Si è recentemente tenuta la conferenza stampa di presentazione della nuova stagione teatrale del Teatro Pirandello di Agrigento. È stata l’occasione per una conversazione con Roberta Torre, nominata nuova direttrice artistica in seguito alle dimissioni del suo precedente, Francesco Bellomo.

Siamo ancora ad Agrigento Capitale, dove forse possiamo salutare una piccola, e forse proprio per questo ancora più radicale, novità: la nomina di Roberta Torre alla direzione artistica del Teatro Pirandello. Il suo profilo, designato con un atto di oggettiva responsabilità dal direttore uscente, ci sembra più che idoneo e lascia ben sperare. D’altronde, Torre conosce bene la Sicilia: dopo gli studi a Milano (alle Civiche Scuole Luchino Visconti e Paolo Grassi) ha vissuto a lungo a Palermo, luogo delle sue prime esperienze cinematografiche – tra tutte, il musical Tano da morire. Al termine della conferenza stampa di presentazione, abbiamo discusso dei suoi progetti in uno dei luoghi più svantaggiati dal disequilibrio territoriale.
Ripercorriamo il tuo rapporto con la Sicilia. Hai vissuto molto a Palermo, ma adesso ti trovi in una città molto diversa e per di più in un momento anche abbastanza critico
Quando sono giunta a Palermo erano gli anni Novanta e io avevo ventotto anni. Mi chiamarono per un festival, Palermo Cinema. Avevo diretto un piccolo film per un saggio della mia scuola di cinema a Milano e andai a presentarlo. Io già conoscevo Palermo, ma una volta arrivata mi dissi: questo è un posto fantastico, quasi quasi resto. Erano anni particolari, in cui era tutto da costruire. Per quanto riguarda il cinema, c’eravamo io, Daniele Ciprì e Franco Maresco. Avevo davanti un territorio nuovo su cui lavorare, su cui investire tempo e conoscere nuove storie. Una cosa pionieristica. Sul mio arrivo ad Agrigento: vivendo un po’ fuori, anche lontano da certe logiche, non vedo bene dove sia il punto critico. Semplicemente, mi giunge la proposta di questa direzione artistica, in seguito alle dimissioni di un precedente direttore (che comunque ha fatto bene il suo lavoro). Io dico: bene, ci sto. Io vedo un meraviglioso teatro, una città che per me potrebbe essere Capitale della Cultura sempre, e ti assicuro che le persone con cui mi sono confrontata sono entusiaste di venirci. Penso ad Elio de Capitani, chiamato il giorno dopo la mia nomina: è voluto venire assolutamente. E come lui tanti altri artisti sul territorio nazionale e internazionale.
Il programma di questa stagione era in parte stato definito dalla precedente direzione. Qual è stato il tuo apporto e quali attività pensi per il territorio?
Quando sono stata contattata, a giugno, il programma era stato già confezionato dal precedente direttore. Sono mie proposte I corpi di Elizabeth di Elio de Capitani e Cristina Crippa e un lavoro di Donatella Finocchiaro. L’apertura di novembre è ancora da definire, ma vedrà il coinvolgimento di un nome bello, nazionale, interessante. Ho lavorato molto su due progetti speciali: uno è Passo a due e l’altro è il Pirandello Fringe Festival, una creatura che sento mia e che vorremmo diventasse di respiro internazionale. Per il primo ho coinvolto subito Gianluca Arnone, agrigentino, caporedattore della rivista Cinematografo. Il progetto prevede un percorso tra cinema e teatro, attraverso il coinvolgimento di protagonisti della messa in scena [tra cui Donatella Palermo, Mario Martone]. La sala del teatro Pirandello ha una meravigliosa proiezione cinematografica: è una delle prime cose che ho appurato. Il Pirandello Fringe Festival nasce invece con l’idea di lavorare sull’opera di Pirandello in senso non soltanto classico. In questo progetto ho coinvolto anche Gianfranco Tuzzolino, presidente del Polo Universitario di Agrigento. Vogliamo rivolgerci alle nuove generazioni, perché credo sia questo il percorso giusto da intraprendere. Stiamo lavorando al bando, che sarà aperto a persone dai 18 ai 35 anni. Gli incontri si terranno nel corso del prossimo anno, e saranno curati da Ottavio Cappellani, il quale ha già tenuto con successo questo tipo di format al Teatro Stabile di Catania, ma non su Pirandello nello specifico. Ci anche saranno piccole masterclass con scenografi, costumisti e altre figure. I partecipanti scriveranno piéce teatrali e le metteranno in scena in tutta la città, anche in luoghi della periferia, secondo una mappa che consegneremo ai corsisti. Ci sarà una valutazione e lo spettacolo premiato sarà messo in scena nella stagione teatrale successiva. Cosa importante: La Sicilia pubblicherà tutti i testi.

Parliamo di una città in cui spesso la cultura teatrale e letteraria del Novecento è stata travisata in retoriche discutibili. Il progetto come intende porsi con questo rischio?
Quello del Pirandello Fringe Festival è un tipo di format che io ho visto lavorare molto bene a Venezia, presso l’Università per Stranieri, dove da un paio di anni svolgo degli incontri. Le attività sono aperte a studenti internazionali, chiamati a creare corti andando in giro per la città. Ora, anche Venezia è un luogo in cui ha peso una certa retorica. Ma questi sguardi, che vengono dal Giappone, dalla Cina, dall’America, sono sguardi nuovi, che evitano il pericolo di scadere nella cartolina. Non è intenzione di nessuno fare un discorso colonialista: la ricchezza che c’è qui è fuori discussione. Ma perché non creare un ponte – visto che di ponti si parla tanto, anche svilendo l’identità insulare della Sicilia? Se tu non crei rete tra le persone ognuno rimane soffocato dentro il suo mondo. Io ne sono un esempio: arrivo da Milano, ma ho assimilato tanto di questo luogo. Me ne sono andata dalla Sicilia quando ormai non ero più permeabile, paradossalmente, perché ormai avevo assorbito tantissimo della sicilianità. Allora questo percorso ha avuto bisogno di rilasciarsi, per recuperarsi in un momento successivo. E poi mi sono chiesta, e non solo io, se in questo luogo che ha dato i natali a Pirandello, possa in qualche modo esistere un qualche erede. Chissà, mi piace pensarlo.
Direi che possa essere più facile trovare gli eredi di certi suoi personaggi.
[Ride] Guarda, il surrealismo è una cifra che ho sposato in lungo e in largo, quindi per me è solo un piacere se conosciamo i successori dei suoi personaggi. Per me è un plus. Vedi, tutto dipende dallo sguardo. Fortunatamente stiamo parlando di teatro, di arte, dove tutti questi codici si possono, anzi si devono recuperare. Penso alla cultura popolare, ad esempio. Spesso ci dimentichiamo che la parola pop deriva proprio da popolare. Dove si è persa la cultura popolare si è perso un pezzo della storia d’Italia, perché questa fa parte delle genti. Cultura alta e bassa, ammesso che questa distinzione abbia senso, devono dialogare. Altrove la cultura popolare non ha la potenza che ha ancora in Sicilia. Ma l’isola è talmente ricca di possibilità, da essere a volte anche molto chiusa alle contaminazioni. Invece le contaminazioni creano apertura. Mi piacerebbe avviare un processo di osmosi, perché se tu metti vicino delle cose che apparentemente non dovrebbero mai stare a contatto, magari a poco a poco ne escono diverse. Quando c’è così tanta ricchezza, va fatto.
Le tue parole rispecchiano un’esperienza anche personale. Come pensi che possa reagire il pubblico rispetto a queste possibilità di contaminazione?

Io ho vissuto quasi metà della mia vita in Sicilia e un’altra metà a Milano. Se guardiamo all’esistenza di una persona, è un arco di tempo consistente. Possiedo codici di entrambi i luoghi: la mia nascita artistica è stata siciliana, anche se non lo è la mia nascita biologica. Mi auguro che l’osmosi di cui parlavo possa far dialogare le migliori energie da entrambe le parti. Il punto non è che questo territorio è difficile. Bisogna sempre, in generale, comprendere come un territorio possa assorbire quei germogli che tu fai uscire. È come quando dirigi film. A un certo punto li lasci, li fai uscire. Poi il pubblico, ultimo tassello della creazione, può rispondere in un modo o in un altro. È meraviglioso questo fatto che tu crei una cosa, la lasci andare nel mondo e questo ti ridà qualcosa di imprevedibile in cambio. Io penso sempre al destino che ha avuto il mio Tano da morire, visto dai ragazzi di oggi come se lo avessi fatto ieri. La Sicilia è una visione del mondo, come diceva Sciascia. Il sud lo è sempre in tutte le sue manifestazioni, ma qui veramente… L’insularità è affascinante, questa sensazione di essere circondati dal mare è forte. Ti crea un altro carattere.
Tiziana Bonsignore













