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Erotico e nonsense. Koltès secondo Licia Lanera

Licia Lanera ha messo in scena Roberto Zucco di Bernard-Marie Koltès con gli allievi della Scuola del Teatro Stabile di Torino. Lo abbiamo visto in prima nazionale al Festival delle Colline Torinesi. Recensione

foto di Andrea Macchia

Sul palco del Teatro Gobetti di Torino, la densità del buio è tagliata da tante strisce oblique di luce chiara, uno sgocciolio di acqua si condensa lentamente in un flusso sgorgante e intenso, di cascata. La scena è integralmente scura e si conserverà tale: il nero degli abiti sovrapposto a quello delle pareti spoglie, appena interrotto dall’affiorare pallido e giovane della carne, macchiato da qualche schizzo di sangue. Roberto Zucco di Licia Lanera è andato in scena, in prima nazionale, all’interno del cartellone del Festival delle Colline Torinesi. La ripresa del testo di Bernard-Marie Koltès – in questi mesi in cui il suo nome ha fatto un lungo giro mediatico – è affidata alle interpretazioni dei diciannove neodiplomati della Scuola del Teatro Stabile di Torino.

La storia proviene dalla cronaca italiana: Venezia, inizio anni ’80, il barbaro assassinio dei coniugi Succo per mano del figlio diciannovenne Roberto, poi il manicomio criminale, la fuga in Francia – con il falso nome, bizzarramente appena ritoccato, di Roberto Zucco – e una scia di omicidi, tra la Savoia e Tolone; dopo la cattura, il suicidio nel carcere di Vicenza. Un “assassino senza un perché” (come lo ha definito la giornalista francese Pascale Froment che ne ha ricostruito la biografia), icona nera e incomprensibile che Koltès, nell’agonia terminale dell’AIDS, riprende per tracciarne la parabola in una lingua tragica e paradossale, spesso trascrizione di quella di Succo stesso: «Un anno, cent’anni, è lo stesso; presto o tardi dobbiamo tutti morire. E questo fa cantare gli uccelli. Questo fa ridere gli uccelli».

foto di Andrea Macchia

Il lavoro di Licia Lanera sovrascrive a questa componente casuale e vitalistica – un inno al pericolo, erotico e nonsense – una esplicita riflessione sul nauseabondo della cronaca: nelle note di regia menziona il salotto di Bruno Vespa e il mortifero plastico di Cogne, partendo dall’assioma (forse bisognoso di aggiornamento) secondo il quale, per i ventenni di oggi, gli assassini sono simili a star della tv. Ecco che la materia, familiare e corrosa, del voyerismo estetizzato si definisce come centro narrativo primario, in accordo con una costruzione scenica per quadri e con una scrittura drammaturgica spezzata e mirata alla seduzione, che tiene insieme il gusto per colpo di scena alla contemplazione delle cadute più miserevoli. Una macchina elaborata, senz’altro funzionante, la cui direzione registica sembra però frenare il potenziale più autentico e sovversivo dei giovani interpreti, trattandoli appunto come sole presenze, veicoli dolenti di una riflessione corale già stabilita e – a dispetto della profonda perturbanza del tema – vagamente retorica.
Gli attori sono infatti espressivi e disciplinati, votati alla restituzione di un’atmosfera di oscurità grottesca e sensualità inutile, un controcanto della giovinezza costellato di espedienti che amplificano un sentimento di straniante paradosso e, allo stesso tempo, fanno apparire quella cultura della semplificazione che sembra essere alla base delle abbrutenti narrazioni cronachistiche.

foto di Andrea Macchia

Nel complesso – e pur riconoscendo la bontà di alcune trovate sceniche (una su tutte, il macabro e sincopato ballo di gruppo sulle note di Vengo anch’io) – non si può non registrare un approccio registico che in qualche modo sconta l’altisonanza e l’autocompiacimento della sua premessa, lasciandola infine latente. Il proposito di Lanera è quello di raccontare «un’umanità straziata e straziante», attraverso i corpi gloriosi e fustigati di questi giovani che «soccombono sotto la rivoltella dei tempi bui» diretti da una mano registica che, per prossimità anagrafica e sensibilità, si propone detonante. Eppure ci sembra che l’aspetto migliore di questo lavoro risieda nei suoi momenti di ironia fragile e visionaria e che la parola di Koltès chieda una messa in scena meno accattivante e meno ordinativa, capace di evocarne l’ambiguità e il dolore senza cristallizzarli in una riflessione a tesi sulla crudeltà dei tempi.

Ilaria Rossini

Teatro Gobetti, Torino, Festival delle Colline Torinesi – giugno 2018

ROBERTO ZUCCO
di
Bernard-Marie Koltès
regia Licia Lanera
con gli attori diplomati della Scuola del Teatro Stabile di Torino:
Nicholas Andreoli, Noemi Apuzzo, Federica Dordei, Anna Gamba, Alfonso Genova, Jozef Gjura, Noemi Grasso, Riccardo Livermore, Giulia Mazzarino, Riccardo Micheletti, Riccardo Niceforo, Giulia Odetto, Benedetta Parisi, Pierpaolo Preziuso, Federica Quartana, Elvira Scorza, Valentina Spaletta Tavella, Andrea Triaca
luci Vincent Longuemare
assistente regia Danilo Giuva
produzione Teatro Stabile Torino – Teatro Nazionale
in collaborazione con Festival delle Colline Torinesi Torino Creazione Contemporanea

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Ilaria Rossini
Ilaria Rossini
Ilaria Rossini ha studiato ‘Letteratura italiana e linguistica’ all’Università degli Studi di Perugia e conseguito il titolo di dottore di ricerca in ‘Comunicazione della letteratura e della tradizione culturale italiana nel mondo’ all’Università per Stranieri di Perugia, con una tesi dedicata alla ricezione di Boccaccio nel Rinascimento francese. È giornalista pubblicista e scrive sulle pagine del Messaggero, occupandosi soprattutto di teatro e di musica classica. Lavora come ufficio stampa e nell’organizzazione di eventi culturali, cura una rubrica di recensioni letterarie sul magazine Umbria Noise e suoi testi sono apparsi in pubblicazioni scientifiche e non. Dal gennaio 2017 scrive sulle pagine di Teatro e Critica.

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