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Sparizione, dissoluzione e bulimia performativa

Saburo Teshigawara, visto al Teatro Comunale di Ferrara e Boris Charmatz a Firenze per il festival La democrazia del corpo: due assai diversi protagonisti della scena performativa contemporanea internazionale sono animati da una stessa consapevolezza: occorre dissipare e scomparire per ricongiungere e riaffermare ragioni impreviste della danza nel presente.

Foto Marco Caselli Nirmal

Nel sobrio ed essenziale, ma non meno bulimico e inesauribile duetto Lost in dance, Saburo Teshigawara è «coreografo, autore, responsabile della regia, del design delle luci, del collage sonoro ed è performer sul palco». Con lui, protagonista è Rihoko Sato, sua compagna da oltre vent’anni. Le musiche sono alcune sonate per pianoforte di Beethoven. Non eseguite dal vivo (peccato), ma invece collazionate in una playlist anche piena di sporco, di fruscio e di sfondo (solo in apparenza) fastidioso, come quando si ascoltano registrazioni non digitalizzate: un prezzo da pagare alla messa in scena del valore della nostalgia. È ostentazione, anche, di una estetica che non ammette ostentazioni. Di una estetica che insegue il vuoto e la sparizione. E la solitudine di chi vuol fare da sé, di chi deve fare da sé, in una bulimia costruttiva, utile anche per tenere insieme tutto il proprio mondo.

Lo spettacolo, che ha debuttato nella versione integrale a Stoccolma nel settembre 2019, è stato ospitato e applaudito al Festival di Danza Contemporanea del Teatro Comunale di Ferrara. In una pomeridiana domenicale, il teatro strapieno, in scena e di lato, nel vuoto, c’è soltanto una sedia. E non serve altro. I due danzatori si alternano con entrate e uscite continue dall’ombra, ma a partire e a chiudere da un cerchio di luce. Qualche sosta in posa sulla sedia, ma poi sparisce anch’essa. Tutto è perduto in questa bulimia della sparizione: in un momento preciso, a metà della performance, Teshigawara si stende su un fianco a proscenio e in controluce, di spalle alla platea, osserva in un tempo lungo tutto lo spazio davanti a sé finalmente svuotarsi della memoria di movimento che poco prima lo ha attraversato. La danza o la coreografia qui non hanno nessun peso: sola conta la forza del vuoto. Che è impenetrabile. Teshigawara ha una qualità di movimento personalissimo, fatto di ariose vibrazioni, controllatissimi scatti, successive ripartenze, infinite ripetizioni: come in un passaggio dei corpi attraverso un soprabito, tra i due performer, ripetuto ciclicamente fino allo sfinimento, ma come procedura dell’identico, come esperienza scenica di una temporalità bloccata, alternativa, come tentativo di riprova della continuità solo nel ritorno dell’istante.

Foto Marco Caselli Nirmal

Ed è stata proprio l’idea di un “corpo vuoto” il punto di partenza di Teshigawara per sviluppare il proprio stile, grazie al quale i corpi sono animati dall’interno da raffiche di energie vorticose che sono scosse invisibili. Ma qui ciò che colpisce è il set completamente vuoto, come se finalmente Teshigawara sia riuscito a fare a meno di tutto. E solo resta lo “spazio interno” a interagire con ciò che resta di quello esterno, perché il fuori è il dentro. Teshigawara, che non sa raccontare nei termini della danza, in scena predilige l’esperienza sensoriale, i cambiamenti imposti dall’ambiente scenico: il perdersi nella danza del titolo, parafrasando le sue stesse parole, significa allora tenere il corpo sul palco ma con il cuore su un altro pianeta. (A proposito dei suoi lavori, così qualcuno chiosa, sul The Guardian: «Don’t say “I’ve lost the plot.” There never was one»).

Foto Marc Domage

Non meno ipnotica e affastellata è la performance solista dal titolo Somnole di Boris Charmatz, vista a Cango di Firenze, per il festival La democrazia del corpo. Come un dormiente funambolo, Charmatz esplora l’idea della sonnolenza come stato generativo del corpo che, attraverso il fischio, si fa intera orchestra. Da una parte c’è la soglia ancora vigile e generativa che precede il sonno; dall’altra, la resa alla sonnolenza che fa sognare a occhi aperti, disegna immaginari senza freni mentre resiste al risveglio. Il corpo, fatto di una gestualità anche dinoccolata, sempre vigile anche se sonnolenta (ed è pure sempre ben intonato), è insieme fusione e disgregazione degli immaginari ricomposti dalle melodie. E Charmatz fischia davvero di tutto, da Bach a Ennio Morricone, da Vivaldi, Billie Eilish, Mozart a Elvis Presley. Ma l’impressione è che lo spazio ristretto di Cango partecipi attivamente alla giusta ricezione di questa esperienza solista, in complicità soltanto di un faro che lo insegue (e dei pericoli della distrazione e dell’attenuazione se in un palcoscenico più grande).

Foto Marc Domange

Come una sorta di juke-box di melodie fatte solo di aria, al confine tra la veglia e il sonno, e non senza l’abbraccio cercato e danzato con l’astante più prossimo di turno, il corpo di Charmatz è anche però una potente macchina passiva: l’abbandono qui è alla memoria che tali melodie conserva, al movimento che sembra a loro destinato, al corpo che combacia nel soffio con la musica evocata. Ma anche qui, la successione è bulimica, sommatoria, felicemente senza ordine e grado, come per dissolvere di nuovo tutti i confini performativi e restituire valore di evidenza e intensità di tensione alla fragilità del controllo, all’involontario degli impulsi, alla legittimità dei gesti più imprevisti.

Stefano Tomassini

Novembre 2022

LOST IN DANCE
direzione, disegno luci, montaggio audio Saburo Teshigawara
collaborazione artistica Rihoko Sato
danzatori Rihoko Sato, Saburo Teshigawara
coordinamento tecnico / assistente alle luci Sergio Pessanha
assistente di produzione e costumi Mie Kawamura
PRIMA NAZIONALE

SOMNOLE
coreografia e interpretazione Boris Charmatz
assistente coreografa Magali Caillet Gajan
luci Yves Godin
collaboratrice ai costumi Marion Regnier
preparazione voce Dalila Khatir
con l’aiuto di Bertrand Causse e Médéric Collignon
materiali sonori ispirati tra gli altri a J.S. Bach, A. Vivaldi, B. Eilish, J. Kosma, E. Morricone, G.F. Haendel
direttore di scena Fabrice Le Fur
tecnico luci Germain Fourvel
vicedirettore [terrain] Hélène Joly
direzione di produzione Lucas Chardon, Martina Hochmuth
responsabile di produzione Jessica Crasnier, Briac Geffrault
produzione e distribuzione [terrain] con il supporto di Dance Reflections di Van Cleef & Arpels, Lafayette Anticipations – Fondation d’entreprise Galeries Lafayette, nell’ambito del programma Atelier en résidence e Tanztheater Wuppertal Pina Bausch
co-produzione Opéra de Lille – Théâtre Lyrique d’Intérêt National, le phénix – scène nationale de Valenciennes – pôle européen de création, Bonlieu – scène nationale d’Annecy, Charleroi Danse – Centre chorégraphique de Wallonie-Bruxelles, Festival d’Automne à Paris, Festival de Marseille, Teatro Municipal do Porto, Helsinki Festival, Scène nationale d’Orléans, MC93 – Maison de la Culture de Seine-Saint-Denis, Pavillon ADC
con la partecipazione di Jeune théâtre national
grazie a Alban Moraud, Mette Ingvartsen, Iris Ingvartsen Charmatz, Xenia Ingvartsen Charmatz, Florentine Busson, Çağdaş Ermiş

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Stefano Tomassini
Stefano Tomassini
Insegna studi di danza e coreografici presso l’Università Iuav di Venezia. Nel 2008-2009 è stato Fulbright-Schuman Research Scholar (NYC); nel 2010 Scholar-in-Residence presso l’Archivio del Jacob’s Pillow Dance Festival (Lee, Mass.) e nel 2011, Associate Research Scholar presso l’Italian Academy for Advanced Studies in America, Columbia University (NYC). Dal 2021 è membro onorario dell’Associazione Danzare Cecchetti ANCEC Italia. Nel 2018 ha pubblicato la monografia Tempo fermo. Danza e performance alla prova dell’impossibile (Scalpendi) e, più di recente, con lo stesso editore, Tempo perso. Danza e coreografia dello stare fermi.

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