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WHITE OUT (di e con Maria Hassabi)

Questa recensione fa parte di Cordelia di ottobre 25

White Out di Maria Hassabi visto alla Fondazione Merz di Torino per il Festival delle Colline Torinesi (diretto da Sergio Ariotti e Isabella Lagattolla e organizzato dal TPE – Teatro Astra) è come tutta la violenza di una implosione: il cedimento, nel corpo, del tempo. Originariamente è stata concepita come un’installazione live, parte della personale I’ll Be Your Mirror (Hong Kong, 2023). In un ambiente sonoro che si frappone al rumore in loop delle installazioni circostanti presenti in mostra (Push The Limits 2), e in una condizione visiva che è quella abituale della sala, un corpo esile di rosso vestito si adagia su una bianca panca rettangolare, letteralmente vi si scioglie sopra. Se ne imbianca in una dissolvenza posturale che non implica dissoluzione della figura. Una sfocatura ma non come di un corpo inorganico, resistente invece in tutta la sua articolare anatomia: corpo rotto disteso alla dispersione, alla frammentazione, e tenuto insieme per temporalità impensate, e fuori misura. Si alterna un piano dell’immersione e un piano dell’emersione: da dove? dal bianco, immagino. Per aprire piegature del tempo che ora nel colore si rapprende e ora si arresta. Piegata, distesa, contorta quindi negata e cancellata come in un violento fermo immagine sempre infissabile, Hassabi ospita figure e posture inimmaginabili. Chi è mancato? Cosa ha fatto questo vuoto? Un corpo fermo, sospeso, che danza per via negativa, scultura che dice del vivente, della mobilità della materia. La sua è la forza di un abbandono radicale, alla perdita incondizionata, pur nello sforzo come condizione di una analitica mestizia (il volto, intenso, è dolente e gli occhi semichiusi sempre accorati), mai come una interessata transizione. Non vi è approdo in questo abbandono al movimento di ogni singola cellula: osservo l’inesausta tensione di questa rossa umanità arresa al bianco eppure capace di tenuta. Un corpo fuori asse avvinghiato alla sua seduta: tutto qui. Immensa Hassabi che infine di spalle ritrova la postura verticale, e se ne esce a passi svelti, dopo aver cambiato il mondo. (Stefano Tomassini)

Visto alla fondazione Merz. Festival delle Colline Torinesi. di e con Maria Hassabi su commissione di Tai Kwun Contemporary, Hong Kong sound design Stavros Gasparatos e Maria Hassabi costumi Victoria Bartlett

Cordelia, ottobre 2025

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Stefano Tomassini
Stefano Tomassini
Insegna studi di danza e coreografici presso l’Università Iuav di Venezia. Nel 2008-2009 è stato Fulbright-Schuman Research Scholar (NYC); nel 2010 Scholar-in-Residence presso l’Archivio del Jacob’s Pillow Dance Festival (Lee, Mass.) e nel 2011, Associate Research Scholar presso l’Italian Academy for Advanced Studies in America, Columbia University (NYC). Dal 2021 è membro onorario dell’Associazione Danzare Cecchetti ANCEC Italia. Nel 2018 ha pubblicato la monografia Tempo fermo. Danza e performance alla prova dell’impossibile (Scalpendi) e, più di recente, con lo stesso editore, Tempo perso. Danza e coreografia dello stare fermi.

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