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Appunti per una nuova rappresentazione del femminile in Tina&Alfonsina, allo Stabile di Catania

Recensione di Tina&Alfonsina di Claudio Fava, con la regia di Veronica Cruciani visto al Teatro Stabile di Catania.

Foto Antonio Parrinello

In origine, il dramma di Tina&Alfonsina fu scritto da un uomo. Per l’esattezza, Claudio Fava. Noto soprattutto per una drammaturgia densa, intrisa di impegno politico e puntellata da dialoghi sciasciani, con Tina&Alfonsina, in scena a dicembre nella sala Verga dello Stabile di Catania, Fava ha declinato la tematica civile interamente al femminile. Ciò avviene all’interno di un atto unico che in parte distende i più consueti ritmi da inchiesta, per presentarsi come il luogo dell’incontro tra due donne esistite storicamente, ma che storicamente non possono essersi conosciute.

Da una parte Tina Modotti, comunista nata a Udine e figura poliedrica; tra l’altro, fotografa che si serviva dell’obiettivo come strumento di denuncia sociale e che morì in Messico in circostanze non ancora chiarite. Dall’altro l’emiliana Alfonsina Strada, ciclista per passione e per necessità, la cui presenza come unica donna in diverse competizioni (come il Giro di Lombardia e il Giro d’Italia, nei primi anni del ventennio fascista) fu più volte ostacolata e resa oggetto di stigmatizzazioni offensive, anche a sfondo esplicitamente sessuale. Due esistenze parallele, ma coincidenti in più punti: nate entrambe alla fine dell’Ottocento, ed entrambe da famiglia proletaria, lottarono attivamente contro un potere patriarcale che, nelle sue manifestazioni autoritarie, sia sociali che politiche, voleva e doveva ridimensionarne la libera espressione. Colpite, derise, additate come puttane perché colpevoli di avere intrapreso con successo strade riservate soltanto agli uomini, e ciò nonostante capaci di riscatto: presentandosi sul palco avrebbero ripercorso i fatti e le vicende nei quali furono direttamente coinvolte, in un dialogo a due sospeso tra storia e biografia.

Ma si dà il caso che Veronica Cruciani, regista non nuova a questo genere di tematiche, confrontandosi con il testo abbia avvertito l’esigenza di intervenirvi per scongiurare due rischi: quello di fornire una rappresentazione vittimizzante delle due protagoniste, e quello di relegarne l’esperienza a una dimensione di esemplarità volta esclusivamente al passato. Applica una soluzione imprevista: sdoppia i piani narrativi. Il racconto non è più a due, ma a quattro voci. Da un lato la vicenda di Tina e Alfonsina, interpretate rispettivamente da Aglaia Mora e Francesca Ciocchetti, che si compie all’interno di un ciclorama posto sul fondo della scena; dall’altro la narrazione simultanea che le stesse attrici svolgono alternativamente sul proscenio. Lo statuto delle interpreti è liminare: entrando nel perimetro del ciclorama sono Tina, sono Alfonsina. Uscendone sono donne che contrappuntano il racconto in atto con la propria voce, il proprio gesto, la propria iniziativa, dei quali si servono per intervenire sullo svolgimento del dramma come una membrana tra lo stesso e il pubblico. Una soluzione che, come affermano le stesse interpreti, ha consentito loro di sentirsi “attraversare” dal ruolo in una coincidenza spirituale nella quale ogni donna può rispecchiarsi, e non soltanto metaforicamente: regista, attrici (e, a onor del vero, anche il drammaturgo) hanno cooperato, ognuna e ognuno col proprio apporto, alla messa in opera di una narrazione aperta, condivisa e condivisibile. Una narrazione particolare che si contrappone ai proclami della storiografia ufficiale, che poi è sempre una storiografia stilata dagli uomini per gli uomini.

Ciò che avviene sulla scena è un vero e proprio processo di affermazione identitaria che si compie all’intersezione tra passato e presente, tra realtà storica e gioco teatrale. L’intero allestimento accoglie ed enfatizza questa duplicazione, presentandosi nella forma dell’enorme dispositivo audio-visivo ideato da Paola Villani, scenografa tra i finalisti al Premio Ubu 2021, e animato dagli interventi degli artisti visivi John Cascone e Lorenzo Letizia. Sullo sfondo è il ciclorama nel quale le attrici offrono il proprio corpo e la propria voce all’incarnazione di Tina e Alfonsina; ai lati casse ingombranti amplificano i commenti e gli insulti degli uomini di oggi e di allora. Lo sguardo dell’uomo, il suo giudizio limitante, è fisicamente presente e percepibile, e appare per quello che è: un’arma insignificante eppure pervasiva, brandita nel tentativo di contrastare un potere che sfugge a ogni possibilità di controllo e di definizione. Al di sopra, due monitor contrapposti proiettano immagini e video di repertorio – anche alcuni fotogrammi dall’incompiuto Viva Mexico! di Ėjzenštein – preregistrati, che forniscono le coordinate spaziali e temporali entro le quali Tina e Alfonsina hanno vissuto storicamente; a questi si alternano le riprese che le interpreti effettuano dal vivo, sul palco, puntandosi alternativamente la cinepresa e offrendo in questo modo la propria prospettiva attuale sul racconto che si svolge e che contribuiscono a creare, performandolo.

Foto Antonio Parrinello

Al pubblico si offre un congegno incombente e complesso, posto al servizio di un’esperienza che scorre lungo i corpi e le parole delle quattro donne che la agiscono. Le pareti dello Stabile, scure e opache, ne sembrano il naturale prolungamento e proiettano lo spettatore in una dimensione di necessaria partecipazione. Necessaria perché è nel presente che il senso e il significato di Tina&Alfonsina si rivelano nella loro consistenza effettiva, oltre ogni possibile retorica, come rivendicano sia le interpreti che la regista. Secondo i dati raccolti nell’estate del 2020 da Amleta, associazione femminista intersezionale fondata nel 2018 per contrastare la disparità e la violenza di genere nel mondo dello spettacolo, e alla quale appartiene la stessa Francesca Ciocchetti, la presenza media delle professioniste nel teatro di prosa è scandalosamente carente e soggetta ad abusi di vario tipo. All’interno del triennio compreso tra il 2017 e il 2020 il numero complessivo di attrici, registe, drammaturghe e addette agli allestimenti è inferiore al corrispettivo maschile circa del 70%, divario che si incrementa del 10% se si considera nello specifico il lavoro registico. È interessante osservare come la rappresentazione di Tina&Alfonsina nella sala Verga coincida con la nomina di Luca De Fusco a direttore della fondazione, secondo la volontà espressa dal nuovo consiglio di amministrazione nel corso della riunione tenutasi nello scorso 10 dicembre. De Fusco prende il posto di Laura Sicignano, prima donna a coprire il ruolo di direttrice dello Stabile.

Tiziana Bonsignore

Dicembre 2021, Teatro Stabile di Catania

TINA&ALFONSINA
di Claudio Fava
Regia Veronica Cruciani
Con Francesca Ciocchetti e Aglaia Mora
scenografia Paola Villani
installazione video Lorenzo Letizia
musiche e drammaturgia sonora John Cascone
regista assistente Gabriella Caltabiano
produzione Teatro Stabile di Catania

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