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Nasce Orbita, la danza diffusa, da Roma al mondo

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Valentina Marini, direttrice generale della compagnia Spellbound Contemporary Ballet, racconta in questa intervista il nuovo progetto Orbita: un modello diffuso per la danza che da Roma guarda all’Italia e al mondo, tra programmazione, residenze e comunità artistiche. Contenuto creato in media partnership.

In foto Valentina Marini

Orbita in sintesi, di cosa stiamo parlando?

Orbita è un progetto a più rami, sottende la nascita di una Istituzione dedicata alla danza realizzata attraverso un modello gestionale nuovo. Orbita è candidata al MiC per diventare il Centro di produzione nazionale della danza su Roma, raccogliendo le trentennali esperienze di Spellbound sul piano produttivo e curatoriale, attraverso un modello diffuso. Spellbound ha viaggiato il mondo con costanza negli anni stratificando rapporti, colori, suggestioni, progetti, ed era giunto il momento che qualcosa venisse restituito a casa, sotto forma di progetto stanziale, aperto, radicato nella nostra città. Contrariamente a quello che succede nel resto d’Italia dove molte città consentono che tutto accada nello stesso luogo, in un teatro, Roma è una città metropolitana che impone di servire diversi territori attraverso differenti funzioni e formati. Questo ha facilitato un progetto di programmazione su diversi spazi (Teatro Biblioteca Quarticciolo e Teatro Palladium). In più a Roma manca una stagione di danza ufficiale, dichiarata, ci sono i festival, certo, ma durante l’anno la danza deve accontentarsi degli spazi avanzati nelle stagioni di prosa, e da questa idea nasce l’esigenza di una stagione organica e diffusa, distribuita sui due spazi che riassuma in modo più organico le esperienze programmatiche che ho sperimentato negli ultimi dieci anni in città. Orbita nasce grazie a tanti stimoli, al supporto e sostegno di diverse realtà, alla messa in rete di Strutture e Istituzioni, si pone quindi come un Ente ombrello che accoglie e non sostituisce, ma facilita tutto ciò che ha a che fare con la discussione intorno alle pratiche del corpo.

Best Regards di Marco D’Agostin (28 aprile 2022 Teatro Palladium). Foto di Alice Brazzit

Come si scelgono spettacoli e artisti per una città in cui (nonostante siano già presenti importanti rassegne e festival) il pubblico ha poca abitudine a relazionarsi con la danza?

La scelta risponde sempre a molteplici criteri, un riavvicinamento ai nostri più importanti autori nazionali ad esempio, ma anche a quello che si muove nel mondo. Avendo anche una compagnia so quali sono gli affanni di essere programmati in una città come Roma; nel mondo della danza è percepita come una città lontana e per alcuni è più facile fare una tournée all’estero… Con Orbita vorrei costruire un luogo non fisico ma comunitario, un organismo che, orbitando sulla città, unendo diversi spazi e possibilità, riesca a diventare casa e a ricucire questa distanza culturale tra Roma il resto d’Italia; permettendo così alle compagnie di entrare in contatto con un tessuto e un humus umano e professionale anche per residenze, ospitalità o altri tipi di supporto.

Pensi ci sia bisogno di educare il pubblico o di appassionarlo?

Entrambe le cose; ho sempre un po’ paura quando si parla di educazione del pubblico. Si parla tanto di queste questioni, delle problematiche legate all’audience engagement e audience development (come se lo spettatore fosse qualcuno privo di un proprio pensiero) invece la passione può e deve essere un motore importante anche nella formazione. Io sento sempre bruciante la responsabilità delle mie scelte verso il pubblico; non è facile, si fanno sempre i conti con le possibilità pratiche con le quali bisogna trovare una quadratura. Però se il pubblico si abitua a una programmazione più quotidiana della danza, intesa come qualcosa di forte, interessante e stimolante, ecco che può sparire anche quella paura rispetto alla necessità di programmare e comunicare progetti di danza.

Italia, Israele, Uk, Argentina, Paesi Bassi: di quali temi ed estetiche sono portatori questi artisti con i loro spettacoli?

Sono temi molto diversi, non c’è un unico minimo comune denominatore. Gli israeliani ad esempio sono sempre molto potenti dal punto di vista della drammaturgia del corpo, gli argentini che aprono la sezione al Palladium portano uno spettacolo, Poyo Rojo, che ha sbancato i botteghini in tutto il mondo (1400 repliche e 30 paesi in 10 anni) e non erano mai stati a Roma. Il loro è un progetto straordinario e gioioso. Ho fortemente voluto che venissero programmati al Palladium: questo dell’Università Roma Tre è nuovo spazio per me in termine di programmazione, per il quale voglio ringraziare la generosa visione di Luca Aversano e della Fondazione Palladium che hanno abbracciato il progetto di Orbita con prontezza e coraggio; il teatro Ateneo è un valore aggiunto per Orbita, per i saperi accademici legati al mondo coreutico. Poyo Rojo è uno spettacolo che fa sorridere – non ridere nel senso scadente del temine – , ma anche curioso, divertente, potente. Volevo cominciare con qualcosa di gioioso. Ma per tornare alla domanda sulle tematiche portate dagli artisti, troviamo una grande varietà: questioni di genere, le problematiche dell’età e dell’agismo con i lavori di Dunja Jocic (presente anche con un docu-film), gli inglesi (Spoken Movement e Phoebe Jewitt) sono inoltre vincitori del Premio Coreografico a Copenaghen e sono giovani firme (è un lavoro di scambio e stimolo che vorrei alimentare anche con questi circuiti europei). Poi per me sono molto importanti i focus con i coreografi: per accelerare dei processi di vicinanza con gli autori e le autrici, una carrellata monografica di due o tre giorni dedicata, per ricucire un contatto, ricostruire una forma comunitaria attorno alla danza anche in questa città.

Bastard Sunday, Compagnia Enzo Cosimi (03/04/22 Teatro Palladium). Foto Marco Caselli

Viviamo in un momento storico in cui rischiamo di perderci nelle parole e spesso non sappiamo neanche quanto siano utilizzate per raccontare la verità. Le arti del corpo riescono a spostare la visione verso altri luoghi?

I linguaggi del corpo raramente mentono, hanno un potenziale incredibile da questo punto di vista. Sono tanti i valori che possono essere messi in evidenza a partire dalle pratiche del corpo, abbattendo confini geografici e verbali, condividendo intenti, sguardi… i linguaggi legati al corpo ci avvicinano più facilmente anche ad altre culture, molto spesso attraverso performance fisiche e di danza comprendiamo background culturali lontani da noi, lo capiamo istintivamente, emotivamente, attraverso il corpo. È dunque una dimensione che dovrebbe renderci tutti maggiormente in grado di essere in ascolto, anche in assenza di parola. Ovviamente non tutti gli spettacoli hanno un pensiero politico diretto e immediato dal punto di vista drammaturgico, ma hanno un dna che inevitabilmente ti riporta ai luoghi e a i territori dai quali provengono le artiste e gli artisti. La danza e la performance in generale, sono transnazionali, emotivamente ci avvicinano, basti guardare quello che sta succedendo ora con la solidarietà la comunità artistica ucraina. Poi un altro tema è anche quello della percezione degli spettatori: viaggiando molto, con Spellbound, mi sono trovata ad assistere a reazioni molto diverse per lo stesso spettacolo; bisogna imparare a contestualizzare quel momento, quel preciso utilizzo ed esposizione del corpo e Orbita vuole essere anche questo, un progetto che possa includere e stimolare queste riflessioni.

Redazione

Programmazione completa di Orbita 

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