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Luca Trezza e il byte di una formica di vetro

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Luca Trezza con Trittico del mio byte è in scena allo spazio Formiche di Vetro Teatro. Recensione

Spazio Formiche di Vetro Teatro
Spazio Formiche di Vetro Teatro

Roma non è fatta solo di spazi teatrali che chiudono, ammettiamo che essi siano la maggioranza e che le politiche culturali non hanno cura di evitare questo progressivo e graduale depauperamento, ma non cadiamo nel pessimismo dilagante e facciamoci forza constatando invece la nascita di nuove spinte e stimoli. La fragilità resta, purtroppo, il quid imperituro del mestiere d’attore, aspetto però che unito a un’operatività da formiche rende simbolicamente l’idea di un connubio, quasi, indistruttibile: vulnerabilità e forza infaticabile congiunte insieme. L’associazione culturale Formiche di Vetro Teatro incarna nel nome questa doppia anima; nata nel 2008 dalla volontà dell’attore salernitano Luca Trezza che, dopo essersi diplomato all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico, ha scelto di costruirsi un proprio percorso autonomo. Solo nel 2014, l’associazione riesce a dotarsi finalmente di uno spazio in via dei Vascellari a Trastevere con la volontà di animarlo «di un nuovo, piccolo cuore pulsante». Le stesse organizzatrici, Eleonora Bucci e Ilaria Fantozzi, ci raccontano che appena aperto, per incuriosire e informare gli abitanti del quartiere, ma anche gli stessi turisti, piccole performance sono state fatte in strada nello spiazzo davanti al portone della sala.

Foto di Matteo Nardone
Foto di Matteo Nardone

Un teatro che oltre a presentare gli spettacoli scritti dallo stesso Luca Trezza, si dedica parallelamente alla formazione con progetti dedicati all’allenamento per attori, a corsi di recitazione e giochi di espressione corporea per i bambini.
In gara per il Premio In-Box 2016 e prodotto da Formiche di Vetro Teatro, lo spettacolo Trittico del mio byte scritto, diretto e interpretato da Luca Trezza è «un soliloquio sulla perdita, la crescita e l’alienazione ai tempi dei social network» suddiviso in tre filoni narrativi Abbakkoapertaa + Neo. Melò. Diko. + Un racconto di fine mese verso le 3 e ½ della notte ognuno dei quali potrebbe essere inteso rispettivamente come specchio deformato di adolescenza, maturità e vecchiaia. Se è vero che forse il titolo in sé non rende tanto giustizia allo spettacolo, non possiamo esimerci dal definirlo, sin dal testo, una prodezza letteraria. Sulle note di un «Vivaldi che si fa Bach», attingendo alla vena rivoltosa e ribelle di Urlo (Howl) di Allen Ginsberg e insinuandosi nelle pieghe lamentose del beckettiano Dondolo, la drammaturgia di questo trittico si articola in una lingua scomposta, interrotta da una parola sdrucita, come un messaggio bucato nell’etere. Bisbigli, urla, cantilene, sputi che scivolando nel palato si aprono poi in urla sofferenti; danno corpo a personaggi capricciosi e riottosi di diventar protagonisti in scena. Una madre lontana, andata via, fuggita, momentaneamente non raggiungibile, pregando di richiamarla più tardi. A quale numero? Risponderà? Increduli fino a dove la recitazione virtuosistica e formalmente artificiosa oserà spingersi, guardiamo l’attore farsi verso, giocare con la fonetica delle parole ordinate metricamente e poi distrutte per dirle in altro modo, creando un susseguirsi di inattesi significati onomatopeici. Una dietro l’altra, prima dell’altra, fagocitandosi in una corsa senza respiro. Il neomelodico carnascialesco irrompe in tutto il suo invadente e comico lato trash nella seconda storia così diversa ma simultaneamente legata alla prima e alla terza. Distopica e postmoderna – che ricorda tanto il film Strange Days di Kathryn Bigelow – è la conclusione in cui esseri in attesa di Happiness attaccano la loro vita al filo del caricabatterie di un cellulare.

Foto di Matteo Nardone
Foto di Matteo Nardone

Anche se l’impatto con questo surreale trittico possa essere disarmante e confondere lo spettatore nel caos di una scrittura spregiudicata, la sua visionarietà resta in definitiva conturbante. Nello stile è ravvisabile l’influenza di autori come Emma Dante, Danio Manfredini, Roberto Latini e Ilaria Drago, coi quali Trezza ha seguito laboratori di approfondimento. La spinta è quella di presentare al pubblico una prova difficile nei toni e nella struttura, portatrice però dei germi di un nuovo linguaggio.

Lucia Medri

in scena fino al 19 marzo allo spazio Formiche di Vetro Teatro

TRITTICO DEL MIO BYTE
scritto, diretto e interpretato da Luca Trezza
produzione Formiche di Vetro Teatro

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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