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Dal Boulevard, in Olanda, l’arte e il teatro per costruire il futuro

Su invito dell’Ambasciata e del consolato Generale dei Paesi Bassi in Italia siamo andati a visitare il Theaterfestival Boulevard a ‘s-Hertogenbosch, in Olanda. Un’intervista a due dei curatori, Tessa Smeulers e Job Rietvelt. Contenuto creato in media partnership.

Foto https://www.festivalboulevard.nl/

Questa edizione del Theaterfestival Boulevard segna una sorta di passaggio temporaneo, soprattutto per i luoghi: il teatro cittadino è in ristrutturazione, così come gli spazi attigui davanti alla cattedrale. Den Bosch (oppure con il nome istituzionale ‘s-Hertogenbosch), a meno di un’ora di treno da Amsterdam, conosciuto anche per aver dato i natali al pittore fiammingo cinquecentesco Hieronymus Bosch, è il tipico centro abitato nord europeo di piccole dimensioni, a misura d’uomo e di bicicletta. Il festival si è dunque momentaneamente spostato dal centro città a un punto di ritrovo leggermente ai margini, in Zauderpark (qui un racconto fotografico). L’atmosfera è un po’ quella dei parchi a tema, ma molto rilassata; il tutto è progettato per creare curiosità e immerso nel verde: i luoghi di spettacolo sono chiusi all’interno di strutture e tendoni colorati; attorno tavolini e punti ristoro. Nella zona del parco, in cui si svolge il festival, l’entrata è libera, si pagano i biglietti ai singoli spettacoli. È insomma in primis un luogo di incontro, uno spazio pubblico in cui è possibile trascorrere una giornata all’aperto: le famiglie arrivano in bicicletta già prima dell’ora di pranzo; il programma, spesso fittissimo, comincia poco dopo.

Tessa Smeulers Foto Karin Jonkers

Incontro Job Rietvelt, giovanissimo responsabile della programmazione internazionale, e Tessa Smeulers, altra figura del team curatoriale, in uno dei ristoranti del parco, per una cena, alle 17, orario olandese, e per una chiacchierata. 

Job, ieri mi accennavi qualcosa sul carattere collegiale assunto dalla curatela del festival. Come funziona?

Job: Il Boulevard Festival esiste da 37 anni. Siamo stati sempre un grande festival e negli ultimi anni stiamo mettendo in campo una direzione generale e artistica (affidata alla stessa persona) e un team dedicato alla programmazione. Tessa è la coordinatrice di questo team, poi c’è chi si occupa del teatro di strada (tutto quello che accade al Park Podium), c’è un responsabile per gli artisti giovani, io sono il responsabile per il programma internazionale, insomma siamo una squadra; dunque non c’è una sola persona che si occupa delle questioni artistiche. Questo anche perché rappresentare un festival così radicato in una realtà locale vuol dire essere qui non solo per l’arte, ma anche per la società; per noi è molto importante che le persone entrino in relazione, che possano passare del tempo insieme: qui possono cenare, poi possono recarsi a un’installazione o a uno spettacolo e ascoltare delle storie che le riguardano. Una delle cose più importanti per noi – oltre a offrire una buona programmazione artistica – è quella di connettere la città alle opere e agli artisti. I cittadini – tra cui è viva una tradizione di volontariato – sono molto legati al festival e cerchiamo di coinvolgerli il più possibile. Molti di loro non vanno spesso a teatro ma frequentano il Boulevard, per esempio. Anche le istituzioni locali e il governo cittadino ci danno un notevole supporto.

Job Rietvelt Foto Karin Jonkers

L’accessibilità al festival è importante, facciamo il possibile per far sì che le persone possano venire, comprese quelle con disabilità: il nostro festival vanta un pubblico molto diversificato. Penso che ci sia un bisogno sempre maggiore di mettere il teatro in relazione con la società: in questo modo evolve anche il dialogo con gli artisti e cambia il ruolo di un festival. Se si presenta un’opera fuori dalla scatola nera del teatro, per esempio in una piazza, si deve pensare a chi appartiene quella piazza, quale sia la responsabilità sociale nel produrre un’opera in quel luogo. Naturalmente l’idea di mettere il teatro in contatto con la società comporta responsabilità maggiori.

Immagino che questa idea influenza anche la programmazione del festival.

Job: Certo, oltre agli spettacoli preesistenti chiediamo ad alcuni artisti di creare delle opere specifiche per i Block Box (delle strutture chiuse all’interno del parco, ndr): agli artisti piace realizzare qualcosa che sarà presente per tutta la durata del festival e noi poi ci impegniamo a produrli e a finanziare queste opere. Inoltre chiediamo agli artisti se abbiano delle domande da portare alla comunità, alla città, è ciò che abbiamo chiamato Human Specific Work per il quale la produzione può riguardare un’opera o un processo. La comunità, gli artisti e parte della nostra squadra si uniscono per questo progetto che può avere quindi differenti risultati.

Quali sono i temi e i linguaggi degli artisti emergenti in Olanda?

Tessa: Tra i temi che maggiormente interessano i giovani artisti ci sono il cambiamento climatico, la natura, la nostra storia coloniale, il razzismo, i nuovi modi per definire o non definire l’essere umano, le questioni di genere.

Job: Sì, è qualcosa che ha anche a che fare con il futuro, da qui il motto del festival: Hack The Horizon. Abbiamo la necessità di pensare nuovi modi per vivere insieme. Dunque la domanda è: come entriamo in connessione con gli altri, con la natura?

“How Will We Live Together”, in effetti, è anche il titolo della Biennale Architettura di quest’anno, a Venezia.

Job: Sì, è una questione che, in un certo senso, catalizza il nostro pensiero.

TussenTijdCapsule della compagnia Schippers&VanGucht. Un cubo contenente un’installazione performativa dedicata a bambini e adulti. L’opera richiede agli spettatori di seguire le indicazioni, arrampicandosi, scivolando, seguendo a  carponi l’apparizione sfuggente di un performer in carne e ossa e altre figure in video. È un’esperienza che richiede di vivere l’opera, di perdersi al suo interno, prendendosi per mano o ascoltando la propria solitudine e la sorpresa di scoprire la poesia nel gioco.   Foto TeC

Torniamo agli artisti olandesi: quali sono i loro linguaggi, come lavorano?

Tessa: Da questo punto di vista il festival è abbastanza vario: è possibile trovare teatro basato sul testo, performance fisiche, linguaggi legati a una nuova modalità di pensare il testo oppure legati a una spiccata prospettiva visiva.

Job: Secondo me gli artisti che si interrogano sul futuro, su quella macro domanda che riguarda il “come vivere insieme”, si stanno anche interrogando sulle forme: nel nostro caso questo vuol dire presentare non solo la forma tradizionale “di consumo”. Un buon esempio è l’installazione performativa TussenTijdCapsule della compagnia Schippers&VanGucht, in cui si chiede allo spettatore di entrare in un cubo e di arrampicarsi (leggi la didascalia nella foto, ndr).
Un altro esempio è Naomi Velissariou, artista con un approccio femminista, che nelle proprie performance recita come se fosse Beyoncé, creando delle “pop conference”: fa alzare il pubblico e offre da bere (anche se ora non è possibile a causa del Covid). Alcuni degli artisti in cartellone si pongono anche una domanda rispetto allo spazio sociale del teatro: come possiamo portare fuori il teatro dai suoi luoghi e dalle pratiche abituali?

Tessa: Si stratta di dare al pubblico la possibilità di riflettere. Ad esempio ieri c’è stata la performance di Anne-Fay Kops: lei ha viaggiato a ritroso verso le radici della sua famiglia, la madre è del Suriname e il padre è per metà cinese e per metà ghanese; lei è quasi bianca e la madre era contenta di questo suo lavoro. Una sera, mentre era da sola, le è capitato di sentirsi in colpa per essersi accorta che la presenza di un uomo di colore la metteva in allerta. È una storia molto personale, ma la forma che ha scelto è spettacolare, quasi di intrattenimento, è un modo intelligente per farci riflettere…

Job: Sì, una sorta di trappola gentile.

Tessa: Abbiamo un pubblico molto aperto, che si diverte e fa domande. Un’altra artista giovane e interessante rispetto ai discorsi che stiamo facendo è Katja Heitmann: con la sua opera, Meeting The Archive, sta costruendo un archivio dei gesti degli esseri umani. Invita le persone a condividere un movimento: con lei lavorano danzatori e danzatrici che imparano i gesti e li annotano attraverso la scrittura; ora ne hanno collezionati a centinaia. Nella prima parte del festival Heitmann archivia le posture e nella seconda parte progetta il museo. Tutti possono entrare nel museo e riconoscere i gesti che hanno donato.

Una caratteristica del vostro festival è la cura delle aree relax: ci sono numerosi bar e ristoranti attorno il parco, sono una sorta di anello che abbraccia tutto lo spazio. Quali sono i rapporti con loro, sono esterni, privati, oppure gli incassi vanno al festival?

Tessa: Quello dove siamo ora è un nostro ristorante, ad esempio. Alcuni, come i food truck, sono esterni e in quel caso ci corrispondono un affitto.

Job: Prima del Covid il 30% degli incassi del festival arrivava dalla ristorazione, su un budget di 3 milioni di euro.

Qual è la situazione delle arti performative in Olanda ora? La pandemia come sta influenzando il settore dal punto di vista dei regolamenti e degli aiuti statali?

Tessa: Da giugno la situazione è cambiata, prima avevamo le stesse regole che seguite in Italia; al momento, come hai visto, la mascherina non viene usata al di fuori di alcuni luoghi come aeroporto, stazioni e treni. Possiamo fare tutto rispettando la regola della distanza di un metro e mezzo, anche se naturalmente in tutti gli eventi il pubblico deve essere seduto.

Job: Inoltre, già dal primo lockdown, per gli artisti è stata pensata una serie di esenzioni che permettesse loro di lavorare, come la possibilità di non rispettare la distanza, di continuare a provare e a produrre in attesa della riapertura dei teatri. E allo stesso tempo il Governo ha stanziato degli aiuti economici per il settore culturale, a copertura dei mancati incassi. È anche grazie a questo supporto che abbiamo potuto organizzare un festival così grande, che non sarebbe stato possibile altrimenti.

Tessa: Solitamente vendiamo circa 60 mila biglietti. Quest’anno siamo a 35 mila e, in questa situazione di contingentamento è un ottimo risultato. Per quello che riguarda le restrizioni, il Governo ha intenzione di rimuoverle tutte da settembre, con l’aumento delle vaccinazioni… vedremo cosa accadrà.

Job: C’è da dire che le istituzioni artistiche – come nel caso del nostro festival – sono obbligate dal Ministero a investire subito quei soldi a supporto dei lavoratori del settore: artisti, tecnici, personale. Non possiamo mettere da parte quei soldi per quando ne avremo bisogno.

a cura di Andrea Pocosgnich

Altre foto e informazioni su Theaterfestival Boulevard

 

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In collaborazione con l’Ambasciata e Consolato Generale dei Paesi Bassi in Italia.

Link a (S)punti di vista 2021, programma di collaborazione culturale tra Italia e Paesi Bassi.

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

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