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Cinema e scuola ne Il racconto d’inverno di Baracco

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Dopo il debutto a Bevagna, è andato in scena al Teatro Morlacchi Il racconto d’inverno diretto da Andrea Baracco con la Compagnia dei Giovani dello Stabile dell’Umbria. Recensione

foto Ufficio Stampa

Tra Sicilia e Boemia, tra le regge e le campagne, in un tempo sospeso. Il racconto d’inverno di William Shakespeare (1611) non appartiene al repertorio più celebre del drammaturgo inglese eppure questa “tragicommedia” ha conosciuto una sua specifica fortuna. Risale al 2015 la messa in scena firmata dalla Kenneth Branagh Theatre Company che – sul palco del Garrick Theatre e poi sugli schermi di tutto il mondo – ha visto Judi Dench nel ruolo di Paulina e lo stesso Branagh in quello di Leonte.
Questo potenziale di cinematograficità sembra essere al centro anche dell’operazione condotta da Andrea Baracco (regista che da anni si occupa di una rilettura di Shakespeare improntata all’estrinsecazione del suo incanto in chiave mainstream) insieme a nove degli attori della neonata Compagnia dei Giovani dello Stabile dell’Umbria. Un progetto dunque che si configura, da un lato, come una palestra di rango per gli interpreti e dall’altro come una produzione (targata TSU) accuratamente progettata per conquistare, nel corso del prossimo autunno, alcuni palcoscenici importanti. Dopo il debutto nel teatro di Bevagna, che ha ospitato le settimane di costruzione e prove, Il racconto d’inverno ha fatto tappa al Teatro Morlacchi, all’interno della stagione del ridotto Smanie di primavera.

foto Ufficio Stampa

In un ambiente scuro e scarno, dominato da pochi elementi di scenografia, la vicenda di amore, gelosia ed equivoci è svolta con chiarezza, mantenendo dell’originale l’attenta polifonia (perfetta per valorizzare a dovere tutti gli interpreti) e l’andamento di dramma pastorale. Il perfezionismo con il quale Baracco compone la scena appare evidente soprattutto nella cura degli avvicendamenti e nell’articolazione delle partiture gestuali che sanno tenere insieme una avvincente qualità cinematografica e una drammaturgia del movimento, la quale coniuga la regalità del classico ad alcuni passaggi di giusta ironia.
La giovane presenza dei corpi – di per sé sempre sul bilico pericoloso di creare un effetto di saggio – è esperita valorizzandone le qualità più plastiche e fuggevoli, giocando nella creazione di quadri visivi mossi e raffinati e nella definizione di un seducente ritmo scenico che funziona come un congegno a orologeria. Questa scelta di utilizzare gli attori e le loro presenze sceniche assecondandone le nature (e funzionalizzando in forme di bellezza, organizzate ed esplicite, tutto ciò che avrebbe potuto costituire un limite) è congeniale al confezionamento di uno spettacolo che riesce a tenere sempre alta l’attenzione del pubblico, senza eccedere in ammiccamenti, ma conservandosi entro i perimetri di un divertissement raffinato e godibile.

foto Ufficio Stampa

La dedizione degli attori, tutti calati nelle proprie parti, fa il resto. Ludovico Röhl (Leonte) è stentoreo, febbricitante e completamente votato al proprio personaggio, Luisa Borini (Paulina) è perfetta nel suo abitare liminarmente la scena che catalizza sempre l’attenzione, Jacopo Costantini (Antigono e Autolico) è capace di farsi veicolo di un’irruzione di cabarettistica modernità che potrebbe disturbare e che sa invece rischiarare con una spontaneità che è pregio dell’attore. Mariasofia Alleva dà vita a una Ermione efficace ma ancora un po’ trattenuta dalla compostezza solenne e scolastica dell’interprete: in lei si avverte con massima chiarezza l’impostazione di scuola e il margine evolutivo della medesima. Daphne Morelli riesce nella difficile operazione di smarcare, con una delicatezza che è natura, il personaggio di Perdita dai rischi del lezioso, mantenendola lieve e sovrannaturale pure nella sua pronunciata funzione di perno dell’intreccio.

Se in alcuni momenti si affaccia il dubbio che sia la visione filosofico-registica a soffrire di qualche limite, va però riconosciuto che, sin dalle premesse, questo lavoro si presenta, più che come luogo dell’indagine, come terreno di gioco per giovani attori.

 

Ilaria Rossini

Teatro Morlacchi, Perugia – aprile 2018

 

di William Shakespeare
con la Compagnia dei Giovani del Teatro Stabile dell’Umbria: Mariasofia Alleva, Luisa Borini, Edoardo Chiabolotti, Jacopo Costantini, Carlo Dalla Costa, Giorgia Filippucci, Silvio Impegnoso, Daphne Morelli, Ludovico Röhl
voce registrata Adriano Baracco
regia Andrea Baracco
adattamento Andrea Baracco, Maria Teresa Berardelli
musiche originali Giacomo Vezzani
luci Emiliano Austeri
aiuto regia Maria Teresa Berardelli
scena e costumi Allievi della Scuola di scenografia dell’Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci” di Perugia, docente Marta Crisolini Malatesta
il pupazzo Mamillio è opera di Pecchia/Magoni
il brano “Little Sparrow” è eseguito da Elena Nenè Barini
una produzione Teatro Stabile dell’Umbria

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Ilaria Rossini
Ilaria Rossini
Ilaria Rossini ha studiato ‘Letteratura italiana e linguistica’ all’Università degli Studi di Perugia e conseguito il titolo di dottore di ricerca in ‘Comunicazione della letteratura e della tradizione culturale italiana nel mondo’ all’Università per Stranieri di Perugia, con una tesi dedicata alla ricezione di Boccaccio nel Rinascimento francese. È giornalista pubblicista e scrive sulle pagine del Messaggero, occupandosi soprattutto di teatro e di musica classica. Lavora come ufficio stampa e nell’organizzazione di eventi culturali, cura una rubrica di recensioni letterarie sul magazine Umbria Noise e suoi testi sono apparsi in pubblicazioni scientifiche e non. Dal gennaio 2017 scrive sulle pagine di Teatro e Critica.

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