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I PIANTI E I LAMENTI DEI PESCI FOSSILI (Annamaria Ajmone)

Questa recensione fa parte di Cordelia di ottobre 24

C’era un tempo in cui i pesci comunicavano parlandosi in modo gentile. Era un tempo lontano, non connotato dalla presenza umana. Ora, nel mondo che noi tutti conosciamo, quei pesci urlano per farsi sentire. Che ne è della risonanza della loro voce? Che ne è del loro lamento nello spazio-tempo dell’uomo? Annamaria Ajmone si fa interprete di questa vocalità assente, una vocalità forse solo perduta, e assieme a Veza Maria Fernandez Wenger ne ricostruisce la genealogia, avviando la performance prima con una gestualità fluida di ricerca – sono mani che fendono l’aria aprendola, cercando una dimensione propria in essa, di matrice più spaziale che sonora – poi con uno studio rigoroso basato sulla vocalità profondissima, che parte dal fondo dello stomaco per salire e passare fin su dalla gola, una vocalità su cui sembrano originarsi tutte le cose – quella negata alla natura e quella ritrovata dall’essere umano che cerca di riconnetervisi. Su un tappeto di pitture fossili a cura di Natália Trejbalová, Ajmone con precisione e cura continua a cercare i lamenti di chi non c’è più: lo fa con un’attenzione nuova, attraverso una relazione vocale ma anche uditiva con l’altro da sé. Così, le sue frequenze sonore si intrecciano con quelle di Veza Maria Fernandez Wenger, connotando lo spazio di presenze altre, che non appartengono al nostro tempo, ma che sono tracce, testimonianza di un passato che incessantemente torna a trovarci sotto mentite spoglie. La performance, nonostante dimostri la peculiarità e la precisione delle indagini sviluppate da Ajmone, sembra tuttavia rimanere imbrigliata in uno stadio embrionale di ricerca che necessita d’essere approfondita e scandagliata nelle sue possibilità rivelatorie, sia a livello drammaturgico che scenografico (Andrea Gardenghi).

Visto alla Triennale di Milano. Crediti: danza e voce: Annamaria Ajmone, Veza Maria Fernandez Wenger, set e immagini: Natália Trejbalová, ricerca e collaborazione drammaturgica: Stella Succi, vestiti: Fabio Quaranta, disegno luci: Elena Vastano, consulenza set sonoro: Attila Faravelli, progetto web: Giulia Polenta, organizzazione: Francesca d’Apolito, diffusione: Alessandra Simeoni, produzione: Associazione L’altra, coproduzione: Triennale Milano Teatro; Fondazione del Teatro Grande di Brescia; Festival Aperto/Fondazione i Teatri – Reggio Emilia; Centro Nazionale di Produzione della Danza Virgilio Sieni; Snaporazverein; Short Theatre, artista associata Triennale Teatro Milano 2021-2024, in collaborazione con Dialoghi – Residenze delle arti performative a Villa Manin 2022 – 2024; nell’ambito del progetto residenze coreografiche Lavanderia a Vapore; con il sostegno di Primavera dei Teatri, compagnia finanziata da MiC – Ministero della cultura

Cordelia, ottobre 2024

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Andrea Gardenghi
Andrea Gardenghi
Andrea Gardenghi, nata in Veneto nel 1999, è laureata all’Università Ca’ Foscari di Venezia in Conservazione e Gestione dei Beni e delle Attività Culturali. Prosegue i suoi studi a Milano specializzandosi al biennio di Visual Cultures e Pratiche Curatoriali dell’Accademia di Brera. Dopo aver seguito nel 2020 il corso di giornalismo culturale tenuto dalla Giulio Perrone Editore, inizia il suo percorso nella critica teatrale. Collabora con la rivista online Teatro e Critica da gennaio 2021.

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