| Cordelia | settembre 2025
Tra le tre figlie di Re Lear, Cordelia, è quella sincera. Cordelia ama al di là del tornaconto personale. Gli occhi di Cordelia appaiono meno riverenti di altri, ma sono giusti. Cordelia dice la verità, sempre.
Cordelia è la rubrica delle recensioni di Teatro e Critica. Articoli da diverse città, teatri, festival, eventi e progetti. Ogni recensione è anche autonoma, con una propria pagina e un link nel titolo. Cordelia di settembre 2025 è online da oggi, seguila anche nei prossimi giorni, troverai altre recensioni.
#BOLOGNA
BIRDSONG (di Salvo Lombardo)
Tutto è rarefazione e mistero. In una selva di aste verticali (microfoni e lucette sparsi ovunque), un fiotto basso di fumo emerge lento e stagna (sembra di stare in un atto bianco, ti aspetti le Villi zompare fuori da un momento all’altro). Le figure che la abitano sono solitarie. Arrivano, perlustrano e se ne vanno. Altre si fermano solo pochi istanti, osservano con mistero il circostante e di nuovo se ne vanno (deluse?) da dove sono venute. È Birdsong di Salvo Lombardo per Chiasma, visto in anteprima a Danza Urbana Festival di Bologna. Infatti nelle casse audio transitano richiami d’uccelli che si inseguono a potenti ondate, ulteriormente amplificati dalla cassa armonica naturale della ex-chiesa di san Mattia. A una certa, tra le due astanti (Marta Ciappina e Daria Greco), incomincia tutta una lunga verbalizzazione, a partire soprattutto da un testo arrotolato consegnato una all’altra da una cartucciera senza pallottole (#fatepoeminonlaguerra), un vocale scilinguìo barbugliante una lingua ornitologica resa però naturale, normalizzata e insomma senza alcun vero mistero. Quello che vediamo è quello che ascoltiamo. Vi si aggiunge presto anche Camillo Prosdocimo, noto chioccolatore ossia imitatore di versi degli uccelli (e assume sùbito un ruolo centrale, proprio come nel Rigoletto il tenore, non si aspetta che lui). Resta tutto un potenziale spaziale che questi suoni pieni di vita (se diversamente intesi) potrebbero generare. Ma non è così: tutto è portato sùbito in primo piano, con una richiesta di massima esecuzione in un minimo di azione. Infatti poi nel finale ecco che Prosdocimo viene a proscenio per un suo lungo assolo virtuosistico e scassa-orecchie, come proprio un tenore rossiniano (di Gazza ladra) o stravinskijano (Le Rossignol). E non si può che essere rapiti (o infastiditi) da tanto sovraccarico performativo di fischi trilli gorgheggi stridii e ribattute acustiche. Forse solo la trasfigurazione espressiva dei suoi muscoli facciali, per favorire tanta emissione fonica, fa trasparire una possibile prefigurazione non-umana del richiamo non-predatorio, mentre le astanti a corollario lo osservano pacifiche, proprio col binocolo. (Stefano Tomassini)
Ex Chiesa di San Mattia, Danza Urbana. Di Salvo Lombardo con Marta Ciappina, Daria Greco e i canti di primavera di Camillo Prosdocimo styling Ettore Lombardi luci e spazio Maria Elena Fusacchia disegno del suono Fabrizio Alviti vocal coach Lucia Cammalleri tecnica Isadora Giuntini conversazioni Paola Granato, Carlo Lei, Paolo Ruffini, Mirko Stagnaro management Giulia Vanni amministrazione Cesare Benedetti social Elisa Faletti produzione Chiasma coproduzione Oriente Occidente con il sostegno di Lavanderia a Vapore, Teatro della Tosse, Marche Teatro, Teatro Stabile dell’Umbria, La MaMa Umbria, ATCL_Circuito multidisciplinare del Lazio con il contributo di MiC – Ministero della cultura e Regione Lazio
#ASSISI
ACCUSA ALLA LUCE. ATTI DI TEATRO CORALE CONTRO L’OBLIO (regia Samuele Chiovoloni)
Malgrado disti appena qualche chilometro dalla città, l’abbazia di San Benedetto al Subasio è sconosciuta a tanti assisani. Il festival OAOP – in accordo con la vocazione che da anni lo orienta – la ha eletta luogo della performance in cinque atti Accusa alla luce. Si tratta di un’inchiesta poetica sulle “ragioni dell’ombra”, su ciò che, nella storia del pensiero, rischia di rimanere silente, o di trovare udienza attraverso un medium che, fatalmente, lo dissolve. La grazia, per Simone Weil, può offrirsi a noi soltanto come «una notte oscura». Franco Fortini, suo traduttore italiano, insiste sugli «interdetti della memoria», e l’insistenza è qui uno sforzo etico, uno strumento di giustizia restitutiva nei confronti di ciò che la storia tende a cancellare. Eppure non si tratta di illuminare, ma di padroneggiare (o di istituire) i linguaggi dell’ombra.
Chi partecipa agli atti corali è convocato su di un piano del pensiero e del sentire che, fuori da ogni escatologia, pretende l’ardore, e la disponibilità a uno slancio affermativo. La fiducia radicale di Aldo Capitini che il diaframma che separa vivi e morti sia labile, poroso e, infine, arbitrario. E lo stesso vale – è fatto valere – per le tante soglie (e conseguenti dualità) che imprigionano la cognizione: visibile-invisibile, memoria-oblio, salvati-sommersi, pratica-pensiero. I luoghi sono, al contrario, sempre disponibili al viaggio, e alla festa. Sui gradoni erbosi, nella cripta, nello spazio nudo della navata, si dispiega la coralità: la danza evoca uno spasmo creaturale, forse un punto di rottura, al canto sembra essere affidata la grazia di uno scioglimento (quale è il cuore dell’identità occidentale, in questi tempi di grande dolore?). Tutti gli interpreti si muovono con precisione e con forza, onorando un ascolto vicendevole che accoglie senza riserve il pubblico, quasi lo assorbe nelle tensioni di un corpo unico.
Occorre portare in dote il proprio coraggio per ottenere, contro ogni buon senso, la gioia. E occorre porre al centro il gioco per costruire un discorso collettivo. Per immaginare – trasognare – una società, per piccola che sia, capace di mettere sul tavolo, con rigore, le domande ultime.
Visto all’Abbazia di San Benedetto al Subasio, Assisi | Ogni angolo ogni pietra 2025 – Crediti: con Michele Nani, Sara Marini, Paolo Rosini, Giulia Spattini e con la Compagnia del Piccolo Teatro degli Instabili composta da Peter Bartlett, Lucia Betti, Marta Carloni, Mascia Esposito, Giordano Gattolin, Rita Gratani, Francesca Leila, Ludovico Marcucci, Daria Virginia Massi, Annalaura Matarangolo, Laura Pannacci, Valeria Piccioni, Damiano Rocco, Alessandro Sposini, Alice Zingaretti; ideato e prodotto da Piccolo Teatro degli Instabili; direzione artistica e organizzazione Fulvia Angeletti; regia e drammaturgia Samuele Chiovoloni;
#ROMA
A LITTLE BIT OF THE MOON (Anne Teresa De Keersmaeker e Rabih Mroué)
Un duo alterno di voci che ripassano le leggi di Keplero sul moto dei pianeti. Una memoria di quando lui vide per la prima volta lei danzare. Un coincidere creativo e drammatico di data, il 1982, che segnò per lei il clamoroso lancio di Fase. Four Movements to the Music of Steve Reich e per lui l’assistere a Beirut al bouquet notturno delle bombe luminose dell’esercito israeliano orientanti il micidiale massacro di Sabra e Shatila inflitto dai falangisti a un campo profughi palestinese. Non ignorando tutti gli altri soli performativi, sonori, rivaleggianti e simmetrici, ecco la scaletta fatta di teatro, musica e posture nello spazio all’interno della Sala Oceano di India, di A Little Bit of the Moon (con intimo richiamo a The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd), con idee e condivisioni fisiche della coreografa belga Anne Teresa De Keersmaeker, splendida 65enne, e dell’attore artista visivo libanese (ora berlinese) Rabih Mroué, coriaceo 58enne. Un lavoro proposto in giusta consonanza dal Romaeuropa Festival e da Short Theatre. Lo spettacolo è stato generato da un’amicizia, da un progetto di dieci mesi, e da un gesto politico. Il risultato è estremamente lirico, ha un po’ il format di una lecture-performance con frammenti di testi e gesti, e partendo da un prologo scientifico va diritto a una storia di persone che si affrontano imbracciando e suonando flauti traversi, si raccontano e si interrogano occupando i due ovali a terra dei riflettori, percorrendone i bordi, affrontando sfide circolari di piedi, passaggi di respiri lunghi, fasi di colpi alle pareti, e confronti anche a estrema distanza tra l’alta tribuna del pubblico e il confine opposto della platea. Naturalmente è a De Keersmaeker che sono riservate le esercitazioni dinamiche più architettoniche, i voli simulati, i movimenti striscianti. Ma Mroué coi suoi contributi epocali, col suo spirito narrativo, con la sua sapienza sorridente (ricambiata) non è da meno. Il finale è una festa ballata col pubblico, dopo un raro incontro con artisti che hanno condiviso una conoscenza, una rivelazione biografica, un atto speculare di arte vissuta, di arte nobile, mentre ricorre un’era di ignobili offese umane. (Rodolfo di Giammarco)
Visto al Teatro India, Romaeuropa Festival, Short Theatre ideazione, regia, interpretazione: Anna Teresa De Keersmaeker e Rabih Mroué direzione tecnica, suono e luci: Thomas Köppel
#SOVERATO
THAT’S TWISTED (di Baptiste Cazaux)
È un nuovo festival ma già nella sede sua più giusta: a Soverato, sul mare ionico, IRA (già acronimo, ora sostantivo che allude alla presente necessità di reazione anche con uno dei sette vizî capitali) si propone in mille spazî di questa cittadina calabrese che altrimenti non sarebbero visibili, dilagando con la performance come una pacifica (nonmeno inquieta) occupazione del tempo del mare. L’ultimo dei quattro giorni di programmazione curata da Settimio Pisano, ha proposto alcune performance di vero interesse, credo legate da un possibile filo rosso (poi dipanato in modi diversi): quello del disincanto. Ad esempio That’s twisted, un assolo del giovane danzatore francese, ma residente a Ginevra, Baptiste Cazaux, è una reazione al furto di futuro di questa generazione. La performance combina memorie di musiche pop d’infanzia e una gestica da social ma il tutto frullato in una psichedelica nostalgia («nuda malinconia» la chiama), in una temporalità che però non riesce mai regressiva. A muso duro, e come rannuvolato (lui si vorrebbe ‘dissociato’ come «una modalità di resistenza»), Cazaux attraversa più volte lo spazio, il piccolo auditorium dell’Istituto Santa Maria Ausiliatrice di Soverato, sventolando magliette e intonando nel corpo sequenze di movimento (spesso di spalle) che spaziano dalla street dance ai balli di sala, su sostenuti bordoni musicali di Nelson Schaub (anch’egli in proprio performer multimediale). Una frenesia ma intermittente, che anche scruta e osserva prima di ogni ripartenza: una continua distorsione dei materiali per ricomporre i frammenti del presente nell’accadere del tempo (e mi sembrerebbe senza inutili rivendicazioni di essere qualcosa o qualcos’altro, solo il momento di accadere, di divenire realtà al di fuori di ogni cattura del memorabile). In mezzo al pubblico anche alcune suore, le ospitanti di casa convenute però solerti e plaudenti, pronte a dire anche la loro: ed è tutta una meraviglia sulla esemplare umanità di tanto danzare, su come il divino parli attraverso l’arte, nell’evidente bellezza nei corpi dei performer di tutto il creato. (Stefano Tomassini)
Istituto Santa Maria Ausiliatrice, Ira festival Coreografia e performance: Baptiste Cazaux Musica: Nelson Schaub Drammaturgia: Johanna Hilari Occhio esterno: Samir Kennedy Orecchio esterno: Sandar Tun Tun Luci: Justine Bouillet Suono: Gaspard Perdrisat Produzione, amministrazione e distribuzione per il circuito svizzero: Yamina Pilli – oh la la performing art production Distribuzione internazionale: Quentin Legrand – Rue Branly Produzione: HONEYHONEYDANCEDANCE Coproduzione: Pavillon ADC – association pour la danse contemporaine (Ginevra), Kaserne (Basilea) Spettacolo creato nella cornice del programma (AC)COMPAGNONS della Pavillon ADC con il sostegno della Fondazione Leenards That’s twisted è realizzato con il sostegno di RESO – fondi di programmazione 2025
NULLA DIES SINE LINEA (di Roberta Racis)
Con il bellissimo titolo, Nulla dies sine linea (‘nessun giorno senza linea’, ossia mai vera pratica senza esercizio e disciplina: è detto proverbiale riferito al pittore Apelle, riportato da Plinio il Vecchio), Roberta Racis anticipa nella sua pratica di whipcracking (schiocco di frusta acrobatica, a cui si è allenata grazie all’artista Mordjane Mira) il suo prossimo progetto di creazione. «Lo schiocco che una frusta produce ha a che fare con un rilascio di energia immagazzinata a una velocità superiore a quella del suono»: così nel descrittivo di presentazione della performance, ma c’è molto di più. In un largo cortile nei piani alti dell’Istituto Don Bosco (in questa pendice collinare che è Soverato, spesso per scendere occorre salire), la performer con tanto di frusta nera (ogni serio praticante deve farsi costruire la propria, il colore e la lunghezza per esempio non sono proprio dettagli secondarî, come riferito durante il bell’incontro bordo-mare della mattina, con l’ottima Gaia Clotilde Chernetich), e occupa un largo quadrato bianco segnando ghirigori nell’aria, con misura e imperio, la propria presenza. Di fatto liberando nella tridimensionalità della performance tutto un immaginario di sottomissione, e dominio, e punizione che la frusta porta con sé. E riaffermando in termini espressivi «quella potenza femminile che la cultura patriarcale reprime e regola». Ma questo piccolo sonic boom (ripetuto e confermato, quindi aumentato, per tutto il tempo) produce anche una naturale spazializzazione del suono, in una alternanza di tonalità che è prodotta dalla distanza del cracking. Questi primi tentativi compositivi di Racis sono già tutti nel corpo (spostamenti e piegamenti in un carnevale di spirali), non decorativi né illustrativi. Vi è anche una forma di disincanto, perché quanto visto finora è tutto rivolto a «riflettere sul subitaneo e sullʼimpeto», senza gli imperativi dell’autocontrollo e del dominio, anche qui non in modo regressivo ma generativo di pulsione, incontenibile e (come per il desiderio) senza alcuna coercizione. (Stefano Tomassini)
Istituto Santa Maria Ausiliatrice, Ira festival Progetto, coreografia, danza: Roberta Racis Insegnante di Whipcracking : Mordjane Mira Fruste: Silverwhips\ Sylvia Rosat Musica e vocal coaching : Alessandra Diodati Luci: Mattia Bagnoli Foto: Fabio Artese Produzione: Fuorimargine – Centro di Produzione di Danza e Arti Performative della Sardegna Con il sostegno di: Ira Institute, Centro di Residenza della Toscana (Armunia – CapoTrave/Kilowatt), IntercettAzioni-Centro di Residenza Artistica della Lombardia\Teatro delle Moire
CANI LUNARI (di Francesco Marilungo)
Il terzo incomodo è stato il sesto. E non è solo questione di numeri. Per Cani lunari di Francesco Marilungo che ha debuttato a IRA Festival di Soverato (Cz), le cinque interpreti (Barbara Novati, Roberta Racis, Alice Raffaelli, Francesca Linnea Ugolini e la cantante e performer Vera Di Lecce) hanno fatto continuamente i conti con questa sesta incombente ed esigente presenza: il vento. Nello spazio aperto dell’Anfiteatro, a ridosso del mare e raggiunti in lontananza da luci e da suoni molesti della movida di questa parte della costa ionica, il «sabba bianco» voluto da Marilungo, una sorta di tregenda arcaica di streghe estatiche e svagate anche molto divertite perché poco disponibili a essere catturate dalla morsa del simbolico, è stato continuamente violato, forse profanato, di certo contaminato da sostenute raffiche d’aria. Queste hanno sì alterato il corso e l’atmosfera previste dal disegno della performance, ma in fondo hanno creato anche immagini alternative, spostato situazioni e spinto ulteriori nuovi effetti. Il gioco dell’impermanente. Un gran bel pandemonio, completato da altrettanti corvi imbalsamati, che «simboleggiano spiriti guida e anime della soglia», prima adagiati sconfitti a terra, poi tenuti in mano dalle performer, nuovamente svolazzanti tra le folate del vento. Anche il lancio propiziante di piume si è trasformato in un bel carnevale del caos. Marilungo è artista assai studioso, pervicace nell’indagare la ritualità come epifania di un altrove, il disordine come ferita che risana, la baraonda come esperienza dell’alterità radicale capace di sospendere gli orrori del tempo quotidiano (soprattutto l’incombenza della fine, il compianto per chi non è più). Ciò che forse ha funzionato meno è stato il ductus coreografico: alcune facili immagini corali, organizzate con disinvolta estraniazione, hanno reso semplice il macchinoso più intrigante di ogni metamorfosi. Vi è però in questi corpi anche una modalità assai esposta, sono spesso scoperti e alla fine spogliati, modalità coraggiosa perché piena sempre di cura e di garbo che è davvero difficile (oltreché un peccato) intendere altrimenti. (Stefano Tomassini)
Visto all’Anfiteatro di Sovereto, IRA Festival, Coreografia e Regia: Francesco Marilungo, con: Vera Di Lecce, Barbara Novati, Roberta Racis, Alice Raffaelli, Francesca Linnea Ugolini, Costumi: Lessico Familiare, Musica e Vocal Coaching: Vera Di Lecce, Disegno Luci: Gianni Staropoli, Foto e Video: Luca Del Pia, Produzione: Körper | Centro Nazionale di Produzione della Danza, Coproduzione: SNAPORAZVEREIN, IRA Institute.