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Orchestra di Piazza Vittorio: Carmen oltre la superficie

L’Orchestra di Piazza Vittorio reinterpreta la Carmen inaugurando la stagione estiva dell’Opera di Roma alle Terme di Caracalla. Recensione

 

orchestra di piazza vittorio carmen
foto Serena De Angelis

Ad aprire la stagione estiva del Teatro dell’Opera di Roma è stata l’Orchestra di Piazza Vittorio che ha portato nel contesto archeologico delle Terme di Caracalla la propria versione della Carmen con la direzione di Leandro Piccioni e la regia di Mario Tronco. L’allestimento ha debuttato al Festival Nuits de Fourvère di Lione l’anno scorso e vede la collaborazione dell’Orchestra Giovanile del Teatro dell’Opera di Roma e del Coro Lirico di Saint Étienne Loire guidato da Laurent Touche. Data unica il 24 giugno quella dell’evento in prima italiana anticipato da una generale aperta a giornalisti e ad altri spettatori su invito.

Carmen nasce dell’ingegno e dalla mano compositiva di Georges Bizet come opéra-comique in quattro atti (o quattro quadri) con libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy sulla falsariga di una novella di Prosper Mérimée pubblicata per la prima volta nel 1845 dalla rivista Le Revue de deux mondes. L’esordio del marzo 1875 è in realtà preceduto da un lungo lavoro di preparazione che inizia tre anni prima, quando i direttori dell’Opéra-Comique parigina – Camille Du Locle e Adolphe De Leuven –  propongono al musicista la commissione di un’opera lirica, segnata nel tempo da una serie di peripezie e nell’immediato accolta in patria con clamore e malevolenza scandalizzata. Prima di accedere all’olimpo del repertorio e tornare in Francia come un capolavoro, infatti, la Carmen dovrà attendere la tournée viennese del 1876, avvenuta dopo la morte dell’autore. La vicenda stessa costituisce per il genere un episodio di rottura che scardina irrimediabilmente la prassi del lieto fine caro al pubblico della medio-borghesia del tempo e infrange l’abitudine al trionfo dell’eroina canonica, timorata e temperata. Nel contesto da stereotipo spagnoleggiante di Siviglia, Carmen, indipendente e voluttuosa zingara affiliata al contrabbando, seduce Don Josè, giovane caporale dell’esercito, sottraendolo al sentimento per l’angelica sorella adottiva Micaëla. Dopo aver aiutato la tabacchiera a scappare di prigione, fugge con lei verso una vita nomade sulle montagne, lontano dai dettami delle norme costituite. L’idillio però, prevedibilmente, dura poco: si sa « L’amour est l’enfant de Bohême, / Il n’a jamais, jamais connu de loi; / Si tu ne m’aimes pas, je t’aime; / Si je t’aime, prends garde à toi! ». La ruggine interviene a incrinare una passione sbilanciata che la donna sostituisce con i favori del torero Escamillo e scatena in Josè un bisogno di vendetta tramutato nella frustrazione univoca dell’omicidio, nella cancellazione dell’amata attraverso la lama di un coltello.
Conosciutissima nominalmente, l’opera reca in sè una serie di motivi (non ultimo il succitato Habanera) pariteticamente noti seppure non necessariamente ricondotti all’origine dalla memoria musicale dei “non-frequantatori” del genere.

foto ufficio stampa
foto Serena De Angelis

Alcuni dei tratti distintivi che hanno consegnato Carmen alla storia come uno dei classici più magnetici e intriganti della compagine lirica permangono evidenti ai giorni nostri: il fascino mitico dell’Altrove e poi l’intrigo leggero e sinistro insieme di una femminilità autonoma e sfrontata sino alle estreme conseguenze. Elementi questi che competono all’intreccio certo, ma prima e più ancora all’intera concezione musicale del lavoro, dal preludio sino alla conclusione. Quelle che in illo tempore furono interpretate quali introduzioni di melodie “esotiche”, altro non furono che l’abile tessitura di Bizet di una serie di temi richiamanti, alla percezione del suo spettatore, l’effetto desiderato, interpolazioni armoniche costruite ad arte sulla scia di una “moda creativa” abbastanza dilagante. Così dicendo si esaurirebbe allora la questione nell’astuzia autoriale con grande errore, perché Carmen è opera nel suo universo concretamente rivoluzionaria. L’impronta meticcia, che vede elementi sonori desunti dai teatri di boulevard, musiche popolari e standard di composizione “accademica” fusi nella grazia armonica di un unicum potente, è forse la principale ragione sia della sua problematicità sia del suo successo. Per quanto strano appaia all’orecchio odierno, assurta nelle schiere celesti dei classici intoccabili, si può dire che Carmen ha il privilegio della provocazione, l’ispirazione ad essere volgare nel senso etimologico del termine.

foto ufficio stampa
foto Serena De Angelis

In questa prospettiva, la versione dell’Orchestra di Piazza Vittorio è un passo coerente sulla strada della riproposizione. La schiera degli zingari diviene una carovana di nomadi che nel viaggio dal Rajasthan verso la Spagna ha reclutato fra le sue schiere individui e tradizioni delle più differenti provenienze. Un nuovo arrangiamento interessa l’impatto melodico complessivo pur nella conservazione di alcune strutture armoniche e fraseologie dei temi principali. Se il libretto pare grossomodo invariato, a ben guardare un rifacimento lo interessa, oltre che per la costruzione di espedienti dovuti a una riduzione di durata, anche e soprattutto per quanto ha a che vedere con l’economia drammatica dei personaggi: il coro, avvolto d’oro su una struttura aerea di assi in ferro, non ha più una semplice e mutevole funzione di accompagnamento e osservazione ma serve da voce di commento e monito, personaggio di un a parte che è dentro e fuori dall’azione scenica e musicale; i protagonisti stessi acquisiscono sfumature individuali non riscontrabili nei profili dell’originale. Josè – Sanjay Khan –  non è un irresoluto trascinato dagli eventi e Carmen è una donna gravida e innamorata, la cui volubilità umorale è meno marcata rispetto al dubbio che porta il pubblico di Bizet a non capire mai fino in fondo se offra se stessa o esibisca di se stessa quel che vuole. Così anche le colorature si stravolgono: baritoni, tenori, bassi e soprani sono soppiantati da voci pop, black, modulazioni jazzistiche, arabe, indiane, ricomposte tutte nel saluto al pubblico cantato da Micaëla – Elsa Birgé – su The man I love di Gershwin e disciolte sulle coreografie di Giorgio Rossi che agilmente passano fra flamenco e danza indiana. A Carmen, pur nella revisione di molte sessioni ritmiche interne, si lascia intatta la cifra vocale di modo da preservarne la riconoscibilità e cautelarne l’efficacia qui demandata a una buona Cristina Zavalloni, nonostante qualche piccola sbavatura (un esempio nelle irregolarità di discesa sul tetracordo dell’Habanera).

Resta una perplessità: a quanti intendano vedere Opera e vedere la Carmen in questo senso, tale allestimento non darà soddisfazione, meno ancora a quanti intendano conoscerla non avendo mai avuto modo di farlo, ne trarranno poco più che una intuizione; a quanti invece della Carmen vogliano veder lo spirito, il presupposto di concertazione e ideazione di base, servirà più di quanto possa sembrare in superficie.

Marianna Masselli
Twitter @Mari_Masselli

Terme di Caracalla, Roma, Giugno 2014

 

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CARMEN
Di Georges Bizet
Con l’Orchestra di Piazza Vittorio
Elaborazione musicale Mario Tronco e Leandro Piccioni

Una produzione
Les Nuits de Fourvère/Dèpartement du Rhône
Opéra Théâtre de Saint-Étienne

Con
Cristina Zavalloni Carmen
Sanjay Khan José; harmonium, castagnette
Elsa Birgé Micaela

Houcine Ataa Escamillo
Carlos Paz Duque Zuniga; flauti
Omar Lopez Valle Le Dancaire / Gitano; tromba
Ernesto Lopez Maturell Contrabbandiere / Gitano; percussioni
El Hadji Yeri Samb Remendado / Gitano; djembe, dum dum
Pino Pecorelli basso e contrabasso
Raul Scebba percussioni
Leandro Piccioni pianoforte, sintetizzatore
Ziad Trabelsi oud
Emanuele Bultrini chitarre
Marian Serban cimbalon

Musicisti Ospiti
Ion Stanescu violino
Simon Siger trombone,
Paolo Rocca clarinetto

Dhoad Gypsies of Rajasthan
Amrat Hussain Tablas
Jhori Mahendra Kumar Percussioni | Voce
Sarwar Percussioni | Voce
Meena Ballerina
Sapera Ganga Ballerina
Sapera Manju Ballerina
Sapera Chanda Ballerina

Romafest Ballerini Rumeni
Ovidio Totti
Vizi Dezso
Adam Jozsef
Biga Imre

Coro e Orchestra Sinfonica di St. Etienne Loire
Diretti da Leandro Piccioni

Direzione artistica e musicale Mario Tronco
Elaborazione e arrangiamenti Mario Tronco e Leandro Piccioni
Coreografie Giorgio Rossi
Scenografie e mise en espace Lino Fiorito
Realizzazione scenografie Atelier Opéra Théâtre de Saint-Étienne
Disegno Luci Bruno Marsol
Costumi Katia Marcanio
Realizzazione costumi Atelier Opéra Théâtre de Saint-Étienne

Ingegnere del suono Gianni Istroni
Fonico di palco Francesco Ferraioli

Cura del progetto Giacomo Scalisi

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Marianna Masselli
Marianna Masselli
Marianna Masselli, cresciuta in Puglia, terminato dopo anni lo studio del pianoforte e conseguita la maturità classica, si trasferisce a Roma per coltivare l’interesse e gli studi teatrali. Qui ha modo di frequentare diversi seminari e partecipare a progetti collaterali all’avanzamento del percorso accademico. Consegue la laurea magistrale con una tesi sullo spettacolo Ci ragiono e canto (di Dario Fo e Nuovo Canzoniere Italiano) e sul teatro politico degli anni '60 e ’70. Dal luglio del 2012 scrive e collabora in qualità di redattrice con la testata di informazione e approfondimento «Teatro e Critica». Negli ultimi anni ha avuto modo di prendere parte e confrontarsi con ulteriori esperienze o realtà redazionali (v. «Quaderni del Teatro di Roma», «La tempesta», foglio quotidiano della Biennale Teatro 2013).

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