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Il tempo mirabile di Saburo Teshigawara

Recensione e approfondimento. Le numerose occasioni di vedere, in Italia, i lavori di Saburo Teshigawara, sempre in coppia perfetta con Rihoko Sato, mostrano un sapere necessario oggi alla danza: quello delle forme.

Foto Hideto Maezawa

È un tempo mirabile, questo, per la presenza di Saburo Teshigawara in Italia. Dopo averlo applaudito nel difficile Petrushka, presentato al Malibran di Venezia, in occasione della premiazione con il Leone d’oro alla carriera, e nel bellissimo Swing realizzato per e con i giovani danzatori del College di Biennale Danza, Teshigawara è riapparso prima a Ferrara, con uno straordinario lavoro sulle dinamiche del vuoto, The Lost Dance, sempre in coppia perfetta con Rihoko Sato (che quest’anno debutta anche a Londra con una sua coreografia). Poi, a Milano e Firenze con Adagio. Un’intensa meditazione danzata sul tempo musicale contemplativo e affettivo per eccellenza. Ma non è finita: Teshigawara tornerà a Venezia con la regia, le scene e i costumi per l’opera Il Trionfo del Tempo e del Disinganno di Georg Friedrich Händel, nella stagione d’opera della Fenice (25 maggio-3 giugno).

Foto kihito Abe

Ho visto Adagio a Cango, per il Festival La democrazia del corpo. È una coreografia per due che non lavora però sul tema del duo. Saburo e Rihoko si alternano in scena con monologhi danzati, uno dopo l’altro, senza quasi incontrarsi, sempre accompagnati da un brano di adagio del repertorio classico, con scelte anche molto prevedibili, e con cerniere di tempo così ristrette da ridursi a un solo gesto, a un cambio istantaneo di presenza, a una rapida meccanica della successione. La musica è sempre quasi come sovrapposta, senza requie, tra un brano e quello successivo, come forse per comporre un impossibile unico grande continuo adagio. E per intervenire sulla percezione del tempo, trasformarlo in una lunga sequenza composta di luci e ombre, astrazioni e irradiazioni, concentrazioni e distrazioni. L’alternanza dei due corpi accentua le differenze, la musica concentra e fa esplodere le dissomiglianze, mentre la luce (tutta bianca) sembra al servizio dello spazio. Una luce che anticipa la durata, mai per segnare corpi, ma per dar loro estensione. Sembrano allora precisarsi due diverse possibilità di incorporare la musica, ossia secondo un processo di visualizzazione oppure nel virtuosismo della ripetizione. In termini performativi, si precisano, per chi guarda, anche due distinti piani interpretativi: da una parte, Sato con brani pienamente e distesamente orchestrali (con un Bach, per esempio, decisamente romantico); dall’altra, brani di adagio per orchestra e pianoforte, che consentono a Saburo una ritmicità più intensamente espressiva.

È pur vero che Cango è uno spazio scenico che rende ogni performance unica, che segna il visivo indelebilmente, anche fra i limiti di una cornice non proprio schivabile. In genere, la coreografia di Teshigawara richiede invece spazio e distanza: ma ora, in tanta prossimità, e controllo della durata, qualcosa di inedito accade. L’adagio si fa avverbio che risuona cautela e prudenza: forse è il tempo nuovo di un’epoca della vita.

Foto Hideto Maezawa

E le scelte di movimento sono di una misuratissima, lungimirante consapevolezza. Per esempio, nell’adagietto della 5a sinfonia di Gustav Mahler, Rihoko Sato mette in campo un uso drammaturgico del climax prima in accordo con la partitura, poi sorprendentemente in piena autonomia dalla musica, e poi ancóra in aperto contrasto col tempo musicale. Il risultato che traspare è quello di una sapiente, riservata complessità.

Nel penultimo movimento, invece, Saburo con modalità sceniche forse inedite, senz’altro di grande impatto, rallenta e punta gli occhi sugli spettatori, osserva, guarda e interroga il pubblico, in un tempo che è attesa di risposta o di reazione, e di consegna. Naturalmente questo danzare ha a che fare con elementi primari, i sensi più immediati della ricezione del mondo, ma Teshigawara, con la sua attenzione maniacale per l’ordine generativo, sembra ricordarci l’importanza liberatoria delle forme. E di quanto la danza abbia bisogno di questi saperi, contro l’alibi del non-sapere, l’ignoranza della barbarie.

Stefano Tomassini

Visto a Cango, Firenze, Aprile 2023. La democrazia del corpo

KARAS – SABURO TESHIGAWARA_RIHOKO SATO
ADAGIO
coreografia e disegno luci Saburo Teshigawara
in collaborazione con Rihoko Sato
costumi Saburo Teshigawara, Rihoko Sato
musica Gustav Mahler, Ludwig van Beethoven, Johann Sebastian Bach, Wolfgang Amadeus Mozart, Sergej Rachmaninov, Maurice Ravel, Anton Bruckner
danzato da Saburo Teshigawara, Rihoko Sato
produzione KARAS
Creato nel novembre 2021 al KARAS APPARATUS, Tokyo, Japan
con il supporto di Agency for Cultural Affairs, Government of Japan attraverso Japan Arts Council

fotografia Lorenza Daverio

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Stefano Tomassini
Stefano Tomassini
Insegna studi di danza e coreografici presso l’Università Iuav di Venezia. Nel 2008-2009 è stato Fulbright-Schuman Research Scholar (NYC); nel 2010 Scholar-in-Residence presso l’Archivio del Jacob’s Pillow Dance Festival (Lee, Mass.) e nel 2011, Associate Research Scholar presso l’Italian Academy for Advanced Studies in America, Columbia University (NYC). Dal 2021 è membro onorario dell’Associazione Danzare Cecchetti ANCEC Italia. Nel 2018 ha pubblicato la monografia Tempo fermo. Danza e performance alla prova dell’impossibile (Scalpendi) e, più di recente, con lo stesso editore, Tempo perso. Danza e coreografia dello stare fermi.

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