Questa recensione fa parte di Cordelia di maggio 25

New York, 10 dicembre 1936: Marta Abba annuncia al pubblico del Plymouth Theatre la morte imprevista di Luigi Pirandello. Ciò avviene anche in Non domandarmi di me, Marta mia, dramma di Katia Ippaso, la quale recupera, vivificandolo, il carteggio tra drammaturgo e attrice, per la regia di Arturo Armone Caruso. Elena Arvigo, come Abba, informa all’inizio dello spettacolo il pubblico del medesimo decesso, e davvero agli spettatori della Sala Futura dello Stabile di Catania sembra che questo si sia appena consumato. Ma il dramma è soprattutto dentro, nel raccoglimento in cui la Abba di Arvigo si rifugia, tra le numerose lettere che invadono lo spazio del suo appartamento a Manhattan. La scena (di Francesco Ghisu) è una macchina di rumori e suoni (di Maria Fausta) posta al servizio della rievocazione. Cigolii, attriti, melodie e canzonette anni ’30 danno avvio al dramma; una valigia, alcuni mobili di gusto déco sono l’essenziale caratterizzazione dello spazio. Tra questi oggetti, in un flebile chiaroscuro, la Abba di Arvigo affronta la sua profonda elaborazione del lutto, ma anche una profonda meditazione sul senso della scrittura e dell’interpretazione. Lo fa attraverso le parole del carteggio, salvate dalla delicata ri-scrittura di Katia Ippaso, il cui testo è opera di recupero poetico, non solo filologico; dalla magistrale interpretazione di Elena Arvigo la quale, nei panni di Abba, ha donato al pubblico non solo la protagonista, ma pure la sua intensa esperienza umana; dalla regia di Arturo Armone Caruso, che ha saputo concedere adeguati tempo e spazio alla presenza dell’interprete. È un bilancio sentimentale, nel senso più puro del termine. Arvigo si addentra in una vulnerabilità delicata e cangiante, sempre lontana da eccessi patetici. Non è soltanto Marta Abba, ma anche le donne che questa ha incarnato: da Nina, che per prima le ha guadagnato la positiva recensione di Praga sull’Illustrazione Italiana, alle numerose pirandelliane (tra le altre: la Madre, Donata Genzi, Ilse) Tutte prendono parte a questo finale colloquio col personaggio, in una rapsodia di lettere, parole, corpo ed esistenze. «La vita la si vive o la si scrive», scriveva il drammaturgo: qui, la si interpreta anche. (Tiziana Bonsignore)
Visto al Teatro Stabile di Catania, Sala Futura. Crediti: di Katia Ippaso, intorno al carteggio Luigi Pirandello – Marta Abba, regia di Arturo Armone Caruso con Elena Arvigo assistente alla regia Giulia Dietrich musiche originali MariaFausta scene Francesco Ghisu disegno luci Giuseppe Filipponio image designer Elio Castellana produzione Nidodiragno/CMC Foto di Manuela Giusto