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Prendre soin di Zeldin. O di quando rimaniamo umani nell’inferno quotidiano

Recensione. Alexander Zeldin con il suo Prendre soin (Beyond Caring) ha debuttato al Metastasio di Prato e poi è stato protagonista al Teatro Due di Parma. Il regista inglese è anche ospite delle Giornate d’autore organizzate dal Reggio Parma Festival. 

Foto Jean Louis Fernandez

Alla fine dello spettacolo mi avvicino con altre persone al palcoscenico, probabilmente siamo attirati tutti dalla stessa domanda: è vera carne macinata quella che vediamo? E’ un pensiero ingenuo per certi versi, quasi infantile, ma che in questo caso rivela molto della filosofia teatrale di Alexander Zeldin. La carne per fortuna non è carne, sembra carta impregnata di coloranti (mi diranno poi dell’utilizzo di una resina speciale), l’effetto è incredibile, il palcoscenico del Teatro Metastasio sembra imbrattato di residui di macinato, così i complessi macchinari industriali che occupano buona parte dello spazio. Come d’altronde gli interpreti dell’opera non sono veri lavoratori e vere  lavoratrici per un progetto di teatro documentario, non sono insomma non-attori complici della stesura del testo e ai quali viene chiesto di essere se stessi proprio nel luogo in cui è più difficile farlo, la scena. Sono attrici e attori, e va detto subito: splendidi Nabil Berrehil, Patrick d’Assumçao, Charline Paul, Lamya Regragui, Bilal Slimani e Juliette Speck. Dunque, l’estremo realismo per cui è divenuto popolare il teatro del regista inglese si basa sul vecchissimo concetto della finzione scenica, su quel patto secolare per il quale tu artista fai qualcosa che non ti riguarda direttamente e io  spettatore ci credo fino in fondo grazie al tuo talento mimetico.

Foto Jean Louis Fernandez

Naturalmente questa visione risulta riduttiva nel caso di Zeldin, come avevamo già visto nei suoi due lavori passati in Italia qualche anno fa, a Romaeurooa, Love e Hope, Faith and Charity. A rendere innovativa la poetica di Zeldin è il radicalismo registico e drammaturgico, e lo sguardo politico sul mondo che si riflette nel rapporto col pubblico: anche qui a Prato le luci della platea rimangono accese, con un messaggio chiarissimo, ciò che vedete sul palcoscenico vi appartiene, accade anche nel vostro paese e ora siamo tutti insieme qui spettatori e spettatrici consapevoli e coscienti di questa storia.
Prendre soin è il titolo francese di uno spettacolo di una decina di anni fa, Beyond Caring, riproposto ora con una compagnia di attori d’oltralpe – e infatti coprodotto, oltre che dal Metastasio, dal Théâtre National de Strasbourg e da altri soggetti francofoni. Non solo “prendersi cura”, dal titolo francese, ma anche “oltre la cura”,  dall’originale in inglese: in entrambi i casi si fa riferimento all’idea che degli esseri umani possano prendersi cura degli uni e degli altri anche in un contesto che sembra far di tutto per essere spietato e disumano. Il testo, edito dal 2015 ma ancora senza una traduzione italiana, racconta le giornate di un gruppo di lavoro nel retro di un’azienda che si occupa della trasformazione della carne. La prima scena è quella del colloquio, ne fanno uno per tutti, uno dei lavoratori viene mandato subito via a causa di un problema ai documenti che secondo il responsabile risultano falsi. Sarebbe da premiare la professionalità e dedizione dell’interprete che sta in scena pochi minuti e tornerà di fronte al pubblico solo per gli applausi, eppure la sua performance è perfetta.

Foto Jean Louis Fernandez

Nella scena di Natasha Jenkins le mattonelle bianche fanno da muro posteriore, una grande porta in metallo a sinistra, a destra un’entrata con la tenda in plastica industriale: durante il primo colloquio Nassim, il supervisore del gruppo, va nel retro a prendere “la bestia”, una enorme macchina professionale per le pulizie, uno di quegli strumenti che probabilmente ha bisogno di apposita formazione, in pochi secondi mostra a tutti il funzionamento per poi farla provare. A Nassim sembrano interessare solo le questioni burocratiche, i documenti in regola, e da subito dimostra un evidente sprezzo per la formazione e la sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori.

Spesso viene paragonato il lavoro di Alexander Zeldin a quello cinematografico di Ken Loach, paragone che naturalmente viene utilizzato come lancio promozionale, ma è pur vero che tale immagine è tutt’altro che ingiustificata: è proprio nello sguardo sulla realtà del lavoro, diretto, preciso dettagliato, che ritroviamo qualcosa del cineasta di My Name is Joe e di tante altre pellicole sulla società britannica. «Ci sono moltissime persone chiamate ‘lavoratori poveri’. Le loro vite sono dominate da un unico sentimento: la precarietà. Volevo analizzare cosa significasse vivere in quella posizione: soluzioni temporanee e vite temporanee» affermava Zeldin nel 2014 al The Guardian.

Foto Jean Louis Fernandez

L’ispirazione arriva dal romanzo di Florence Aubenas ” The Night Cleaner” e la precarietà del lavoro e delle vite è ciò che deve emergere. Non c’è spazio per le trame esterne, l’occhio narrativo non esce mai da questo luogo freddo e senz’anima: solo pochi dettagli ci danno conto del mondo esterno e delle vite di chi è al lavoro. Una di loro chiama casa dicendo che non potrà vedere la figlia come programmato perchè non avrà la giornata libera, un’altra porta con sé la propria disabilità in una gamba da trascinare che le fa rallentare il lavoro e subire i richiami del responsabile, un’altra pur senza dire nulla della propria vita fa intendere allo spettatore di avere importanti problemi economici e forse di non possedere neanche un luogo dove tornare a dormire – la troveranno dopo la fine del turno nella sala buia mentre tenta di stendersi tra due sedie. Un grado di dettaglio che fa tornare in mente prodotti narrativi altrettanto radicali, si pensi alle serie The Bear, che si svolge dentro la cucina di un ristorante e ancora di più quella recentissima, The Pitt, tutta ambientata dentro un pronto soccorso di Pittsburgh.
La drammaturgia segue il classico andamento del teatro di Zeldin, niente salti se non quelli che ci trasportano nei giorni successivi, messi in evidenza da un gran frastuono sonoro e dalle luci che per pochi attimi calano anche in sala;  e poi siamo di nuovo lì, di fronte alla realtà del teatro e a quella brutale del mondo. Zeldin non mette degli accenti su ciò che rimane di umano in una situazione così frustrante, ma lascia che emerga in maniera naturale, nelle piccole pause ad esempio, come quando uno dei lavoratori, lettore appassionato dei gialli di Dick Francis – dai quali non solleva mai lo sguardo, come se in quei libri ci fosse l’unica cura contro la solitudine, schermo protettivo contro gli altri – stringerà amicizia con la giovane donna con disabilità, le cucinerà il pranzo e sorrideranno un poco insieme.

Foto Jean Louis Fernandez

Dal debutto di questo testo sono passati 11 anni eppure il mondo non sembra essere molto cambiato dal punto di vista dello sfruttamento lavorativo, del precariato, dei contratti ‘legali’ pagati pochi euro ad ora. Ad agosto 2025 l’Istat contava più di due milioni e mezzo di precari in Italia, un articolo di Repubblica del marzo dello scorso anno segnalava 11 milioni di precari in tutta Europa. E poi ci sarebbe da capire cos’è oggi il precariato, nell’era dei freelance, delle partite iva culturali (che gran parte delle volte sono occupate nel marketing e nella comunicazione), dei lavori a chiamata, a cottimo, a pedalata, un’epoca insomma in cui è più probabile che la vicenda raccontata da Zeldin diventi un classico che una fotografia di un mondo passato.

Andrea Pocosgnich

Visto  al Teatro Metastasio di Prato, ottobre 2025

date successive: 30, 31 ottobre Teatro Due di Parma

Prendre soin

testo e regia Alexander Zeldin
aiuto regia Kenza Berrada
scenografia e costumi Natasha Jenkins
disegno luci Marc Williams
disegno del suono Josh Grigg
movimenti Marcin Rudy
con Nabil Berrehil, Patrick d’Assumçao, Charline Paul, Lamya Regragui, Bilal Slimani e Juliette Speck
produzione Compagnie A Zeldin
in coproduzione con Théâtre National de Strasbourg, Teatro Metastasio di Prato, Théâtre des Célestins, Le Volcan – Scène Nationale du Havre
con la partecipazione artistica di Jeune théâtre national

Cyclorama è responsabile dell’amministrazione della Compagnie A Zeldin e della produzione esecutiva dei suoi spettacoli in Francia.
Alexander Zeldin è artista associato dei Théâtres de la Ville de Luxembourg.
La Compagnie A Zeldin è sovvenzionata dal Ministère de la Culture / Direction régionale des affaires culturelles Ile de France.

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

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