Arriva a Roma, per India Città Aperta del Teatro di Roma, il progetto dedicato a Gaza firmato dalla compagnia londinese AZ Theatre di Jonathan Chadwick, con la compagnia Tedacà e la direzione creativa di Iante Roach: Gaza Ora – Ritratti di Hossam, raccolta di testimonianze dirette dalla Striscia di Gaza. Recensione

Gaza. Ora. Eppure questo avverbio, mentre sono in fila per entrare, continua a suonare sinistro: ora? Ora quando? È già troppo tardi, viene da pensare, non appena si pronuncia. È un’aria disfatta quella che limita ciò che può o non può fare l’arte, in questo momento della storia; fa sentire impotenti, lascia che il tempo stritoli l’avverbio, “ora”, per farlo diventare “mai”. Tra il Teatro India di Roma e la Striscia di Gaza, lo controllo mentre sono in fila per entrare, la distanza è di circa 2355 km, in linea d’aria; ma è un’informazione che desumo da alcuni siti che non so quanto siano affidabili, mentre invece l’app di Maps non permette in alcun modo – chissà perché – di misurare quanto sia lontano il qui dall’altrove, la quiete di una serata a teatro dal dolore di una notte infinita. Davanti a me c’è Paola Caridi, una giornalista politica esperta del mondo arabo che incontro dopo molti anni, nel posto dove entrambi abbiamo scelto stasera di essere; qualche breve saluto, qualche misero “ti ricordi”, poi un uomo tra il pubblico in fila si avvicina per parlare con lei, per ringraziarla delle sue riflessioni, dei contributi di pensiero, per chiederle infine la domanda di tutte le domande: “Cosa possiamo fare?” Difficile una risposta, dico tra me, eppure lei ci riflette un attimo e risponde: “Bisognerebbe cambiare la domanda, per rispondere; chiedersi cosa è giusto fare, non cosa possiamo”. E di colpo è come se qualcosa bucasse una resistenza interna, segreta: è giusto partecipare, provare questa vergogna di essere lontano 2355 km e non sentire il suono della morte un minuto dopo l’altro, è giusto mettersi in fila e lentamente entrare ad ascoltare Gaza Ora – Ritratti da Hossam, raccolta di testi testimoniali su ciò che sta succedendo in terra di Palestina, ospitati all’interno di India Città Aperta.

Hossam è più precisamente Hossam al-Madhoun, uomo palestinese di teatro, co-fondatore della compagnia Theatre for Everybody nel 1997 ma, dallo scoppio dell’ultima offensiva a Gaza, uomo palestinese e basta, che ha vissuto la disgregazione di tutto attorno a sé, dalla sua casa alla sua famiglia. Le parole, allora, sono apparse come l’ultimo – unico – strumento di umanità, capaci di sorvolare queste migliaia di km attraverso le lettere spedite a Jonathan Chadwick della compagnia londinese Az Theatre e trasportare lontano i pensieri, i dolori, le paure, la portata titanica di ciò che tutto il mondo osserva inerte. Il progetto di AZ Theatre, ora in Italia grazie alla coproduzione della compagnia Tedacà e l’apporto di Iante Roach come direttrice creativa, è quello di raccogliere le parole di Hossam, scritte direttamente in inglese (editate dallo stesso Chadwick e dall’attrice inglese Ruth Lass) perché, attraverso una lettera pubblica volontaria di attrici e attori che vogliano prestare la propria voce diventino veicolo di un’umanità che i media tradizionali sembrano rimuovere o trattare come materiale retorico, così da perdere la potenza della testimonianza diretta. È proprio questa la spinta che si avverte nel testo collage che contiene estratti da oltre 124 lettere spedite da Hossam al-Madhoun dal 9 ottobre 2023 sino ad oggi, insieme a tre testimonianze raccolte e tradotte dall’arabo in inglese sempre dallo stesso al-Madhoun e domande dei bambini della Striscia di Gaza, concesse dal Palestine Trauma Centre: ognuna di queste parole lette sul palco, che siano in forma di monologo o di dialogo, non sono parte di un testo di fantasia, non è una distopia apocalittica, sembra assurdo doverselo ripetere di continuo, ma è necessario affinché non si cada nella qualità evasiva del farne racconto che rischia di fare il verso alla verità, farci sentire sensibilmente coinvolti per lo spazio di una sera e, infine, scaricarci la coscienza.

È quest’ultima una sensazione che con difficoltà abbandona l’intero arco della serata: esserci è necessario, esserci però è allo stesso tempo non necessario. Bastano poche frasi lette dagli attori e le attrici presenti, perché questo pensiero rimbombi nella testa di ognuno: “Mi sento in colpa perché io sono al sicuro”, dirà la figlia di Hossam, che si trova in Libano per studiare; possibile che una palestinese possa dire le stesse parole che pensiamo anche noi? E poi c’è un bambino, ha 9 anni e sa già per esperienza da quanto lontano arrivino le bombe, a seconda dei rumori; “Cosa dobbiamo fare?”, gli chiederà qualcuno, la sua risposta è disarmante e assoluta: “Quello che facciamo ora: restare, e vivere”. Può un bambino di 9 anni avere questa consapevolezza? Può una madre, Najah, dire: “Non riesco più a pensare alle normali attività quotidiane, non voglio ricordare le volte che ho sorriso perché fanno parte del passato e non torneranno più”? È lancinante, insostenibile, ogni racconto. Ma a tale sofferenza non si può cedere, perché questa sarebbe già un sintomo di quella resa alla retorica che rende inerti. Si è testimoni per chi ha smesso di parlare e vivere, ancor prima di morire, dice Primo Levi in quel capolavoro di lucidità che è I sommersi e i salvati, ma nell’epoca in cui tutto è visibile e la realtà esorbitante, pura illusione a portata di clic, si testimonia soprattutto perché quella realtà possa esistere, oltre che sullo schermo, anche in noi.

Il filosofo Theodor W. Adorno, nel 1949, disse chiaramente che non poteva esserci poesia, dopo Auschwitz. Ma può esserci, dunque, poesia durante Gaza? Perché Gaza è mentre scrivo queste righe, Gaza è adesso. Simbolo dell’epoca più tragica della storia dell’umanità, quella in cui insensatezza e insensibilità viaggiano parallele, quella che non ammette ignoranza, in cui non potremo dire, poi, come i confinanti di Auschwitz nel lancinante The zone of interest di Jonathan Glazer (2024), di non aver saputo. Gaza sono le immagini visibili che si percepiscono invisibili, sono i pestaggi, gli stupri, le torture, la fame, la morte, Gaza è tutto quanto accade e fa deflagrare le nostre certezze di sentirci umani. Eppure Gaza è un bambino, al mercato di Rafah, che invece di vendere oggetti o cibo, generi di prima necessità, tiene in mano un piccolo specchio e, pagando un solo shékel, permette a chiunque di osservare il proprio volto e così la sofferenza, l’estenuazione del dolore, la paura di morire. Gaza riflette nello specchio infranto di un bambino e così chiede, a chi ascolti le sue parole o legga questo articolo, di tornare a casa, prendere un pezzo di specchio e domandarsi, in silenzio, se questo è un uomo.
Simone Nebbia
Visto al Teatro India, Roma – Luglio 2025
GAZA ORA – RITRATTI DA HOSSAM
un progetto di Az Theatre ideato e curato per l’Italia da Jonathan Chadwick e Iante Roach in coproduzione con Tedacà
Testi di Hossam al-Madhoun, in collaborazione con Theatre for Everybody
Adattamento scenico a cura di Jonathan Chadwick
Direzione creativa di Iante Roach
Testi aggiuntivi scritti da bambini della Striscia di Gaza per gentile concessione del Palestine Trauma Centre
Ispirato a Messages from Gaza Now e GAZA ORA messages from a dear friend
Traduzioni in italiano di Fabrizia Baldissera, Giovanni Bienne, Malina De Carlo, Omar Elerian, Victoria Fiore, Umberto Mazzei, Tommaso Nelli, Yasmina Moussaid, Isabella Prigione, Orsola Privitera, Fulvia Zeuli, Giuliana Zeuli
Editing dei testi originali inglesi di Jonathan Chadwick e Ruth Lass
Editing dei testi italiani di Fabrizia Baldissera, Tommaso Nelli, Iante Roach
Artwork di Indira Dominici
Con le letture, al Teatro India, di Matilda De Angelis, Francesca Bracchino, Valentina Carnelutti, Giuliano Logos, Leonardo Maltese, Yaser Mohamed, Pier Luigi Pasino, Martina Piperno del Laboratorio Ebraico Antirazzista, Iante Roach, Francesco Serpico.
Grafica di Jean-Sébastien Barrais
Una coproduzione Az Theatre e Tedacà