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Waiting for DNA 2014: la parola alla danza

Waiting for DNA 2014
Foto Ilaria Costanzo

Un vecchio magazzino adibito ora a teatro, un folto gruppo di studiosi, ricercatori, coreografi, studenti e amanti della danza per una serie di sei incontri, lungo i primi mesi dell’anno: questo è Waiting for DNA. Per il quarto anno consecutivo tornano gli appuntamenti dedicati al linguaggio coreografico che anticipano e preparano la rassegna DNA 2014, relativa all’attività di promozione della danza italiana organizzata dalla Fondazione Romaeuropa e curata da Anna Lea Antolini .
Alternando momenti di discussione prima e dopo lo spettacolo, l’occasione è quella di riflettere sulla relazione danza-drammaturgia: «esiste una drammaturgia della danza?»; il quesito, fonte di investigazione storica e analisi della contemporaneità, sarà il filo rosso di quest’edizione e legherà insieme gli studi, i lavori e anche i laboratori pensati per alimentare questa «riflessione condivisa».

Molte sono le persone che nella serata di ieri hanno preso parte, presso il piano inferiore dell’Opificio Telecom Italia, all’incontro d’apertura Corpo come testo: alcune riflessioni su danza e drammaturgia, curato e condotto dalla studiosa e ricercatrice Ada D’Adamo. Introducendo il tema di quest’anno, la relatrice si è soffermata sull’aspetto dinamico e fluido del processo di analisi che lega indissolubilmente tanto i danzatori quanto gli spettatori, ribadendo che «siamo invitati a stare dentro un processo, non solo chi danza ma anche chi guarda». Una relazione biunivoca quindi, la quale nel ripercorrere la storia della drammaturgia e dell’ incontro tra la danza e il linguaggio teatrale, ripensa il corpo in scena come «agente di comunicazione».

Comunicare è necessità primaria del linguaggio coreografico, soprattutto quello contemporaneo, capace di produrre senso in virtù di uno scambio, una compartecipazione. Lo dimostra per esempio la freschezza e l’umiltà della danzatrice Giorgia Nardin che, a seguito alla presentazione del primo studio per Virginia, freme dalla voglia di sapere quali siano le emozioni e i pensieri che il suo lavoro ha suscitato nel pubblico, tanto da portarsi in scena un quaderno su cui prendere nota. Nonostante sia ancora al suo stato embrionale, Virginia si presenta come una sequenza intima e introversa, in cui la danzatrice sembra interrogare la propria corporeità, dove la maggior parte dei movimenti sono trattenuti e soffocati nonostante l’energia e la tensione attraversi ogni singolo muscolo di questo corpo nudo e vestito solo di una gonnella color smeraldo. Il punto di partenza è stato il romanzo Le Vergini Suicide di J. Eugenides, scelto dalla danzatrice per poter lavorare a un assolo con una ragazza adolescente, sondando le tracce dell’abbandono e la loro memoria. Il prossimo anno questo progetto vedrà la sua completa realizzazione, la singolarità iniziale sarà sostituita da un insieme di assoli in cui saranno gli altri, possibilmente non danzatori professionisti, ad esibirsi. Al termine della conversazione, Giorgia Nardin ribadisce la necessità di poter lavorare – a seguito di un percorso di residenze che la vedrà impegnata in questa prima parte dell’anno – al fianco di un dramaturg che possa assemblare insieme i vari pezzi e farli dialogare.

Waiting for DNA 2014
Foto Anna Lea Antolini

Il primo incontro di DNA continua e termina con due lavori della coreografa Marina Giovannini: Meditation on beauty N.1 e Meditation on beauty N.2. In scena sono posizionati tre parallelepipedi di legno sui quali la danzatrice dà vita a una serie di movimenti in cui mostrare la bellezza della forma, la purezza del gesto, l’espressione essenziale di una presenza che riempie lo spazio spoglio e algido. Non un’emozione sul volto, lo sguardo è concentrato e assorto in quello che può sembrare apparentemente un esercizio di stile ma che risulta in seguito un processo di costruzione e poi decostruzione del gesto; il suo corpo si abbandona poi, nell’ultima parte, a un movimento decentrato, disarticolato, manifestandosi in una serie di impulsi opposti e contrari. Nella seconda meditazione sulla bellezza, lo stesso spazio è occupato dalle danzatrici Marta Capaccioli, Veronica Cornacchini e Lucrezia Palandri che, con in mano un pallone da basket, danno vita a una serie di sculture corporee e sembrano ricordare Le tre Grazie, le tre divinità della bellezza. La tensione di un respiro, quello che serve per posizionare il pallone sui volti per poi lasciarlo lì immobile, l’incertezza della caduta e la contemplazione affascinata di questa danza plastica e della sua grazia.

Il primo frammento di Waiting for DNA si conclude all’insegna della danza pura ed essenziale, mostrando quella “inoperosità” del gesto di cui parla il filosofo Giorgio Agamben, citata durante l’incontro d’apertura. Proprio in essa risiede la possibilità di allargare la nozione di drammaturgia applicandola al linguaggio coreografico contemporaneo, comprenderne le potenzialità interdisciplinari e “indisciplinari”, dando letteralmente la parola al corpo che danza.

Lucia Medri
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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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