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La lettre di Milo Rau. Comico ma non troppo

Sul palco del Teatro Vascello in prima nazionale è giunto a Roma Milo Rau con La lettre per Romaeuropa Festival 2025. Una riflessione sul rapporto tra verità e finzione, un attraversamento insolito del comico. Recensione

La platea brulicante del Teatro Vascello mormora prima dell’inizio, qualcuno cerca il proprio posto scivolando tra le gambe di chi è già seduto, qualcuno si ingegna ad incastrare la giacca in qualche anfratto tra i sedili, altri poi discutono sulla durata dello spettacolo: c’è chi dice sia 75 minuti, come scritto sul sito, chi invece giura di aver sentito dire in giro sia lungo due ore e venti minuti; panico tra gli astanti, qualcuno azzarda: “Vabbè, ma è una lettera, che se dovranno di’?”; rincara l’amico: “E infatti: uno la scrive, l’altro la legge; poi finisce là”. La lettre, debutto assoluto di Milo Rau per Romaeuropa Festival 2025, inizia allora prima di iniziare, quando cioè gli spettatori pur non sapendo cominciano ad affilare la propria partecipazione a uno spettacolo che li vorrà protagonisti. Sulla scena è già posizionato un tavolino di legno con qualche oggetto ordinato, fogli, per lo più; ci sono poi sedie, sparse un po’ in giro, una di esse ha una spada antica infilzata dietro lo schienale, per tenersi eretta; alle spalle poi sono tre bandiere issate in fila, alla stessa distanza l’una dall’altra: una bianca, una rossa, una verde, chiaramente i colori della bandiera italiana. È infatti questo uno spettacolo che – la committenza di Avignone è quella di realizzare una pièce essenziale, senza video o grosse scene – ha intenzione di dialogare con i luoghi in cui viene realizzato, non ultimo dunque l’Italia che lo stesso Rau ha abbondantemente frequentato e con cui ha inteso entrare in relazione anche qualche giorno prima del debutto, nei giorni delle proteste per Gaza e la Global Sumud Flotilla, inviando una lettera pubblicata qui anche dal nostro giornale.

Foto Piero Tauro

La lettera – non quella dello spettacolo ma quella diretta ai teatranti italiani – aveva come titolo “Resistere ora!” e invitava artisti e artiste a prendere coscienza del proprio ruolo intellettuale e non tacere di fronte al massacro, provocando tuttavia una serie di proteste e mugugni tra chi, molte e molti, da anni lotta e dedica la propria arte e la propria vita alla presa di posizione politica. In quella lettera Milo Rau, formalizzando che lo spettacolo in arrivo in Italia fosse dedicato al “bisogno di bellezza e di essere comunità”, al rapporto tra genitori e figli e all’amore per l’arte e il suo ruolo, afferma però anche come senta lo spettacolo ormai, in quei giorni allarmati, “fuori luogo”, più precisamente “un grande silenzio, anzi una menzogna”.

Ma andiamo con ordine: un attore (Arne De Tremerie) e un’attrice (Olga Mouak) innescano fin dal principio un dialogo diretto con la platea, veicolano le loro parole per l’arte in modo da mescolare le loro riflessioni o esperienze personali pregresse – non estraneo, questo processo, ad altre opere di Rau – con l’evocazione di scene tratte da Il Gabbiano di Anton Čechov o la vicenda di Jeanne d’Arc, per come è stata trattata nelle varie espressioni artistiche delle diverse epoche (principalmente dalla pittura e dal cinema). Per l’opera cechoviana chiedono la partecipazione di chi voglia prestare la sua voce, dal posto, o presenza, sul palco; dunque una persona salirà – e li resterà – per mostrare i cartelli dei vari capitoli, altre persone da sedute interpreteranno, per mezzo di un paio di battute su fogli stampati e un banale oggetto scenico, tre personaggi minori dell’opera.

Foto Piero Tauro

L’effetto che ne nasce è d’impatto, data la qualità attorale dei due sulla scena, ma nella struttura il lavoro si manifesta frammentato, decisamente caotico, mancando forse nella più limpida delle missioni dell’arte, quella di avere chiaro un obiettivo, una finalità esaustiva nel metterla in opera. È probabile che la scelta di convocare su questo palco Il Gabbiano di Čechov, uno dei testi più profondi e articolati sul ruolo dell’arte nella vita e, forse, anche l’inverso, non sia stata particolarmente felice, soprattutto per aver privilegiato le sole scene di dialogo tra Kostja e Nina, con l’apparizione di Arkadina come assistente vocale, ossia per aver utilizzato Čechov in modo strumentale, compiendo una forzatura nell’eliminare molte parti funzionali e decisive per assimilarne lo sviluppo. Il riferimento a Jeanne d’Arc, necessario a quanto si dice per la carriera di Mouak, sembra più centrato, ripercorrendo alcune scene madri che il cinema le ha tributato, esplicitando così la peculiarità del personaggio, da un lato, ma anche l’assurdità di certe scelte narrative nell’esporlo al pubblico di varie epoche.

Foto Piero Tauro

La lettre è dunque uno spettacolo che va letto, nella carriera di Milo Rau che ha conquistato il suo pubblico con folgoranti messe in scena, come una sperimentazione in un territorio meno usuale per il suo modo di fare teatro o, meglio, come un attraversamento curioso dei meccanismi del comico, per il quale passa molto di questo lavoro: le situazioni create sul palco, con gli spettatori partecipanti o solo evocando alcuni racconti biografici – veri o verosimili – offrono un’occasione per la leggerezza. C’è ad esempio un episodio, una telefonata “in diretta” che Mouak fa alla propria madre, si immagina a casa in Francia, per chiederle il motivo della sua avversione (presunta) per questo mestiere d’attrice; è questo un momento in cui la biografia entra pericolosamente in scena, eppure questa “live action” che così fortemente si imprime perde potenza perché appaiono i sovratitoli della traduzione; è verità? È invece menzogna? Torna questo termine, in fondo a tutto. Quello della lettera inviata pochi giorni prima. Non colpì forse allora in modo tanto intenso, ma ad ascoltare le brevi frecciate alla politica italiana, di stampo retorico e poco approfondite, di facciata, viene in mente che forse quella lettera valga un po’ quanto questa, in cui verità e menzogna si rincorrono, si toccano, mostrano infine però anche il trucco dietro la magia, i sovratitoli di una traduzione superficiale.

Simone Nebbia

Visto al Teatro Vascello, Romaeuropa Festival  – Ottobre 2025

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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