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Peter Handke: risuona l’eco teatrale

La terra sonora di Peter Handke, il racconto di due serate.

 

Fotogramma La stagione della solitudine
Fotogramma La stagione della solitudine

In una precedente occasione ci siamo trovati a scrivere del drammaturgo austriaco Peter Handke, presentando il progetto La terra sonora – il teatro di Peter Handke a cura di Valentina Valentini e Francesco Fiorentino. Risuona dunque come un’eco lontana la parola dello scrittore, astratta, complessa e a tratti irragiungibile; all’apparenza compresa ma già scivolata via nella terra del contemporaneo, troppo impegnata a perdersi nei suoi frenetici rumori. Il teatro di Handke ritrova tuttavia un suo “esserci”consacratogli nello spazio del Teatro Biblioteca Quarticciolo. Quattro sono le giornate che hanno presentato una lunga e complessa fase di lavoro laboratoriale, di cui spettacoli e performance sono un approdo compiuto certo, ma di passaggio, attraverso il quale sperimentare ancora nuove soluzioni di contatto, sinergie, incontri ed esperienze.

Fotogramma La stagione della solitudine
Fotogramma La stagione della solitudine

Handke Camp, nato da un’idea di Fabrizio Arcuri insieme a Fiora Blasi, Daria Deflorian, Caterina Inesi e Lorenzo Letizia con i contributi teorici di Attilio Scarpellini, è il luogo dove teoria e pratica si uniscono per pensare alle potenzialità comunicative dell’opera dello scrittore austriaco. Come sottolinea Daria Deflorian durante la presentazione d’apertura, la finalità del laboratorio è stata quella di invogliare i ragazzi dell’ Università La Sapienza a «trovare una loro creazione». Non maestri di regia ma tutor quindi, che hanno stimolato i partecipanti affinché reperissero individualmente il materiale relativo agli scritti di Handke per poi far scoprire loro dei «fuochi», punti di contatto con le proprie personalità. Tramite un difficile e impegnativo lavoro di gruppo i giovani hanno dovuto condividere idee e pensieri facendoli «resistere», per dar vita a quattro lavori che esplorano la scrittura teatrale dell’autore e ne restituiscono differenti e inattese sfaccettature. Fabrizio Arcuri ha specificato che il suo compito è stato quello di aver «aiutato i ragazzi a raffinare le idee portandole alle estreme conseguenze pur rispettando i loro punti di partenza». Il peso del mondo viene così interpretato in maniera assurda e grottesca: una donna-palla trascina a fatica la sua pesantezza, sdraiata sul proscenio si abbandona ad ascoltare momenti di vita quotidiana ed estratti del libro dello scrittore austriaco, chiedendo al pubblico divertito di aiutarla a premere il tasto del registratore. Handke dialoga allora con un lontano Samuel Beckett e il suo L’ultimo nastro di Krapp e, poi ancora con la studentessa. Ma, come ribadisce Arcuri, «non sempre la chiave di volta può essere l’ironia»; segue un cortometraggio chiamato La stagione della solitudine ispirato a La donna mancina: nello scorrere dei fotogrammi viene raccontata la vita quotidiana di una donna, intervallata dalle sue ansie, manie, e solitudini. La potenza di Infelicità senza desideri è rivissuta nei corpi di due giovani non attori, a rievocare il cinismo e il pragmatismo di un amore filiare sofferto e crudo. L’ultima è invece un’ installazione fotografica/performance a partire dai personaggi del testo teatrale Il gioco del chiedere. Si nota in tutti questi lavori giovanili, escluso il primo, la predilezione verso le tematiche più complesse e amare dello scrittore, come fossero questi gli aspetti maggiormente in sintonia con le personalità dei ragazzi che hanno deciso di mettersi alla prova con un autore tout court quale Peter Handke.

Foto Ufficio Stampa
Foto Ufficio Stampa

L’ora in cui non sapevano niente l’uno dell’altro è liberamente ispirato all’omonimo testo ed è un progetto di Veronica Cruciani, Michele Di Stefano e Muta Imago. Appena arrivati al Lotto 2 di Via Ostuni 3 ci accoglie una lunga fila in attesa di entrare nel portone di un condominio. Invitati a portare con noi un dono, firmiamo una liberatoria e una volta riposto un oggetto personale in una busta con su scritto il nostro nome, passiamo per le cantine impolverate e affascinanti del palazzo. Giunti nel cortile, lasciamo la “busta personale” al centro dello spiazzo e aspettiamo il nostro inquilino. Su un foglietto vengono infatti illustrate le condizioni di questo gioco teatrale secondo il quale saremmo, forse, accolti (singolarmente o in coppia) a casa di uno degli abitanti del palazzo, entrando nella sua intimità e lasciandoci soli con essa. Siamo allora chiamati da un ragazzo e seguendolo veniamo fatti entrare in questo piccolo appartamento: un’unica sala con cucina e tre porte chiuse che vi si affacciano. Piatti sporchi nel lavello, disegni di bambini, medicine, liste di numeri, e sul tavolo doni e messaggi lasciati dai precedenti ospiti. Il tempo scade, veniamo riaccompagnati nella confusione del cortile, torniamo alla realtà e recuperiamo la nostra busta.
Inattesa e folle, un’esperienza viva che segue il laboratorio Q-lab durante il quale si è osservato lo spazio del Lotto 2 per poi restituire «un doppio sguardo che abbiamo a lungo inseguito». Un’intimità però bloccata da quelle tre porte chiuse nella stanza, quasi a voler castrare la nostra curiosità di ospiti, accolti in un contenitore-casa privato momentaneamente dei suoi proprietari e preparato ad accogliere ospiti estranei. Sembra mancare a questa performance un elemento aggiuntivo, un spingersi in extremis che proietti oltre un’esperienza di teatro potenzialmente forte, lasciata tuttavia compiuta solo a metà.

La vertigine del contatto con la parola drammaturgica dello scrittore Peter Handke è lo stimolo per alimentare il logos della creazione, e tramite esso dare nuovo senso al senso originario, cambiandone forma ma non contenuto. Propagare il suono affinché giunga a sempre giovani orecchie capaci di trasformarlo in sorprendenti musicalità.

Lucia Medri
Twitter @LuciaMedri

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visto al Teatro Biblioteca Quarticciolo nel mese di maggio/giugno.

HANDKE CAMP
a cura di | Fabrizio Arcuri, Fiora Blasi, Daria Deflorian, Caterina Inesi e Lorenzo Letizia
con i lavori degli studenti | Angela Alizzi, Maria Costanza, Barberio, Chiara Bruni, Luca Frangipane, Roberta Guccione, Lorenzo Guerrieri, Stella Larotonda, Claudia Mirandola, Ylenia Monti, Isabella Ripoli, Gabriele Romaniello, Giulia Smordoni, Maria Chiara Tofone, Maria Virelli, Claudio Zenobi

L’ORA IN CUI NON SAPEVAMO NIENTE
L’UNO DELL’ALTRO
liberamente ispirato all’omonimo testo di | Peter Handke
un progetto di | Veronica Cruciani, Michele Di Stefano/mk, Muta Imago
realizzato con tutti i partecipanti del laboratorio Q-lab

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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