In Prima Nazionale al Romaeuropa Festival, L’analfabeta di Ágota Kristóf nell’adattamento di Fanny & Alexander con protagonista Federica Fracassi. Recensione

Come rispondere alle istanze del presente mantenendo intatta, viva e palpitante, la vocazione alla poesia? Dopo la Trilogia della città di K., spettacolo vincitore di cinque premi Ubu e del Premio ANCT, Fanny & Alexander e Federica Fracassi tornano alle pagine di Ágota Kristóf, per perseguire la loro indagine sull’opera della scrittrice ungherese, in maniera ancora più intima e vibrante. Presentato in prima nazionale a Romaeuropa Festival, in co-realizzazione con La Fabbrica dell’Attore, L’analfabeta attraversa le pagine dell’autobiografia che Kristóf scrisse per una rivista di Zurigo, per carpirne e restituirne lo smarrimento dell’autrice, e le sue profonde risonanze con il mondo intero.

Sulla scena del Teatro Vascello, trasformata in un grande schermo, una sorta di split screen, il linguaggio cinematografico e il linguaggio teatrale si fondono, determinando un costante e raffinato dialogo con nuove prospettive di ricerca, rivisitazioni e sconfinamenti, percepibili sin dalla rigorosa regia di Luigi Noah De Angelis, che sceglie di utilizzare ancora una volta il remote acting, la tecnica dell’eterodirezione che il duo ravennate sperimenta da tempo. Da una parte, lo spazio della performance, quello della fabbrica di orologi, dove Ágota lavora come operaia una volta giunta in Svizzera, e che àncora la protagonista al presente; dall’altra, la dimensione audiovisiva grazie alla quale prendono corpo un moltiplicarsi di proiezioni: voci, ritratti, storie e ricordi di un’intera vita, frammenti e diramazioni evocati dalla narrazione principale che vengono affidati all’unica e mobilissima attrice in scena, Federica Fracassi, camaleontica nel mutare forma e pelle, restituendo quel senso di disorientamento che accomuna Ágota a tutti noi. Dettagli, ingrandimenti, primi e primissimi piani sostengono la densa e sapiente tessitura drammaturgica, curata da Chiara Lagani, in un continuo gioco di rimandi tra differenti piani temporali, tra presente e passato, cadenzati e permeati dalle funzionali e avvolgenti composizioni sonore di Damiano Meacci. Il tempo presente appare sospeso, e viene scandito dai gesti meccanici del lavoro in fabbrica e dall’elencazione dei rituali accadimenti del quotidiano, ai quali è sotteso uno scavo ostinato e poetico nel mettere a fuoco la complessità del personaggio e della sfida a cui è chiamato a rispondere.

Il centro pulsante del racconto è la lingua matrigna – dapprima il tedesco e il russo, poi il francese – sottolinea Lagani -, «che finisce perciò per essere un testo su tutta la sua opera, oltre che sulla sua vita»: una vita, quella di Ágota Kristóf, segnata dalla strenua lotta tra la creatività e le parole nuove, cesellate con una precisione chirurgica al pari degli ingranaggi degli orologi. «All’inizio, non c’era che una sola lingua. Gli oggetti, le cose, i sentimenti, i colori, i sogni, le lettere, i libri, i giornali, erano quella lingua. Non avrei mai immaginato che potesse esistere un’altra lingua, che un essere umano potesse pronunciare parole che non sarei riuscita a capire»: è il legame con la terra d’origine, ma soprattutto il rapporto lacerante con la lingua sconosciuta, nemico da affrontare all’indomani dell’esilio. Ha ventun’anni, Ágota, quando, alla fine di novembre del 1956, raggiunge la Svizzera con la figlia e il marito, lasciando l’Ungheria e tutto ciò a cui non è riuscita a dire addio: il diario della scrittura segreta, le poesie, i fratelli, i genitori, sancendo definitivamente la perdita della sua appartenenza a un popolo. Siamo nel pieno della Guerra Fredda, e la rivolta popolare contro l’invasione del gigante sovietico viene sedata dall’Armata Rossa, producendo ripercussioni nell’Europa intera, divisa tra dissenso e ortodossia. Quando Stalin muore, nel marzo 1953, Ágota vive ancora in collegio, dove si trasferisce all’età di quattordici anni: «non è un collegio per fanciulle ricche, è piuttosto il contrario. È qualcosa tra la caserma e il convento, tra l’orfanotrofio e il riformatorio». In quel periodo, la scrittrice piange «tutte le sere, per mesi interi o per anni», per la perdita della sua casa, ormai abitata da stranieri, per l’infanzia e la libertà perdute. E sullo schermo, tinte di rosso, le immagini di repertorio dei funerali di Stalin sanciscono la trasformazione da ‘padre’ e ‘faro luminoso’ in sanguinario tiranno.

Il dispositivo scenico de L’analfabeta – coprodotto da Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Teatro Stabile di Bolzano in collaborazione con Romaeuropa Festival, AMAT e Comune di San Benedetto del Tronto -, è il luogo dove tutto diviene palpabile, anche il ticchettio degli orologi che scandiscono il tempo in cui le cose accadono, quando il gioco e l’immaginazione appaiono perduti e la scrittura torna, sempre, ad essere rifugio, conquista dell’infanzia felice, delle corse a piedi nudi nel bosco, degli alberi su cui arrampicarsi, finanche dei profumi, come quello della cucina della madre di Ágota, che «sa di caldo estivo, sempre. Anche in inverno». La ricerca di Fanny & Alexander è un’indagine al microscopio della vita e della produzione artistica della scrittrice ungherese, una riflessione profonda sul fare arte e sulla possibilità di cercare sempre nuove direzioni. Le parole stesse divengono spazio da percorrere e da attraversare, in un continuo rimando tra il dentro e il fuori, tra il vissuto personale di Ágota e il confronto con la Storia. Come afferma Lagani, la voce di Ágota Kristóf risuona attualissima perché ci parla anche del nostro presente, «i conflitti che racconta ci fanno pensare a quelli di oggi, da Gaza all’Ucraina. E pure le conseguenze che la guerra produce sono attualissime: l’abbandono forzato della patria, l’erranza, l’atrocità dello sradicamento, l’uccisione della lingua materna».

Un racconto intimo e, allo stesso tempo, collettivo, poiché – come afferma Albert Camus nel discorso tenuto in occasione della consegna del Nobel che gli viene conferito nel 1957 -, l’arte non è gioia solitaria, ma obbliga «l’artista a non isolarsi e lo sottomette alla verità più umile e più universale»; è un mestiere nobile che «avrà sempre le sue radici in due difficili impegni: il rifiuto della menzogna e la resistenza all’oppressione». E allora facendo ritorno alla domanda iniziale, ne L’analfabeta di Fanny & Alexander emerge con forza la capacità della ricerca artistica di divenire strumento fondamentale per affinare, mediante il linguaggio poetico, l’indagine sul reale, e per restituire corpo e voce a quanto resterebbe sommerso, trascurato dal resoconto storico.
Giusi De Santis
Visto al Teatro Vascello, Romaeuropa Festival – ottobre 2025
L’ANALFABETA
di Agota Kristof
con Federica Fracassi
regia, scene, luci e video Luigi Noah De Angelis
sound design Damiano Meacci
traduzione e adattamento Chiara Lagani
allestimento multimediale Voxel
costumi Chiara Lagani
organizzazione e promozione Andrea Martelli, Marco Molduzzi
amministrazione Stefano Toma
produzione E Production, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Teatro Stabile di Bolzano,
in collaborazione con Romaeuropa Festival, AMAT e Comune di San Benedetto del Tronto
Presentato in corealizzazione con La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello













