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HomeCordelia - le RecensioniDAWSON / DUATO / KRATZ / KYLIÁN

DAWSON / DUATO / KRATZ / KYLIÁN

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Questa recensione fa parte di Cordelia, febbraio 2023

Anima Animus (coreografia di David Dawson) e Remanso (coreografia di Nacho Duato)

Né sentimentalismo né umore. Serata invece nutrita di stile, anche se molto eterogeneo, alla Scala di Milano: ben quattro titoli, tutti dissimili tra loro, per la stagione in corso di Balletto. La coreografia d’apertura di David Dawson, Anima Animus (2017), è un flusso ininterrotto di schemi a ingresso, estremamente simmetrici che si intensificano e si attenuano circolarmente sulla inaspettata efficacia temporale della musica di Ezio Bosso (l’Esoconcerto del 2006), poco originale ma molto funzionale. Tutto è dominato (e attenuato, e facilitato) dal quasi-tutto-bianco della scena e dei costumi, ma la coreografia che si vuole trasparente è in realtà complessa e, a farsi, complicatissima. Un’imprevista sostituzione del cast rivela, come da manuale, la forza inattesa di un’elegante presenza: quella di Mattia Semperboni.
Il secondo lavoro di Nacho Duato, Remanso (1997), con musica assai ritmata e colorita di Enrique Granados, i Valses poéticos dal vivo eseguiti al pianoforte da Takairo Yoshikawa, si ispira a una poesia omofila di Federico García Lorca. I tre interpreti che si alternano in assoli, duetti e terzetti bellissimi, intrecciati da sequenze e pose molto efficaci e spesso molto fluide, incorporano un’idea silente di complicità queer (con buona pace del coreografo che si affanna a precisare, nel programma, si tratti soltanto di «sodalizio», ma solo per inibire il «sessuale», nonsiamai!, che invece dilaga…). Nicola Del Freo, Mattia Semperboni e Roberto Bolle (per lui il giovanissimo pubblico della pomeridiana è rumorosamente in fregola) mettono all’opera ciò che rimane non detto, sottotraccia e silente della forza di questa amicizia che è «amore puro e giovane», comunque plurale: verità a cui i corpi però non possono sottrarsi. Qui Bolle (infuocata gitana travolta da muta passione con una rosa fra i denti! ma no dài, anche come già Rodolfo Valentino…) dà il suo meglio quando non fa l’asso-piglia-tutto, ma addirittura si mette in coda, allineato in fila, come per un qualsiasi leggendario trio d’avanspettacolo. Così anche accade che fai fatica a riconoscerlo, fra i magnifici tre (e dal pubblico infatti: «Mamma, qual è?»), in tanta mirabile sorpresa.

II. Solitude Sometimes (coreografia di Philippe Kratz) e Belle Figura (coreografia di Jiří Kylián)

A bassa tensione, invece, mi è sembrato il nuovo lavoro di Philippe Kratz, Solitude Sometimes, in prima assoluta. Coreografo di sicuro talento, qui rischia poco. Costruisce in sala un ambiente di movimento anche complesso, negoziato su di un loop coreografico tra visibile e invisibile, di grande ambizione visiva, ma che sul palco non regge e si disperde. L’intimità richiesta è a bassa temperatura, mentre la rigenerazione inseguita come la più necessaria rinascita (ispirata all’ingombrante Libro dell’Amduat, «antico documento funerario di mitologia egizia») si traduce in una semplificazione delle forme che nulla sposta né trasforma (ricordo improbabili ingressi a schiera da quinta, e una buffa articolazione sacropelvica). La scenografia a LED (Carlo Cerri e Ooopstudio) che dovrebbe suggerire un aldilà digitale resta accessorio dell’aldiqua, così come inattivi i bei costumi di Francesco Casarotto. La suggestione prima di Kratz è stata Pyramid Song di Tom York/Radiohead, ma il processo compositivo in danza richiede operazioni e pratiche capaci di interrogare i materiali in senso generativo, anche contrastivo, non mai replicativo.
La serata si è infine completata con un capolavoro del coreografo Jiří Kylián, Bella Figura, che è del 1995! Incredibile: intatto ed efficace in tutta la sua forza figurativa, e complessità compositiva. Qui molti piani convergono e si intrecciano in una drammaturgia composita a dir poco esemplare: la bellezza dolente dei corpi a torso nudo, la forza del colore nei semplici costumi (di Joke Visser), la dinamica frammentazione del quadro visivo, l’uso atemporale della musica (di Luka Foss, allievo di Hindemit, con il barocco di Pergolesi, Marcello, Vivaldi, Torelli), e l’ingegnosità del concetto racchiuso nel titolo in italiano. È una formula che svela il relativismo di ogni dittatura estetica, cui sostituisce la dissimulazione del sogno capace di creare un tempo etico alla presenza (e al riconoscimento) dell’altro.
Serate come queste fanno crescere il Corpo di Ballo, che qui non si smentisce, anzi, è sempre all’altezza: una compagnia di cui ci si può innamorare. Ma anche fanno progredire la programmazione (e il pubblico con essa), che può e deve osare di più, sia nelle proposte e sia nella consapevolezza del proporre (i quattro coreografi presentati sono tutti maschi, e non è la prima volta che accade: ma Manuel Legris di certo sa che la programmazione è un vettore di cambiamento e di innovazione, e che richiede un atto di coraggio politico, oltreché culturale). (Stefano Tomassini)

Visto al Teatro alla Scala Corpo di Ballo Teatro alla Scala PROGRAMMA Anima Animus Nuova produzione Teatro alla Scala David Dawson, coreografia Ezio Bosso, musicaJohn Otto, scene Yumiko Takeshima, costumi James F. Ingalls, luci Remanso Nuova produzione Teatro alla Scala Nacho Duato, coreografia, scene e costumi Enrique Granados, musica Brad Fields, luci Takahiro Yoshikawa, pianoforte Roberto Bolle, Étoile Solitude Sometimes Nuova produzione Teatro alla Scala Prima rappresentazione assoluta Philippe Kratz, coreografia Casia Vengoechea, assistente coreografo Thom Yorke e Radiohead, musiche Carlo Cerri e Philippe Kratz, scene Francesco Casarotto, costumi Carlo Cerri, luci Carlo Cerri e OOOPStudio, video designer Bella Figura Produzione Wiener Staatsballett, 2011 Scene e costumi realizzati da ART FOR ART Theaterservice GmbH, Vienna Prima rappresentazione 12 ottobre 1995, Nederlands Dans Theater, AT&T Danstheater, The HagueJiří Kylián, coreografia Lorraine Blouin, Cora Bos Kroese, Stefan Zeromski, assistenti coreografo Lukas Foss, Giovanni Battista Pergolesi, Alessandro Marcello, Antonio Vivaldi, Giuseppe Torelli, musiche Jiří Kylián, scene e luci Joke Visser, costumi Kees Tjebbes, ripresa luci Joost Biegelaar, supervisore luci e costumi Musica su base registrata

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Stefano Tomassini
Stefano Tomassini
Insegna studi di danza e coreografici presso l’Università Iuav di Venezia. Nel 2008-2009 è stato Fulbright-Schuman Research Scholar (NYC); nel 2010 Scholar-in-Residence presso l’Archivio del Jacob’s Pillow Dance Festival (Lee, Mass.) e nel 2011, Associate Research Scholar presso l’Italian Academy for Advanced Studies in America, Columbia University (NYC). Dal 2021 è membro onorario dell’Associazione Danzare Cecchetti ANCEC Italia. Nel 2018 ha pubblicato la monografia Tempo fermo. Danza e performance alla prova dell’impossibile (Scalpendi) e, più di recente, con lo stesso editore, Tempo perso. Danza e coreografia dello stare fermi.

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