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Close Up: tra uomo e natura

Intervista a Margherita Berlanda e Dorota Jasinska di Kalakara che a Pergine Festival 2021 presenteranno il 16 luglio Close Up, un lavoro di teatro strumentale in cui la musica e i movimenti dei musicisti diventano parte della composizione intera. Materiali creati in Media Partnership.

Ph-Piotr-Gamdzyk

Come si è formata la vostra compagnia?

Margherita: Kalakara è un gruppo stabile composto nel 2018 dalle a compositrice polacca Anna Sowa, dalla violinista Dorota Jasinska e dalla fisarmonicista Margherita Berlanda. Il punto di partenza è una ricerca che mira a esplodere le possibilità comunicative della musica contemporanea, per esaltarne la gestualità fino al teatro e alla performance: c’è dunque prima di tutto una grande formazione in un ambito musicale classico contemporaneo per poi sfociare nella contaminazione, toccando anche contesti musicali diversi, soprattutto nelle nostre ultime produzioni che sperimentano le possibilità dell’elettronica.

Come si svolge il vostro processo creativo tra composizione musicale e teatrale?

Margherita: Si ragiona su una tematica di interesse comune – per esempio in Close up è il rapporto tra strumento e musicista, ma anche tra compositrice e composizione – su cui generare punti di discussione per capire quanto il performer poi interviene, durante la creazione, facendolo proprio attraverso il linguaggio. In questa occasione abbiamo deciso di indagare il rapporto uomo-natura che ci era stato suggerito da Pergine Festival già per l’edizione 2020, ritardata poi causa Covid. Se c’è un tema, poi il nostro obiettivo è quello di interpretarlo in maniera metaforica e non letterale, ma attraverso la nostra sensibilità e quello che è il nostro strumento principale: la musica.

Prima di tutto avviene l’incontro tra noi, che ci permette di indagare le possibilità che derivano da questo tema, anche dal punto di vista fisico; quindi la composizione prende corpo dalla scrittura condivisa di idee e movimenti che il musicista fa in connubio con il proprio strumento, assemblati poi in autonomia dalla regista assieme agli spunti musicali in una tessitura elettronica in quadrifonia, fino a mettere insieme la pièce nell’ultima fase con la presenza dei musicisti in prova, per comporre una drammaturgia anche da una nuova improvvisazione di dialogo tra le due performer.

L’essere umano ha un rapporto quotidiano con l’ambiente, come si modifica questo rapporto quando si indaga poi all’interno di un processo performativo?

Margherita: Il rapporto tra uomo e natura in primo luogo è il rapporto con qualcosa di esterno a noi, quindi il nostro primo interesse è capire come si modifica fin dall’inizio, fin dalla nascita, quando cioè noi stessi siamo esterni a noi, non ci conosciamo. L’uomo si relaziona attraverso un processo di conoscenza, prima dell’io e poi di ciò che è più esterno, le forze naturali con le quali dovrà costruire una relazione finalizzata ad affrontarle, guardarle da vicino per capire chi è l’altro per noi.

Dorota: Per me, da musicista, è molto importante capire quale emozione mi suscita il rapporto che ho con la natura, attraverso lo strumento, comprendere come esprimerla utilizzando un gesto. Ognuna di noi ha un rapporto diverso con la natura, importante è riuscire a fare in modo che questa relazione passi attraverso lo strumento, il modo che abbiamo noi di dire qualcosa.

Margherita: Per noi che siamo musiciste lo strumento è il nostro mezzo ma anche il nostro limite, quello cioè con cui dobbiamo costruire una relazione, il primo elemento fuori di noi, allo stesso modo di come l’uomo cerca il primo contatto con la Terra che abita, l’ambiente attorno così vicino ma anche così lontano rispetto alla conoscenza completa.

C’è un’altra relazione, quella con chi condivide il vostro ambiente ma da un diverso punto di osservazione. Qual è il rapporto che cercate con il pubblico?

Margherita: In generale c’è sempre la voglia di comunicare, farsi capire nonostante la difficoltà degli stilemi proposti, pertanto suoni e melodie saranno evocativi di un certo ambiente, per esempio ci sarà una melodia popolare polacca che ricrea un nostro habitat sonoro. C’è una forte volontà di guardare lo spettatore, quindi è una relazione che cerchiamo proprio di innescare, così che si partecipi allo spettacolo anche attraverso il nostro richiamo all’ascolto.

Il vostro è un teatro strumentale, per voi è fondamentale proprio il suono. Qual è il suono della nostra epoca?

Margherita: Il suono che ritengo più radicato nella contemporaneità è caotico, rappresenta l’inintelligibilità del presente ed è così ricco e intrecciato da essere un non suono, un rumore; molto spesso troviamo per la strada, nella nostra quotidianità, una sonorità distorta che però non riusciamo a comprendere, la musica contemporanea, sperimentale si occupa proprio di esprimere quel suono.

Dorota: Per me non è facile rispondere, io sono una violinista classica e nella mia testa è sempre importante la creazione di un suono bello, mentre nella musica prodotta per questi lavori c’è spesso un suono brutale che devo rintracciare nella mia profondità, trovarci un rumore con un significato che devo fare mio; anche per questo è importante il pubblico, perché ogni musicista vorrebbe essere giudicato per il bello che riesce a produrre in senso classico, qui invece dobbiamo creare una tensione da diversi scenari musicali che però sono un’unione giusta, appropriata per la creazione.

Redazione

Close Up, 16 luglio 2021, Pergine Festival. Clicca qui per info e prenotazioni

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