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HomeArticoliOntologia del dolore. La morte e la fanciulla di Abbondanza/Bertoni

Ontologia del dolore. La morte e la fanciulla di Abbondanza/Bertoni

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Il fortunato spettacolo di Compagnia Abbondanza Bertoni, La Morte e la fanciulla, è una coreografia suggestiva sulle musiche di Franz Schubert. Recensione.

foto di Simone Cargnoni

«Pensa a un uomo la cui salute non potrà più ripristinarsi, e che per pura disperazione rende le cose peggiori invece che migliori. Pensa, intendo, a un uomo le cui più luminose speranze sono diventate nulla, per cui amore e amicizia sono diventati una tortura, e di cui l’entusiasmo per la bellezza sta velocemente sparendo; e chiediti se un uomo così non è davvero infelice».
Queste le parole di Franz Schubert in una lettera del 1° marzo 1824 indirizzata al pittore austriaco Leopold Kupelwieser. Il 1824 è un anno segnato dalla malattia (un ripresentarsi violento della sifilide che lo ucciderà, trentunenne, nel 1827): il pensiero della prossimità della morte è un’ombra che si traduce nel fraseggio duro, simbolico e turbato del Quartetto per archi n. 14 in re minore D810, ripresa in chiave musicale del Lied Der Tod und Das Mädchen (La Morte e la Fanciulla), montato nel 1817 a partire dai versi del poeta Matthias Claudius.
Il complesso ambiente psicologico che la musica disegna è fondato su un movimento dialogico: da un lato la calma perentorietà della Morte (contraddistinta dal ritmo dattilico), dall’altro, per voce della Fanciulla, le esili rivendicazioni della vitalità e della giovinezza e, con esse, le possibilità di peregrinazione espressiva. Si tratta di un iter emozionale che, dalla ribellione, scivola in un rimpianto che si va accordando, pur nella tensione, al maestoso statuto di ineluttabilità della marcia della Morte.

foto di Simone Cargnoni

Michele Abbondanza e Antonella Bertoni hanno dichiarato di essersi rifatti in modo diretto, nella creazione de La morte e la fanciulla (finalista agli Ubu 2018 e primo capitolo di una trilogia consacrata alla musica che prosegue con Erectus e Pelleas e Melisanda), alla potenza del Quartetto e del Lied di Schubert, facendone il vero «motore trascinante» nella costruzione del gesto, secondo un procedimento proprio del balletto classico. Infatti la drammaturgia coreografica, più che sovrascritta alla composizione musicale, stabilisce con essa un rapporto di profonda emanazione, raccogliendone l’intensità “creaturale” e il rigore complesso delle variazioni.

foto di Simone Cargnoni

Sulla scena tre danzatrici (Eleonora Chiocchini, Valentina Dal Mas e Claudia Rossi Valli) si muovono dentro il lighting design di Andrea Gentili, che definisce con eloquenza un habitat chiaroscurale e opaco nel quale il biancore dei loro corpi nudi ora si staglia ora si lascia offuscare. Il fumo, quarto elemento “danzante” sulla scena, conferisce allo spazio il carattere dell’imprevedibilità: allo stesso tempo, la presenza viva dei corpi e la qualità materica del pulviscolo appannato dalle rifrangenze di luce stabiliscono una delicata relazione di contrasto con la virtualità della drammaturgia video (curata da Jump Cut). Il videomapping che si allarga alle spalle delle danzatrici è un raffinato montaggio di immagini: a volte doppio iridescente dell’azione scenica, a volte vettore di una sfasatura di tempo, a volte angolazione perversa che insegue le interpreti dietro le quinte e le sovrasta, ingigantendo la minimalità del gesto intimo. Questa triplice funzione – di duplicazione, anticipazione e sovraesposizione – caratterizza la natura di un ambiente che, mentre moltiplica e accresce le possibilità espressive della vitalità che ospita, definisce allo stesso tempo il proprio irridente primato, concedendo allo spettatore l’angoscia e il privilegio di uno sguardo aumentato capace di cogliere la fragilità del dibattersi dell’umano, continuamente accerchiato.

foto di Simone Cargnoni

Il linguaggio coreografico misura lo svolgimento di un discorso che si sorregge potentemente da solo, senza scivolare mai in un andamento oleografico o esplicativo. Eppure, nel compiersi ineluttabile del disegno di morte, si delinea con lentezza uno sviluppo “esoterico” e narrativo insieme. La figuralità astratta della partitura dei gesti (movimenti di elevazione impediti che irradiano vigore dentro una dimensione costretta, sincronie improvvisamente spezzate, rese del corpo al suono che evocano l’idea di uno stato di trance), favorita dalla selettività della luce, dà vita a un balletto carico di magniloquenza, un lamento corporale segnato da un sentimento combattente e da un’animalità – quella profusa dalle interpreti – languida, responsiva, priva di cedimenti nella permanenza del pensiero che la orienta.
Queste creature, condannate a un invisibile confino, si muovono in una dimensione che – mentre smarrisce l’iniziale “ritualità” per farsi più selvaggia, lasciandosi ferire dalla cognizione dell’impotenza – continua a protendersi con forza verso la realtà, squarciandosi in impeti senza speranza (la corsa di Eleonora Chiocchini che taglia il palco fino a infrangersi sul proscenio) e, soprattutto, permettendoci di leggerla.

foto di Simone Cargnoni

Questo balletto realizza l’incredibile e coerente simbiosi tra essenza animale e istanza filosofica, sviluppando una vera e propria “ontologia del dolore”. Il gesto, estensione fisica del suono, celebra una duplice evidenza naturale della morte: destino corporale, predisposto nel centro di ogni cellula umana e, allo stesso tempo, disegno imperscrutabile, comune a tutta l’umanità. Vedere abitata questa soglia – tra la conoscibilità estrema di ciò che è “incarnato” e, pur nel meccanicismo della legge di natura, l’inconoscibilità dell’ulteriore – trasferisce il sentimento di una contraddizione eterna, esposta con rigore, a tratti con lieve ironia.
Quando il fumo si allunga fino alle prime file della platea, in un’aura sepolcrale che prelude allo spettrale rondò dei movimenti conclusivi, sembra quasi che il tempo di questo compimento sprofondi nel tempo intimo che ci è stato necessario per accoglierlo, lasciando dietro di sé la lunga traccia di un combattimento ormai smaterializzato.

Ilaria Rossini

Teatro Cucinelli, Solomeo – gennaio 2019

LA MORTE E LA FANCIULLA
regia e coreografia Michele Abbondanza e Antonella Bertoni
con Eleonora Chiocchini, Valentina Dal Mas, Claudia Rossi Valli
musiche F. Schubert La morte e la fanciulla
luci Andrea Gentili
video Jump Cut

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Ilaria Rossini
Ilaria Rossini
Ilaria Rossini ha studiato ‘Letteratura italiana e linguistica’ all’Università degli Studi di Perugia e conseguito il titolo di dottore di ricerca in ‘Comunicazione della letteratura e della tradizione culturale italiana nel mondo’ all’Università per Stranieri di Perugia, con una tesi dedicata alla ricezione di Boccaccio nel Rinascimento francese. È giornalista pubblicista e scrive sulle pagine del Messaggero, occupandosi soprattutto di teatro e di musica classica. Lavora come ufficio stampa e nell’organizzazione di eventi culturali, cura una rubrica di recensioni letterarie sul magazine Umbria Noise e suoi testi sono apparsi in pubblicazioni scientifiche e non. Dal gennaio 2017 scrive sulle pagine di Teatro e Critica.

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