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Il teatro nella scuola pubblica: dal caos fertile al progetto collettivo

Una riflessione e un appello di Francesco Montagna, fondatore e anima di Carrozzerie Not (insieme a Maura Teofili) e del progetto Allezenfants!, “microfestival dei laboratori teatrali delle scuole superiori di Roma”.

Curioso come in un’epoca di soluzioni semplici a problemi complessi, di formule magiche, algoritmi e intelligenze artificiali non si veda ancora il grande ed evidente potenziale della pratica teatrale all’interno della scuola pubblica italiana.

Non che non sia presente, anzi, molto probabilmente nel liceo che frequenta vostra figlia o nipote troverete il “famoso” laboratorio teatrale scolastico.
Quello fatto magari da un bravo professore o professoressa che ha il pallino per i testi classici e alla quale tanto piace l’Antigone, oppure quello realizzato da uno “specialista esterno” trovato tramite bando che con pazienza, una volta a settimana, riesce a portare avanti un laboratorio di scrittura e pratica teatrale dentro un’aula al terzo piano di un Istituto Tecnico Industriale con i banchi e le sedie da dover spostare ogni volta o magari un’Associazione molto stabile e forte sul territorio che opera grazie ad un finanziamento dato da un Comune o il Ministero dell’Istruzione. Magari un progetto PCTO che riesca a coinvolgere gli studenti e le studentesse in un processo che va dal testo alla messa in scena.

Questo lo stato dell’arte del teatro nelle scuole pubbliche: una presenza costante ma incerta, discontinua, non strutturata e non organica al percorso scolastico, una progettualità in balia di docenti referenti, dirigenti scolastici più o meno illuminati, strutture (a volte) parzialmente inagibili o Consigli Scolastici non interessati a mettere nella propria proposta formativa (POF) il teatro perché “abbiamo già un coro polifonico, grazie”.
È una costellazione in verità bellissima e variegata, un magma primordiale e gioioso in cui nasce il vero reattore energetico del teatro che sarà. Vuoi o non vuoi per la quasi totalità dei teatranti del presente la vera matrice, il mastice amoroso che li ha formati nasce proprio tra i banchi di scuola. Qui, nei corridoi riscaldati male, nelle classi al piano terra, nelle aule magne silenziose o nelle palestre rimbombanti. Qui nasce il teatro italiano.
Nonostante le difficoltà, perciò, il teatro nelle scuole è vivo e lotta insieme a noi.
Potremmo quindi accontentarci, no?

No. Qualcosa non va.

Cos’è che non funziona? Come spesso accade in questo Paese, manca una visione ampia e lungimirante. Mancano prospettive, ambizioni, possibilità. C’è una risorsa preziosa ancora poco esplorata, e manca la volontà di ripensare seriamente cosa significhi fare teatro nella scuola dell’obbligo. In fondo, manca una cosa semplice: la fantasia.

Non si vuole contemplare la possibilità (anche solo la fantasia appunto) di renderla strutturale all’interno del percorso scolastico cercando di farla uscire dalla casualità della fascia pomeridiana per renderla una presenza costante all’interno del programma didattico stesso.
Il fatto è che nonostante il teatro sia presente nella maggior parte delle scuole e che sia fortemente caldeggiato nei programmi del MIM che riconosce e promuove l’educazione teatrale come strumento pedagogico trasversale, utile allo sviluppo cognitivo ed emotivo degli studenti, questo rimane ancora una possibilità per pochi, una vera e propria palestra socio-affettiva frequentata da una minoranza fortunata.
Un laboratorio (che si svolge quasi sempre in orario extracurricolare) può contare su un numero medio che va dai 15 ai 30 partecipanti. Se la partecipazione è massiccia possiamo trovarne magari due all’interno dello stesso istituto (realizzato da uno o più soggetti).
Tutto questo In plessi scolastici che vanno dai seicento ai mille alunni.
Quindi circa il 3%, solo il 3% proverà a fare un percorso teatrale.

Perché quindi non si prova a fare uscire questo laboratorio dalla dimensione dell’élite “curiosa” e provare a restituirlo alla totalità degli studenti e le studentesse? Perché dopo anni di esperienze virtuose e costanti in molte regioni non si decide a fare questo piccolo grande passo?
Con la premessa di non voler creare una massa di aspiranti addetti ai lavori, di professionalizzare centinai e centinaia di attori e attrici ma per contribuire a formare esseri umani migliori. Cittadini e cittadine che sappiano relazionarsi, parlarsi, immaginare.
E quindi ridefinire le domande: “Perché facciamo teatro nelle scuole?” e “Cosa può portare il teatro nella vita degli studenti e delle studentesse?” e ancora “Possono giovarne gli insegnanti stessi?”

Come spesso accade ci si riempie la bocca di questa melassa che è il rapporto scuola-teatro-giovani e la si delega come spesso fa la politica a bei discorsi, bandi e fondi che ci sono, non ci sono, ci saranno, li darà l’Europa, l’ottopermille o il Ministero. Chissà. Rimandare sempre, rimandare comunque. È una storia questa di toppe e rammendi, una bandiera fatta dai colori delle buone intenzioni. E intanto le generazioni passano. Le distanze, la solitudine, il solipsismo, l’isolamento e questo senso di malessere generale cresce. Una rabbia repressa, feroce e sempre più disumana.
Perché non provare a dare una risposta partendo dal teatro?

Certo, ci si può anche domandare se l’ipotesi di inserire il teatro nel programma scolastico e quindi renderlo “istituzionale” sia un rischio. Se il teatro diventasse parte obbligatoria del curriculum scolastico, potrebbe finire per essere trattato come un’attività marginale, trasformandolo in un’altra “ora di religione” o quello che è il flauto dolce nell’ora di musica.
Certamente il problema sarà poi quello di formare anche una nuova generazione di “formatori” e di veri e propri umanisti che guarderanno all’insegnamento del teatro non come l’ennesima anticamera di una professione mancata, un parcheggio o non un ripiego per delle tournée mai arrivate ma dei veri e propri pedagoghi del teatro. Coinvolgere le Accademie e le Università per formarli. Aprire sguardi nuovi. Insomma, iniziare ad avere questa concreta e magnifica Fantasia. Dirlo. Almeno iniziare a dirlo. Senza paura.

Il teatro è del popolo e dal popolo deve ripartire. Senza paura di dirlo. Anzi, forse dobbiamo ricominciare a dirlo costantemente per convincerci del fatto che sia vero. Creare un “tavolo della poesia” e iniziare a realizzarlo, creare il “tavolo del teatro nella scuola” e avere un solo obbiettivo: portarcelo e non farlo più andare via.

L’appello.

Per cominciare a cambiare dobbiamo per prima cosa mappare, mappare e ancora mappare. Chiedere a tutte le persone che leggeranno queste poche righe (vaghe) e, mi rendo conto, insufficienti, la loro esperienza (formatori, docenti e studenti).
Raccogliamo dunque racconti e testimonianze del teatro nelle scuole – potete scrivere la vostra testimonianza nella sezione commenti alla fine di questo articolo – e una volta presa coscienza di questa grandissima comunità che opera silenziosamente e costantemente nelle strutture scolastiche provare a creare una piattaforma di confronto presente e costante. Contarsi. Conoscersi. Condividere una visione.
Sospendendo magari per un po’ il giudizio sulle pratiche specifiche che sono tantissime e valide e variegate e focalizzarci su cardini imprescindibili e forti.
Problemi e punti da affrontare e da combattere nel solo modo possibile: collettivamente.

Coraggio, sempre.

Francesco Montagna

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8 COMMENTS

  1. Concordo pienamente ma non posso non segnalare che già da qualche anno nei licei artistici di Salerno, Palermo, Parma e Busto (quest’anno la sperimentazione si allargherà a Torino e Lecce) è avviata una sperimentazione teatrale autorizzata dal Ministero con D.M.540 del 19 giugno 2019. Gli studenti dopo un biennio comune al terzo anno possono scegliere come indirizzo (vale per l’intero triennio e si conclude con la seconda prova d’esame costituita dalla progettazione registica di un testo della drammaturgia italiana o mondiale) lo Sperimentale teatro. Le discipline curriculari sono: due ore di Storia del teatro, cinque ore di laboratorio di tecniche d’interpretazione e cinque ore di progettazione dello spettacolo; questo orario è settimanale – in quinta, le ore di laboratorio diventano sette. Come riportavo anche sopra, la seconda prova scritta dell’esame di stato è rappresentata dalla progettazione di una regia di un testo a scelta ministeriale. Avevo piacere a condividere questo perché mi rendo conto che molti ancora non ne sono a conoscenza. Una buona serata

  2. Io faccio l’operatore a scuola dal 2006. Ho lavorato nelle condizioni più disparati (autonomamente o per grandi/medio/piccole struttre teatrali). In questo anno scolastico sono stato in 18 classi. Mi piacerebbe molto partecipare a qualsiasi piattaforma o simili abbiate in mente.

  3. Ehi ciao! Condivido molte delle osservazioni che hai fatto, e se posso dire non mi sento totalmente a mio agio a scrivere “solo” un commento su questo sito, anche se sicuramente può essere un inizio, ma se volessi capitanare una ricerca a largo raggio su altri canali (magari con moduli google o simili, con l’aiuto di teatro e critica), cercherei di aiutarti volentieri.
    Non so come sia stata per voi, ma per quanto mi riguarda c’è un pre e un post covid: prima della pandemia ad esempio i fondi erano maggiori e anche se le ore erano inferiori, vi era la possibilità al conseguimento di buoni risultati di sbloccare altre ore.
    Prima, come oggi, i fondi erano stanziati per combattere l’abbandono scolastico, ma la partecipazione degli alunni era trasversale e pressoché universale. Nei progetti post covid, anche a tre anni dalle ultime vere e proprie restrizioni, l3 alunn3 mi sembrano meno costanti, e, cosa ancora peggiore, iperstimolati da centomila attività extrascolastiche, con le quali sembra quasi che dobbiamo entrare in competizione, mentre a mio parere dovremmo coordinarci sia con le materie già curricolari sia con quelle extra come la nostra. Sembra che abbiamo aperto un grande mercato nel quale il miglior offerente vince più studenti: e capiamoci, spesso è proprio il teatro a spuntarla, con il suo aspetto anche ludico, ma non vado fiero di sottrarre allieve e allievi al coding, alle lingue straniere etc.
    Per quanto riguarda la questione extrascolastica o curricolare, spesso ho pensato anch’io che sarebbe meraviglioso che il teatro fosse insegnato universalmente, siamo la patria della commedia dell’arte etc etc. Ma dopo questi pensieri più nazionalistici che altro, mi sono ricordato di quanto mi pesasse fare educazione motoria o musica e quanto mi piacesse al contrario andare nelle palestre delle mie discipline preferite o suonare il mio strumento preferito. Mi spiego: non vorrei che aggiungendolo al curricolo ministeriale come obbligatorio o caldamente suggerito perdesse il fascino selvaggio che, credo, ha avvicinato tutt3 noi che il teatro lo facciamo, viviamo e amiamo come nostra ragione di vita.
    Tuttavia vorrei raccogliere la proposta e non scartarla completamente, portando a testimonianza il fatto che alcune lezioni, singole o monotematiche (max 12 ore per intenderci su un singolo modulo) inserite all’interno dell’anno scolastico in materie curricolari (e per l3 student3 anche un po’ noiose) sono un toccasana sia per la scuola sia per noi “esperti esterni” (è capitata anche a voi questa favolosa dicitura?). Infatti da ormai quasi quindici anni porto nelle scuole uno spettacolo sulla poesia, della durata di due ore, che comprende anche un’attività laboratoriale microscopica, ma nella quale le/i ragazz* si divertono: spesso vengo richiamato, o per fare altre attività simili, o anche semplicemente per essere ringraziato calorosamente da insegnanti e giovani nuove reclute della poesia.
    Quindi, forse, sarebbe interessante essere contattati per fare degli interventi mirati e circoscritti durante il curricolo in maniera strutturata (in abbinata a italiano, storia, filosofia… ma perché no, matematica e fisica! Se ci fosse un o una prof di materie scientifiche interessate mi contatti, vorrei fare qualcosa di bello anche con Voi!) e poi, in maniera davvero strutturata però, essere assunti, utilizzati, financo sfruttati (bene) per fare corsi di teatro extracurricolare con i giovani veramente interessati e magari di scuole e curricoli differenti! Non sarebbe meraviglioso un corso di teatro in cui sociopsicopedagogici si mettono in gioco con il teatro in francese insieme ai linguistici, i classicisti si occupano della scenografia aiutati dagli scientifici che a loro volta si occupano dei costumi?! E’ un esempio come un altro.
    Infine, ci dimentichiamo, per come è impostato il discorso ministeriale, di una parte sostanziale della scuola: le/gli insegnanti! Ma perché no, collaboratrici e collaboratori scolastici, dsga e segretari(e)!
    A costoro infatti destinerei innanzitutto un bel corso di dizione e ortoepia: ne hanno e ne abbiamo davvero bisogno! Per non stancare la voce, per farsi comprendere pienamente, e anche per non trasmettere fastidiose cadenze (sono sardo e il discorso mi tocca particolarmente, anche se so che adesso mille scudi non sardi si alzeranno a nostra difesa dicendo: “ma è bellissimo l’accento sardo!”, Vi ringrazio, davvero di cuore, ma è bellissimo quando si parla il Sardo, molto meno quando si parla l’italiano, ad esempio con uno straniero, che magari non capisce se stiamo andando a pésca o a mangiarci una pèsca…).
    E poi perché no: alcune e alcuni prof si vorrebbero mettere in discussione anche sul palco, e so che in molte parti d’Italia sta già succedendo.

    Insomma, in queste disordinate note spero di averti espresso il mio entusiasmo per il tuo articolo e per l’eventuale iniziativa di coordinamento che vorrai forse attuare: ricordo sempre con piacere Carrozzerie Not da spettatore, e sarebbe bello poterci tornare per conoscere di persona altr* professionist* del settore che vogliano contribuire alla (ri?)nascita di un fermento culturale nelle scuole.
    Altro capitolo da aprire sarebbe poi quello degli spettacoli a cui le scuole assistono…
    ma chiudo qua per oggi e attendo Vostre considerazioni, sperando di aver colto bene il tuo invito.

  4. Sono quindici anni che porto il teatro nelle scuole. Prendo i bimbi dai 3 anni e li accompagno fino all’adolescenza. Nei primi anni in alcune scuole materne andavo curriculare, avevo più di 18 classi. Sono rimasta sconvolta dall’accoglienza delle insegnanti. Un segno evidente di mancata volontà di collaborazione. Arrivando al triste punto che il problema era che io fossi una donna. Si, perché questo è un altro aspetto che mai si racconta.Perché poco si pensa che la scuola è gestita da una maggioranza femminile.Vedevo la netta differenza di come venivano accolti i miei due soci maschi e poi io. A tal punto che non sono più voluta andare. Io sono un’attrice e collaborare, il gioco di squadra è alla base di tutto, così come il gioco del teatro con i bambini deve essere libero da inutili ostacoli e gelosie.Per questo che non ho potuto più tollerare “donna contro donna”, qualcosa che ho scoperto a posteriori, di quante maestre ne soffrono. E io sinceramente non volevo soffrire, non per questo. Ho deciso di essere solo ed unicamente attività extra scolastica,nonostante io tocchi con mano la necessità che tutti i bambini hanno di entrare in contatto con il teatro che è bacino delle più alte emozioni e specchio di una crescita più sana e creativa. Quanti bambini hanno recuperato la parola! Quanti hanno sconfitto la timidezza! Quanti si sono messi alla prova! Quanti sono diventati altro per raccontare se stessi! Tanti, ma non tutti hanno la stessa possibilità. Quanti hanno il diritto di avere il proprio spazio per essere, per creare, per focalizzare, per essere ascoltati e per ascoltare!Il teatro nella scuola dovrebbe essere obbligatorio. Meno psichiatri, psicoterapeuti, logopedisti dai tre anni, più teatro! Meno schermi, più dialogo! Più lavoro di squadra. Quello che dico ai miei bimbi sempre, noi diamo vita alla fantasia e con la fantasia tutto si può fare! E soprattutto lo facciamo insieme.
    Ma non è solo la società a doverlo comprendere, ma deve ancora capirlo la scuola stessa.

  5. Un articolo meraviglioso, finalmente qualcuno che dice quello che bisogna dire con le parole esatte, precise, chiare. Un’altra problematica fondamentale da segnalare è che non c’è un vera conoscenza del mestiere e quindi, spesso, a scuola entrano persone che non hanno nessuna competenza nell’insegnamento della materia, “esperti” raccomandati perché amici dell’insegnante che si presentano con il copione già pronto assegnando le parti ai più portati senza creare minimamente un percorso. Spesso a fare punteggio è una laurea qualsiasi più che gli anni di lavoro come attore professionista. Oppure capita anche che le DSGA ti insultino perché non comprendono che lavoro tu faccia e come devono pagarti, è frustrante oltre che umiliante. Ci sono per parlare, discutere, confrontarci.

  6. Io ho divorziato dal teatro a scuola. Non per scelta, ma per sopravvivenza. Il vero ostacolo? L’ego smisurato di alcuni insegnanti, più preoccupati di mettersi in scena che di creare uno spazio davvero condiviso. Quando il teatro a scuola diventa un palcoscenico per l’autocompiacimento degli adulti, non c’è progetto collettivo che tenga. Il caos può essere fertile solo se c’è umiltà, ascolto e vera apertura. Altrimenti è solo confusione travestita da arte.

  7. Leggere che il teatro italiano nasce dove hai scritto tu mi ha commosso.

    Io ho fatto “teatro” in una classe in verità facendo le supplenze. Intendo qui teatro come è stato ed è il teatro sperimentale e multimediale. Una classe considerata con insofferenza dal corpo docenti è stata una classe in cui sono partito dal lasciar loro spazio per giocare con lo smartphone. Giocano in squadre dentro la classe. Fantastico! Quando ero a scuola io questa cosa non esisteva, il multiplayer era solo al computer o playstation. Da lì siamo passati a “giocare sul serio”. Abbiamo cominciato a fare cerchi in cui si parlava di cosa era necessario per “essere buoni giocatori”. Sono venuti fuori gradualmente punti in comune fantastici: il controllo delle proprie reazioni, il non lasciarsi trasportare dall’emotività, perfino il capire che questo è difficile in giochi dove l’iniziativa va presa per frazioni di secondo e le partite durano circa tre minuti. Da lì siamo passati a guardarci insieme i tornei. Quando li mettevo al rallentatore una parte della classe si dimenava dalla smania di vedere cosa sarebbe successo. Dicevo loro che il rallentatore era fondamentale perché dovevamo capire cosa decidevano momento per momento giocatori in cima alle classifiche mondiali.
    Il breve viaggio si è concluso una volta che abbiamo fatto una sessione di meditazione prima di metterci a giocare. Eccola la classe senza speranza che il corpo docenti considera con insofferenza, entrando nella classe già pronto ad urlare per aggrapparsi al sogno della propria autorità come cosa vera per statuto invece che come cosa che proviene da una fiducia da conquistare. A respirare lentamente e insieme. E in mezzo a tutto questo piccolo viaggio le conversazioni. I ragazzi che vengono spontaneamente a chiederti consiglio sulle loro questioni. Così dovrebbe essere normalmente.

    Credo che sia necessario avere coraggio nel parlare dei pregi del lavoro di formazione, facilitazione, teatro e arte quando è fatto con cognizione di causa e con dietro uno studio importante sui tessuti sociali di cui facciamo parte. E che serva lo stesso rispetto per i ragazzi che per il corpo docenti e anche per le istituzioni. Ogni cosa ha la sua storia e la sua dignità.

  8. Condivido l’idea di una piattaforma di confronto – reale – sulla pedagogia del teatro nella scuola. Sarebbe molto bello!
    La mia è l’esperienza di 10 anni in una scuola primaria e media a Milano – paritaria, non pubblica – in cui l’ora di teatro/movimento espressivo è inserita in orario didattico. 12 classi ogni anno. Tantissimi progetti, impegno, fatiche e grandi gioie. Ne scriverei molto di più – ma questa chat è uno spazio ristretto. Porto una voce di fiducia.

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