Recensione. In scena all’Ambra Jovinelli il nuovo spettacolo diretto da Valerio Binasco su testo di Andrew Bovell, Cose che so essere vere.
In virtù di domande e risposte di cinque anni fa, ho avuto modo di superare gli oltre 13.000 chilometri che separano Australia e Italia, capendo quanto un drammaturgo come Andrew Bovell, nato a Perth, fosse ispirato da polifonie, collettivi, e destini di generazioni interconnesse. Con l’attuale accoglienza data a un secondo testo del suo repertorio, sento il bisogno di segnalare alcune analogie contenutistiche e di narrazione riscontrabili in due tra le più riuscite sue drammaturgie: in When the Rain Stops Falling del 2008, adottato da noi da lacasadargilla, spiccava il senso di un albero genealogico, di una saga stratificata e di un’alluvione ciclonica e dell’anima (in ottant’anni, dal 1959 al 2039), e oggi m’avvedo che nel circolante Things I Know to be True del 2016, tradotto Cose che so essere vere, acquistano centralità la memoria d’un albero da giardino, un gruppo familiare di due genitori e quattro figli, e un’irrigazione costante riservata a numerose piante da parco (in un periodo di un anno). Parlo di quest’ultimo spettacolo durante le repliche romane al Teatro Ambra Jovinelli, fino a domenica 22 dicembre, con regia di Valerio Binasco, anche coprotagonista (Bob) con Giuliana De Sio (la moglie Fran) della produzione dello Stabile di Torino condivisa dagli Stabili di Bolzano e del Veneto. Cast completato da Giordana Faggiano (Rosie), Stefania Medri (Pip), Giovanni Drago (Mark, che diventerà Mia), e Fabrizio Costella (Ben).
Andrew Bovell è un autore drammatico munito di doti d’osservazione della nostra epoca e di tecniche di scrittura contemporanee, strumenti che quasi lo potrebbero apparentare, per sensibilità, alla dimestichezza con disastri interni e con sventure sociali cui nel secondo ‘900 ricorrevano i ritrattisti scenici di un’umanità debole o spregiudicata, tipo Tennessee Williams. Ma a fare assai la differenza, qui, c’è che le contraddizioni dei personaggi di Bovell sono proprio tra noi, negli sfaceli dei nostri giorni, e a contatto diretto con la cultura e lo sguardo dell’autore ne sa qualcosa Valerio Binasco che ha vissuto cinque anni in Australia, facendo avanti e indietro per gli allestimenti richiestigli da nostri teatri e compagnie, fino a tornare lui stesso a recitare, a essere irrinunciabilmente attore. E Binasco, tenetelo d’occhio in scena, non interpreta ma “è” un ex impiegato d’una ditta di automobili in cassa integrazione, non impersona ma “è” un marito premuroso e fatalmente goffo, non rappresenta ma “è” un padre struggente e vagamente patetico e maldestro di quattro figli, non mima ma “è” un capofamiglia della provincia australiana, con passatempi da pollice verde, con bermuda e boots da uomo australe. Binasco è un profondo artista nella misura in cui esprime la dolcezza d’un maschio, l’infinita ignoranza d’un pensionato, la totale impotenza d’un genitore per caso, la vulnerabile coscienza d’un cittadino avulso di un meridione d’una Australia extrametropolitana. È per questo che il suo Bob sta a cuore in modo indulgente alla quaterna dei figli che se ne andranno altrove, cresceranno prendendo le distanze, non potendone più, conservando un esplicito rispetto solo per la madre infelice che ha fatto tutto per governare un nucleo di infelici. E curando il livello quasi zero di una mancata identità, Binasco mette a segno una delle sue più struggenti, commoventi prove sulla ribalta.
Bovell mette in sequenza le stagioni, i primi piani caratteriali, i monologhi umani e disumani, e sfida lo spettatore disattento iniziando il copione con un preludio del tragico finale.
Non si può fare a meno di dare presto il turno alla figura che gestisce, turba, influenza, profetizza, sconvolge, consola, distrugge, manomette, traina, smaschera la jam session di questo micro-corpo comunitario apparentemente in armonia e concretamente nel caos: entra in campo Fran, la madre, capo infermiera, una Giuliana De Sio mai vista così temprata, associata, partecipe, caposquadra, lettrice nei pensieri, invasiva-perché-già-lei-
E poi i figli, quattro segmenti non ordinari che sono stati generati da questa coppia.
L’erede più giovane, Rosie, 19 anni, ha il compito di aprire e chiudere la storia, e Giordana Faggiano se ne appropria con lo spirito di un’autostoppista del mondo, di una spacciatrice di prologhi ed epiloghi in cui, all’inizio, pesano un’ardua delusione sofferta in Europa (immediatamente individuata dalla genitrice) e una nostalgia per il ceppo originario, con declinazione piuttosto paterna. Questa sorella minore è la più amata, la più mediatrice, la più irrisolta finché non punta a una lontana scuola australiana di scrittura creatrice e se ne va.
Pip, impiegata, 34 anni, un marito e due figlie, è scorrevole e sostenuta per la prole, e poi Stefania Medri un giorno arriva per dire che ha un’opportunità professionale a distanza e che s’allontana da tutta la famiglia, presto ammettendo che la nuova sede le permetterà di vedere un amante. Scelta crudele. Ma lei, da giovane, ha scoperto una fuga mancata della madre (che si traduce in una profonda rivelazione dei coniugi).
Nel frattempo assume identità emotiva una canzone bellissima di Leonard Cohen.
Mark, bibliotecario, 32 anni, creduto gay dai suoi, li informa d’una sua prossima transizione di genere. L’impresa di Giovanni Drago è la più incompresa, toccante, lancinante. In un’altra città.
Ben, operatore finanziario, 28 anni, spinge Fabrizio Costella a una deviazione economica di segno incontrollabile. Un altro ramo rotto.
La scena girevole di Nicolas Bovey conclude le sue orbite. Lavoro importante, protagonisti importanti. Da vedere poi a Fano, Padova, Treviso, Salerno, Prato.
Rodolfo di Giammarco
Dicembre 2024, Teatro Ambra Jovinelli, Roma. In scena fino al 22 dicembre
Prossime date tournée in calendario
3 – 5 gennaio 2025 | Teatro della Fortuna | Fano
8 – 12 gennaio 2025 | Teatro Verdi | Padova
16 – 19 gennaio 2025 | Teatro Mario del Monaco | Treviso
23 – 26 gennaio 2025 | Teatro Verdi | Salerno
30 gennaio – 2 febbraio 2025 | Teatro Metastasio | Prato
COSE CHE SO ESSERE VERE
di Andrew Bovell
traduzione Micol Jalla
regia Valerio Binasco
con Giuliana De Sio, Valerio Binasco
Fabrizio Costella, Giovanni Drago, Giordana Faggiano, Stefania Medri
scene e luci Nicolas Bovey
costumi Alessio Rosati
suono Filippo Conti
video e pittura Simone Rosset
assistenti regia Fiammetta Bellone, Eleonora Bentivoglio
assistente scene Francesca Sgariboldi
assistente costumi Rosa Mariotti
tirocinante Università di Torino/D.A.M.S. – Beatrice Petrella
tirocinante Accademia Teatro alla Scala – Marina Basso
Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
Teatro Stabile di Bolzano / TSV – Teatro Nazionale
In accordo con Arcadia & Ricono Ltd per gentile concessione di HLA Management Pty Ltd
Cose che so essere vere è stato prodotto per la prima volta dalla State Theatre Company of South Australia e da Frantic Assembly nel 2016.