In prima assoluta al Teatro Piccolo Arsenale per la Biennale Teatro 2025 di Venezia è andato in scena Call me Paris, interessante debutto della regista tedesca Yana Eva Thönnes che sarà 21 e 22 marzo 2026 al Teatro Arena del Sole di Bologna. Recensione

Tra le tante mete turistiche che attraggono i visitatori nelle grandi città c’è senza dubbio il museo delle cere; soltanto quello di Londra, per prendere un modello esemplare, vanta circa tre milioni di visitatori ogni anno. Mai che ci si chieda il motivo di tanta affluenza, non si tratta forse di un luogo dell’assoluta vanità? Non ha molto a che vedere con la cultura locale, non possiede antichità o bellezze da raccogliere con lo sguardo, non c’è nessuno da incontrare salvo la riproduzione in cera dipinta, a grandezza naturale, di qualche celebrità del proprio tempo o del passato. Cosa c’è di così straordinario nel visitare il museo delle cere? Ecco, una domanda come questa attraversa sotterraneamente la visione di Call me Paris, spettacolo che alla Biennale Teatro 2025 di Venezia ha abitato il Teatro Piccolo Arsenale, con la regia di Yana Eva Thönnes e coprodotto con Schaubühne Berlin ed Emilia Romagna Teatro ERT – Teatro Nazionale. Tre milioni di persone che, solo a Londra, passano in mezzo a statue senza valore artistico per scattarsi una foto con un sorriso ebete sul volto tenendo un braccio disteso verso la figura di fianco, che sembra vera.

Lo spettacolo parla di questo? No, non è così semplice. Eppure la domanda si stampa in mente a osservare questo letto oversize a centro scena, con sopra le lenzuola sgualcite rosa acceso e una – forse – giovane donna dai lunghi capelli ossigenati, trucco da bambola eterea, alle cui spalle è, ritratta di schiena, la sua plausibile copia senza il volto che, invece, è stretto tra le sue mani, staccato idealmente da quel corpo per ora ignoto. Da sotto il letto emergono due gambe, probabilmente di uomo, in pantalone bianco; attorno vi sono vestiti in disordine e due donne in piedi, come manichini, iniziano a parlare. Paris è Paris Hilton, ereditiera, che a un certo punto circa vent’anni fa è parso essere un mestiere, o almeno il lasciapassare per fare qualunque tipo di carriera. Molti si ricordano di lei per i selfie, per qualche cameo in vari film di cassetta, principalmente per 1 night in Paris, il filmato pornografico girato e diffuso dall’ex fidanzato.

Ma Paris è anche una giovane ragazza che negli stessi anni, in una provincia tedesca un po’ derelitta, gestisce la stranezza di avere connotati simili all’ereditiera, così da prenderne per tutti il nome e anche via via gli atteggiamenti. Si può diventare ciò a cui si somiglia? Il disagio familiare, le relazioni sociali difficili, portano l’altra Paris verso un incontro sbagliato che la conduce oltre il confine con la morale, costringendola – anche lei – a girare filmati pornografici da condividere con amici ed estimatori. L’adolescenza della ragazza si sfalda, proprio nel momento in cui prende una direzione dichiara il proprio impazzimento, trascinata nel fango del giudizio dal quale non riesce ad affrancarsi. L’uomo che abusa di lei, della sua giovinezza e ingenuità, sfrutta il suo essere fragile per circuirla e determinare gli effetti.
Sulla scena le due Paris si scambiano uno strano testimone: l’una o l’altra via via “incarnano”, se si può usare questo termine, la giovane donna reale e il manichino che la rappresenta; ma qual è il confine tra l’una e l’altra?

La regia di Thönnes – sulla scena sono Jule Böwe, Holger Bülow, Ruth Rosenfeld, Alina Stiegler – solo parzialmente riesce a sostenersi su una drammaturgia coerente (di Nils Haarmann) e a volte scivola verso una vaga inconcludenza che rallenta la finalità dell’opera. Tuttavia, nonostante alcune scelte ancora caotiche, il lavoro sul posticcio è lodevole perché scava sotto la superficie di una pelle liscia e splendente come le copertine di certe riviste, rinnova il grido di allarme contro il revenge porn, certo, allo stesso tempo compiendo una riflessione sul valore dell’immagine oggi e allora, quando il corpo sessualizzato, soprattutto femminile, ha vissuto il punto di più estrema violazione. Il dibattito sul consenso proprio in quegli anni sviluppava gli elementi poi cardinali dell’epoca attuale, ma contemporaneamente la strumentalità del sesso attraverso la diffusione online faceva conoscere l’inizio di un business planetario. Nel mezzo, giovani donne private di scelta, il cui destino passa per un sì o per un no, talvolta, oppure per la differenza tra un miliardo di dollari e una vita umile in una provincia tedesca, finché non sarà un segreto nascosto sotto il letto a far riemergere i fantasmi dal passato, un filmato che non si vede, ma un audio che si ascolta, le voci di un imprevisto ma decisivo finale della storia. E se prendessero vita, a un certo punto, le statue di cera con cui i turisti storditi si scattano la foto nel museo?
Simone Nebbia
Teatro Piccolo Arsenale di Venezia, Biennale Teatro – Giugno 2025
CALL ME PARIS
Testo e regia: Yana Eva Thönnes
Scenografia: Katharina Pia Schütz
Costumi: Elke von Sivers
Musica: Ville Haimala
Drammaturgia: Nils Haarmann
Design luci: Marcel Kirsten
Con: Jule Böwe, Holger Bülow, Ruth Rosenfeld, Alina Stiegler
Coproduzione: La Biennale di Venezia, Schaubühne Berlin, Emilia Romagna Teatro ERT – Teatro Nazionale