E infatti è proprio la storica casa editrice a pubblicare il volume curato da Massimo Marino "Teatrino dei Fondi. Una fantastica sinfonia teatrale". Il volume si presenta con un formato quadrato che valorizza le tante immagini: di spettacoli ed eventi in bianco e nero dagli anni ‘90, quelle a colori successive, le performance urbane, le locandine, le foto dei teatri gestiti, gli articoli di giornali in cui vengono raccontate le storiche riaperture del Teatro Quaranthana e del Pacini. Marino ricostruisce la tela degli eventi che costituisce l'avventura del Teatrino di Fondi, mettendo le mani in una storia fatta di bandi, territori, spazi da gestire in piccoli borghi medievali e rinascimentali; lo fa anche grazie all’accompagnamento di Enrico Falaschi, all’archivio di Andrea Mancini e alla robusta documentazione. Poi ci sono gli spettacoli prodotti e coprodotti, la pandemia di Covid 19 e il ritorno del pubblico, come nel caso del teatro Nuovo Pacini che riapriva con una versione in toscano di Muratori di Edoardo Erba. Teatrino dei Fondi. Una fantastica sinfonia teatrale, di Massimo Marino, Titivillus, 2023