Commissioni ministeriali in cui si dimettono i professionisti chiamati ad esaminare i progetti degli enti che hanno fatto richiesta di finanziamento, festival storici esclusi dal finanziamento pubblico per almeno tre anni e un immobile teatrale di pregio, di proprietà pubblica, che viene svenduto al privato. Quale idea di teatro e cultura pubblica ha questo governo?

IN ATTESA DEI VERBALI DELLA COMMISSIONE TEATRO
Il futuro del teatro pubblico e nello specifico l’assegnazione dei contributi del FNSV (Fondo Nazionale per lo Spettacolo dal Vivo, ex Fus) in questo momento è la questione che attraversa i pensieri di migliaia di persone che di teatro vivono e di tanti cittadini e cittadine che hanno a cuore le arti sceniche e la loro funzione civile. Il tema si è guadagnato gli spazi dell’informazione generalista vista la presenza di Stefano Massini alla direzione della Fondazione Teatro della Toscana. Ormai sappiamo delle dimissioni dei tre commissari a causa della volontà di declassare il teatro nazionale fiorentino, sappiamo della risposta di Massini con una conferenza stampa seguita da centinaia di persone al centro della città, in piazza della Signoria. Per una narrazione puntuale dei fatti rimandiamo all’articolo di Massimo Marino su Doppiozero. All’indomani delle dimissioni alcune riviste (Ateatro, Altre Velocità, Stratagemmi, teatroecritica, Il Tamburo di Kattrin, PAC Paneacquaculture, Theatron 2.0) hanno firmato un appello che ha avuto centinaia di adesioni e Cresco ha pubblicato due comunicati sul tema. Sappiamo anche che il sottosegretario Gianmarco Mazzi ha affermato di voler creare un gruppo di esperti che lavori su un nuovo modello di assegnazioni dei contributi per lo spettacolo dal vivo. La commissione, ha specificato Mazzi, sarà presieduta da Giorgio Assumma, conosciuto per essere l’Avvocato delle Stelle, questo il titolo di un documentario che potete trovare su RaiPlay sul noto professionista romano novantenne.
Intanto però siamo in attesa dei risultati del lavoro della commissione per il teatro, questi faticano ad essere resi pubblici, il ministero sa che questa storia è sotto gli occhi di tutti e probabilmente sta cercando di blindare i verbali rispetto a eventuali ricorsi. Quando saranno online potremo analizzare numeri e modalità, non solo rispetto al declassamento dell’ente diretto da Massini – il quale intanto ha presentato una stagione che non ha nulla da invidiare a quelle degli altri nazionali, sia dal punto di vista dell’innovazione che da quello di certi tradizionalismi e degli stereotipi commerciali, d’altronde come ha segnalato Massimiliano Civica il rischio artistico non è più un punto di merito per i teatri pubblici – ma anche relativamente ad altre istituzioni di eccellenza che molto probabilmente, stando alle indiscrezioni, verranno punite con punteggi bassi.
DANZA E MULTIDISCIPLINARI
Un assaggio però lo abbiamo avuto leggendo i risultati della commissioni Danza e Multidisciplinare, dai quali emergono i nomi di importanti declassamenti e bocciature, ne citiamo alcuni per il settore coreico: compagnia Abbondanza/Bertoni e Spazio Danza nel capitolo dei Centri di Produzione e Dare, il progetto formativo di Adriana Borriello che concorreva nella sezione Azioni trasversali – Promozione danza perfezionamento professionale; tra i festival vengono esclusi esperienze territoriali importantissime come Conformazioni di Palermo e Tendance a Latina. Leggendo i verbali si capisce che due commissari, Arrigoni e Della Sega, si sono opposti a tali decisioni e difficilmente si può dar loro torto perché il lavoro di Borriello con DA.RE. dance research in questi anni ha dimostrato di essere un percorso importante e in questo modo rimarrà fuori dal finanziamento pubblico per i prossimi tre anni con una evidente difficoltà per le persone che a quel progetto lavorano e per le danzatrici e i danzatori che avrebbero potuto trarne beneficio. Per Spazio Danza e Abbondanza/Bertoni invece la decisione della commissione impedisce a due importanti progetti di continuare a crescere: il centro di Rovereto – dove lavora la Compagnia Abbondanza/Bertoni dovrà accontentarsi del titolo di compagnia di produzione, lo stesso del precedente triennio e nel caso di Spazio Danza di Cagliari e del suo progetto Fuorimargine si tratta di un passo indietro perché il centro cagliaritano era stato riconosciuto Centro di produzione nel precedente triennio e davvero rappresentava un unicum in Sardegna, un luogo di sperimentazione in grado di attrarre energie artistiche da fuori regione, con ramificazioni internazionali e possibilità di crescita interne. Inoltre, dai verbali della danza emerge un’ombra inquietante che ha a che vedere con il linguaggio inclusivo utilizzato da alcuni soggetti e contestato dalla presidente Carmela Piccione.
Anche per il settore Multidisciplinare, che raccoglie dunque le istanze di festival, circuiti e organismi di programmazione in grado di ibridare musica, danza e teatro, emergono risultati abbastanza scioccanti: il minimo per rientrare nel finanziamento è di 10 punti, Triangolo Scaleno, ovvero l’associazione che gestisce lo storico festival Teatri di Vetro di Roma, ha totalizzato 8,5 punti totali (29 gli era stato assegnato nel 2024), Margine Operativo per il festival Attraversamenti Multipli 9 (aveva 26 nell’ultima misurazione) e Teatro Akropolis di Genova per il festival Testimonianze, Ricerca, Azioni 8.5 rispetto al 29 dello scorso anno, a Brescia esclusa anche Idra Teatro che dal 2016 era finanziata per il festival Wonderland. Dietro a questi numeri e nomi, come nel caso dei risultati per la danza, lo ribadiamo, ci sono posti di lavoro, contratti, impegni, collaborazioni e progetti, molti avranno importanti difficoltà ad andare avanti. Non parliamo di operatori che si affacciano per la prima volta al finanziamento pubblico, si tratta di strutture che da anni, se non decenni, lavorano nel campo del performativo creando momenti di incontro tra le arti sceniche e le città. Tra coloro che si sono salvati (ma poi bisognerà capire l’entità dei finanziamenti) colpiscono i punteggi attribuiti a Santarcangelo, lo storico festival perde 14 punti rispetto all’ultima misurazione del 2024, ad Armunia (Inequilibrio Festival) da 17,20 a 10,10. Anche nel caso dei multidisciplinari sorprendono le votazioni bassissime su tutte le voci, ne prendiamo ad esempio un caso specifico, la voce “Qualità artistica e innovatività del progetto, nei contenuti e nelle modalità creative e realizzative”, in questo caso la commissione ha assegnato 1 su 10 a Teatri di Vetro e 1,5 ad Attraversamenti Multipli, due festival che in questi anni hanno proprio lavorato sull’innovazione dell’organizzazione dei propri festival, nel tentativo di premere sui confini della ricerca nell’ambito dei linguaggi performativi. Diversi commissari e commissarie anche in questo caso hanno messo a verbale la propria contrarietà rispetto ai punteggi adottati e alle bocciature di alcuni soggetti. D’altronde, per capire quale sia l’idea culturale da premiare secondo il ministero basta dare un’occhiata al cartellone di Benevento Città Spettacolo, progetto che ha totalizzato il punteggio più alto, 19,9 tra le prime istanze – ovvero tra quegli enti che per la prima volta vengono ammessi al finanziamento del capitolo festival multidisciplinari -, quello dello scorso anno è un programma infarcito di volti noti televisivi tra attori e giornalisti e quest’anno la manifestazione, in attesa del cartellone completo ancora non pubblicato, preannuncia gli show di Stefano De Martino, un concerto di Serena Rossi e l’immancabile commedia di Vincenzo Salemme; naturalmente speriamo di essere contraddetti quando verrà pubblicato il programma completo.
IL CASO QUIRINO E IL PATRIMONIO SVENDUTO
A Roma si ha la possibilità di avere una posizione privilegiata rispetto a ciò che riguarda lo smantellamento della scena teatrale pubblica. Che questa destra sarebbe stata attiva e volitiva nel tentativo di ridefinire i valori culturali in campo era chiaro, ma difficilmente avremmo pensato a un revanscismo tale da voler ridisegnare la mappa del teatro pubblico disconoscendo sostanzialmente dei valori in campo che molte e molti di noi credevano essere evidenti al di là delle lotte partitiche. Ma appunto a Roma avevamo già assaggiato la determinatezza della destra con l’affaire De Fusco: sia chiaro, qui come al solito il Pd romano ha tutte le colpe: è sceso a patti col governo, ha tradito la piazza che aveva chiamato mascherando la sconfitta con la mezza vittoria della nomina di un dirigente amministrativo a fianco di quello artistico.
E nell’ultimo periodo nella Capitale è suonato un altro allarme e riguarda la lotta che c’è attorno al Teatro Quirino: bisogna specificare che l’immobile dello storico teatro intitolato a Vittorio Gassman era di proprietà pubblica e fu costruito nel 1871 dal Principe Maffeo Sciarra, nel 1914 subì un’importante ristrutturazione a opera di Marcello Piacentini. Sarà l’Eti a gestirlo nel secondo Novecento, così come per il Teatro Valle (la cui riapertura è stata spostata in avanti per l’ennesima volta), successivamente alla chiusura dell’ente voluta da Berlusconi nel 2010, la gestione divenne privata; in questi anni la direzione artistica è passata da Geppy Gleijeses a Guglielmo Ferro. A febbraio di quest’anno arriva la notizia: lo stato italiano attraverso la società Invimit, interamente partecipata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, mette in vendita il palazzo e lo fa a un prezzo stracciato, a 4,65 milioni di euro. Parliamo di un teatro storico, centralissimo, a due passi da Fontana di Trevi per intenderci e anche pensando al vincolo del Mic (che impedirebbe di trasformarlo in un hotel) la cifra sembra fin troppo bassa. A quanto pare, secondo le ultime notizie, a formalizzare l’acquisto è stata la United Artist di Roberta Lucca, attrice e moglie di Geppy Gleijeses e l’attuale gestione rappresentata da Rosario Coppolino – che tra l’altro ha già presentato la stagione prossima – non ha potuto far valere il proprio diritto di prelazione (come è stato spiegato in questo comunicato) e per questo ha annunciato battaglie legali.
Ora, è poco interessante la querelle tra i due gestori e saranno i tribunali a scioglierla a meno che non arrivino degli accordi tra le società, ma è la ricaduta sulla questione pubblica che invece merita di essere monitorata: a quale dei due gestori verranno assegnati i finanziamenti del Fnsv legati all’esercizio teatrale del Quirino? Ma ancora più cocente è la situazione legata alla proprietà dell’immobile: lo Stato si priva di un teatro storico per venderlo a un prezzo basso a una società perdendo di fatto qualsiasi controllo sul bene immobile. La lezione impartita dall’esperienza fallimentare dell’Eliseo di Barbareschi non ha dunque insegnato nulla, il teatro storico di via Nazionale è ormai chiuso da cinque anni e guarda un po’ ora la Regione Lazio del Presidente Rocca vorrebbe acquistarlo, ma il prezzo lo fa il privato, ed è di 24 milioni.
Allora il problema forse non è solo nell’occupazione dei vertici del potere culturale, nei singoli festival e nei teatri bocciati, ma riguarda la visione culturale che queste destre hanno del Paese e il rapporto con il patrimonio pubblico; Christian Raimo in questo post parla di “una dichiarazione di guerra del ministero della cultura contro il mondo degli artisti” e tornano in mente le parole del presidente argentino di estrema destra Javier Milei di qualche mese fa: «Non ho niente contro gli artisti. Avevo persino una rock band. Il mio problema è che se hai bisogno di un sussidio statale per fare arte, non sei più un artista, ma un dipendente pubblico». E altresì è un problema gigantesco l’incapacità da sinistra di proteggere i territori della ricerca e, anzi, troppe volte abbiamo visto (sul nazionale o negli enti locali) una certa indolenza che ha reso difficile la vita ai progetti indipendenti e alle nuove emergenze artistiche. E ora al governo hanno gioco facile perché nel caso dello spettacolo dal vivo trovano un un panorama diviso ed eterogeneo dal punto di vista organizzativo ed economico, incapace di unirsi in una lotta unica. E invece le scelte delle commissioni, ormai lo abbiamo capito, avranno bisogno di essere contestate proprio da un fronte comune che possa mettersi in ascolto delle associazioni di categoria, delle reti informali quanto del lavoro dal basso. Si vedano in questo senso le assemblee del 4 e del 7 luglio chiamate dalle attiviste e dagli attivisti di Vogliamo tutt’altro.
Andrea Pocosgnich
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