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Wu Ming 2 e Circo El Grito: una storia magnetica e senza nome. Intervista

Wu Ming 2 e Circo El Grito insieme ne L’Uomo Calamita: circo, musica e letteratura per contro-raccontare una storia. Intervista

Foto di Vincenzo Baldeschi

La prima volta che guardo in faccia Wu Ming 2 sono sul palco del Teatro Vascello durante lo spettacolo Uomo Calamita di Circo El Grito e a fianco a me c’è l’uomo calamita che affila con ampi gesti un coltello. Per un attimo, mentre tutti ridono eccitati, avverto una lieve paura. Poi penso a qualche istante prima quando, seduto in platea, ho afferrato la sciarpa lanciata alla cieca da Wu Ming 2; non ero al mio posto in quel momento, avevo approfittato di una poltrona vuota più centrale, qualcosa mi aveva portato a spostarmi proprio lì dove la sciarpa lanciata da Wu Ming – che avrei dovuto intervistare dopo lo spettacolo – mi avrebbe scelto. Ecco, sono già nel vortice del mentalismo, mi dico, mentre l’uomo calamita mi chiede di mischiare, dopo averlo già fatto anche lui, cinque parallelepipedi di carta; sotto uno di questi si nasconde, dritto in piedi, il coltello affilato. Mentre cambio posizione a quelle buste di carta loro due non guardano. Non so più dove sia il coltello ma sarò io a decidere quando l’uomo calamita dovrà abbassare la mano su uno dei cinque parallelepipedi. O meglio, sarà Wu Ming a decidere per me quando e come io darò il segnale, con un esercizio di mentalismo. Quando dò il segnale l’uomo calamita abbassa la mano con violenza dove io indico e per tre volte funziona, i parallelepipedi di carta si accartocciano, vuoti. Quando ne restano solo due, mentre l’uomo calamita sta per abbassare la mano, Wu Ming lo ferma. Non so come, ma sa che lì sotto c’è il coltello che nemmeno io avevo più idea di dove fosse.

Per una volta, tutti insieme, a ricordarci di non credere fino in fondo ai nostri occhi. Noi che agli occhi e all’immagine stiamo invece oggi affidando tutto. Oppure decidere di credere, perdutamente, oltre il vero, ma solo perché amiamo farlo. Questo è forse l’esercizio di visione più profondo che invita a fare lo spettacolo di Circo El Grito. E lo stesso prova a fare l’incredibile corpo di Giacomo Costantini – l’uomo calamita – che seguendo e impersonificando il racconto storico-fantastico di Wu Ming 2, tra resistenza, antifascismo e circensi gitani, resta in equilibri disumani, riesce a far rimanere sul suo petto un ferro da stiro o decine di cucchiai e si libera da una vasca piena d’acqua a testa in giù con ai polsi le catene che io stesso gli avrei messo qualche minuto prima. Lasciando tutti a bocca aperta, ma senza riuscire comunque, in fine, a sfuggire la morte della narrazione, in una frase finale da portare via come un mantra, «la morte arrivò comunque. Forse, perché non ci abbracciammo abbastanza».

La seconda volta che guardo Wu Ming 2 negli occhi sono nel foyer del Teatro Vascello, a spettacolo finito e siamo seduti a un tavolino per l’intervista. Ripenso alle cinque buste che ho mescolato, come fossero i cinque Wu Ming che dal 2000 hanno fatto parte del collettivo, e che hanno continuato a mischiarsi in nome dell’unica arma che nascondevano, la narrazione.

Perché gli pseudonimi, il senza nome, e che ruolo ha e ha avuto la confusione nel vostro progetto?

Wu Ming, Proletkult

Un ruolo sicuramente importante perché è dalla confusione che nascono le idee. Ed è anche una confusione delle identità quella che ci accompagna da sempre. Prima di Wu Ming facevo parte insieme ad altri di un progetto che si chiamava Luther Blissett, che era proprio basato sulla confusione dell’identità personale in una sovraidentità. Noi avevamo come obiettivo quello di creare la storia e la fama di una sorta di con-dividuo, non più di un individuo, che fosse la somma delle interazioni di tutti quanti, perché chiunque poteva firmare qualunque cosa con il nome Luther Blissett e quindi a questa identità venivano attribuiti testi, azioni, performance che avevano fatto una moltitudine di gente. Il progetto è partito alla fine del 1994 e quando lo ideammo – insieme a tante altre persone – ci eravamo dati come obiettivo quello di un piano quinquennale; il 31 dicembre 1999 chi aveva lanciato l’idea si sarebbe fatto da parte, il progetto sarebbe andato avanti in maniera autonoma. Come ultimo contributo al progetto firmammo come Luther Blissett il nostro primo romanzo, Q , scritto a otto mani e che uscì nel marzo del 1999. Siccome da lì a dicembre il libro ebbe un grosso successo, ci convincemmo della possibilità di provare a continuare a lavorare insieme sulla scrittura. Abbiamo così creato Wu Ming (qui, che cos’è la Wu Ming Foundation) e mantenuto l’idea che i nomi propri non fossero importanti, che non fosse importante la faccia, la biografia di uno scrittore, perché per chi racconta storie la cosa importante sono le storie che racconta. Per mettere in secondo piano la faccia, il nome, la biografia, abbiamo scelto di usare uno pseudonimo che vuole dire “senza nome” in cinese, ma allo stesso tempo di non rendere segreti i nostri nomi perché il segreto avrebbe acceso un maggiore interesse sulle nostre identità, finendo poi per rimetterle in primo piano. I nostri nomi e le nostre facce sono pubbliche, però preferiamo non parlarne, parliamo delle storie che scriviamo.

C’è qualcosa di magico dietro uno pseudonimo.

Sì, dietro uno pseudonimo concepito in questo modo sicuramente. Quando porto in giro per esempio uno spettacolo come questo nel quale sono coinvolto soltanto io, è comunque un po’ come se mi portassi dietro anche i miei compagni. Noi abbiamo sia lo pseudonimo collettivo che uno individuale, io sono Wu Ming 2 – attualmente siamo tre – ma generalmente i lettori si dimenticano quale libro ha scritto chi, e chi è 1, 2 o 4. È tutto di Wu Ming e questa è una magia, nel senso che il mio contributo al progetto collettivo in qualche modo poi non è più il mio ma diventa il progetto stesso. E questo credo sia abbastanza magico.

Questo spettacolo è firmato insieme a Giacomo Costantini di circo El Grito, con le musiche di Fabrizio “Cloyne” Baioni. Perché far incontrare letteratura, circo e musica?

Foto di Bernard Boccara

Giacomo ha partecipato a uno dei miei laboratori che riflettono sulla narrazione a prescindere dal mezzo utilizzato, perché è interessato a un tipo di circo contemporaneo che evochi e che racconti. Il circo riesce molto bene ad evocare, ad avere una sua poesia, ma fa più fatica a raccontare ovviamente. Abbiamo pensato allora con Giacomo che sarebbe stato utile metterci dentro un po’ di testo, una parte letteraria, qualcuno che raccontasse davvero e aiutasse i numeri di circo ad andare oltre il loro aspetto evocativo. La musica è venuta a dare una punteggiatura, il ritmo, così abbiamo finito per confezionare un oggetto teatrale non identificato. Non è solo l’incontro di linguaggi che stanno insieme, il nostro tentativo è stato quello di costruire un oggetto scenico nuovo dall’incrocio di diversi linguaggi.

Che ruolo ha il mentalismo, il magnetismo nella narrazione e cosa ci ha legato nel momento nel quale eravamo insieme sul palco?

Al di là delle teorie di Mesmer e sul magnetismo animale (qui, un articolo di Mariano Tomatis su GIAP, il blog di Wu Ming), comunque quello che uno costruisce raccontando una storia ha un aspetto magnetico; è quel magnetismo che non ti fa staccare l’attenzione da uno che sta raccontando; intorno a una persona che racconta per strada si forma una figura geometrica che nessuno ha pensato o disegnato per terra ma si forma, e il teatro questo lo moltiplica, aumenta in qualche modo il magnetismo della letteratura. Il circo poi, per l’esperienza che ne ho avuto io, lo fa ancora di più, perché è una bolla extraterritoriale con una soglia di ingresso molto bassa. Già andare a teatro è un’attività meno comune, mentre quando la gente vede che c’è il tendone del circo ci va a prescindere da che spettacolo ci sia, perché sa comunque che entrerà dentro una bolla dove valgono regole diverse, lì dentro può succedere di tutto.

Quale è la relazione tra l’esperienza magica, l’illusionismo, la vostra letteratura e la percezione che abbiamo della realtà?

Foto di Vincenzo Baldeschi

Di questo abbiamo spesso parlato con Mariano Tomatis, perché noi ci sentiamo in molti casi come quelli che smontano il trucco, pensiamo a tutte le inchieste che abbiamo fatto e pubblicato su GIAP a proposito di bufale storiche; i nostri stessi libri a volte sono una specie di smontaggio di un trucco, di una storia che è sempre stata raccontata in un certo modo e che tu provi a raccontare in una maniera diversa. Di solito però in uno spettacolo di magia il trucco non si spiega, e anzi chi spiega il trucco è un po’ un guastafeste in fondo. Allora con Mariano ci siamo spesso interrogati se ci sia un modo per, una volta fatto il numero di magia, mostrare qual è il trucco senza rompere però la meraviglia. E ci siamo detti che le tecniche narrative spesso hanno questo di buono, che io posso contro-raccontarti una storia per svelarti il trucco ma in fondo senza rinunciare a raccontare, e questo è l’aspetto che ci interessa della magia.

Oltre alla letteratura e al teatro Wu Ming ha anche un progetto musicale, Wu Ming Contigent, e tu da sempre hai calcato il palco come musicista, parlando di canzoni declamate. Qual è il ruolo della voce nella vostra creazione artistica?

Noi siamo molto legati alla figura del cantastorie, ci consideriamo quasi più dei narratori che non degli scrittori e quindi il fatto di raccontare le storie con la voce ci è sempre sembrato un aspetto molto vicino al nostro modo di lavorare. Usiamo moltissimo la voce anche quando scriviamo; essendo un collettivo, quando ci dividiamo delle parti da scrivere poi ci ritroviamo e ognuno legge ad alta voce quello che ha scritto e gli altri commentano; poi il testo viene affidato a un altro di noi che deve integrare le modifiche che sono state proposte per poi rileggerlo a tutti; la lettura ad alta voce è molto più implacabile della lettura mentale. Ci piace che i nostri libri funzionino se letti ad alta voce, e questo ci porta poi ad avere piacere a leggerli ad alta voce a nostra volta, unendo il tutto alla musica. La voce ti permette di portare una storia anche fuori dai libri, in contesti nei quali tante persone altrimenti non l’avrebbero incontrata.

Qual è la possibilità oggi per la cultura di continuare a essere resistenza?

Credo che la cosa più importante sia che la cultura non smetta mai di raccontare il conflitto. Molto spesso invece chi fa cultura teme di prendere posizione, di dichiarare di avere un punto di vista ben preciso, perché questo magari ti potrebbe tagliare una fetta di pubblico, rendere invisi degli operatori culturali ecc.
Invece penso che non si possa fare una cultura genuina se non prendendo posizione. Non si racconta una storia con una sguardo neutro, per raccontarla mi devo sempre situare in un punto e avere un punto di di vista e credo che l’onestà sia dichiararlo e non far finta di non averlo. Senza conflitto non c’è alcuna storia; la pubblicità è un tipo di pseudo-narrazione che non affronta i conflitti, perché il conflitto non fa vendere se non appianato dal prodotto stesso, come può essere un caffè decaffeinato o un gelato di soia. La pubblicità si basa sull’eliminazione del conflitto, la cultura dovrebbe essere l’opposto e non sempre se lo ricorda.

Un’esperienza di visione che ti ha colpito a teatro da spettatore?

Rezza/Mastrella. La prima volta che ho visto un loro spettacolo sono rimasto davvero colpito dal loro linguaggio, non avevo mai visto niente del genere a teatro. L’uso del corpo, la sospensione nell’assurdo e con quanto poco riescano a raccontare. Il riuscire a scarnificare moltissimo il linguaggio riuscendo allo stesso tempo a renderlo terribilmente espressivo.

Luca Lòtano

UOMO CALAMITA
Scritto e diretto da: Giacomo Costantini
Con: Uomo Calamita, Wu Ming 2, Cloyne
Testo e libro originale: Wu Ming 2
Musiche: Fabrizio “Cloyne” Baioni
Ideazione e costruzione di macchinari: Simone Alessandrini
Occhio esterno: Giorgio Rossi
Occhio interno: Fabiana Ruiz Diaz
Consulenza alla drammaturgia: Luca Pakarov
Costumi: Beatrice Giannini
Luci: Domenico De Vita
Produzione: Circo El Grito
Coprodotto da: Fondazione Pergolesi Spontini, Sosta Palmizi
Realizzato grazie al sostegno del Ministero dei Beni Culturali e Regione Marche

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Luca Lòtano
Luca Lòtano
Luca Lòtano è giornalista pubblicista e laureato in giurisprudenza con tesi sul giornalismo e sul diritto d’autore nel digitale. Si avvicina al teatro come attore e autore, concedendosi poi la costruzione di uno sguardo critico sulla scena contemporanea. Insegnante di italiano per stranieri (Università per Stranieri di Siena e di Perugia), lavora come docente di italiano L2 in centri di accoglienza per richiedenti asilo politico, all'interno dei quali sviluppa il progetto di sguardo critico e cittadinanza Spettatori Migranti/Attori Sociali; è impegnato in progetti di formazione e creazione scenica per migranti. Dal 2015 fa parte del progetto Radio Ghetto e sempre dal 2015 è redattore presso la testata online Teatro e Critica.

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