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DONALD (di e con Stefano Massini)

Questa recensione fa parte di Cordelia di ottobre 25

Donald. Storia molto più che leggendaria di un Golden Man è innanzitutto un esperimento di autocritica e di autoanalisi: più che una biografia, un’analisi anatomica dell’immaginario che ha prodotto il mito. «Una strana storia di cui potremmo addirittura riderne». Sul palco del Piccolo Teatro, nel solco della sua drammaturgia dedicata ai “personaggi neri” della storia recente e ora del presente, Stefano Massini convoca la figura di Donald J. Trump per scomporre il dispositivo che ne ha reso possibile l’ascesa: l’ossessione per la rappresentazione e l’adorazione del luccichio come surrogato di verità. Così, ben prima del suo ingresso in politica, Trump viene usato come un dispositivo narrativo, lente d’ingrandimento dei contemporanei sistemi sociali. Prima emarginato nella genealogia familiare — la madre scozzese, il padre tedesco, gli sputi destinati a quell’eredità “sospetta” negli anni ’50 — poi bulletto famelico, dove la ferita identitaria si coagula in brama di riscatto: da campione di flipper a capitano della squadra di baseball, da golden baby a golden boy a Golden Man. Massini scava in questo cortocircuito, con una capacità di scrittura più incisiva rispetto alla sua teatralità divulgatrice e affabulatoria, affiancato da una band che ribadisce che la storia di ascesa di questo uomo d’oro è, in fondo, una partitura jazz: improvvisata, sincopata, imprevedibile. La scena si trasforma in un climax fino alla provocazione visiva dell’eccesso, mentre si accende di insegne, loghi, luci e promesse abbaglianti, tutto volutamente fuori misura. È qui, dove la narrazione procede e alimenta un corpo che assorbe miti americani e li rilancia in forma grottesca, che l’iperbole scenografica ripropone una questione ricorrente nella storia umana. Perché Massini non racconta solo Trump. Racconta il sistema che l’ha incoronato, la società che lo ha reso possibile, la platea (reale e metaforica) che ha voluto credere alla storia più abbagliante, pur sapendola pericolosamente fragile. (Andrea Gardenghi)

Visto al Teatro Piccolo di Milano. Crediti: di e con Stefano Massini, scene Paolo Di Benedetto, luci Manuel Frenda, costumi Elena Bianchini, musiche Enrico Fink, eseguite da Valerio Mazzoni, Sergio Aloisio Rizzo, Jacopo Rugiadi, Gabriele Stoppa, produzione Fondazione Teatro della Toscana

Cordelia, ottobre 2025

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Andrea Gardenghi
Andrea Gardenghi
Andrea Gardenghi, nata in Veneto nel 1999, è laureata all’Università Ca’ Foscari di Venezia in Conservazione e Gestione dei Beni e delle Attività Culturali. Prosegue i suoi studi a Milano specializzandosi al biennio di Visual Cultures e Pratiche Curatoriali dell’Accademia di Brera. Dopo aver seguito nel 2020 il corso di giornalismo culturale tenuto dalla Giulio Perrone Editore, inizia il suo percorso nella critica teatrale. Collabora con la rivista online Teatro e Critica da gennaio 2021.

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