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Massimo Ranieri e l’incantesimo della rivista: Viviani Varietà all’Argentina

foto di Ufficio Stampa
foto di Ufficio Stampa

Spesso si incappa nella trappola della fuga dal clichè, dell’intellettualismo ad ogni costo, di quel rischio di spessore supposto che diviene filtro condizionante e condizionato per la visione della realtà. Anche o forse soprattutto il teatro è assai vittima di un simile calappio. L’avanguardia, la ricerca sempre e comunque, la profondità psico-artistica, la brama di una innovazione frequentemente più agognata che realizzata sono, fuori da ogni dubbio, tra i fantasmi principali responsabili di operazioni poco riuscite. Non di rado si dimentica che tra i suoi pregi primari resta una forma di distensione che è capace di mondare la percezione anche passando da canali conosciuti, non necessariamente truculenti alla sensibilità, perché il sorriso non è peccato ed è risaputo che molte volte pure dalla spensieratezza affiorano i significati.

Il varietà come poche altre forme capì la riuscita di tale sortilegio, lo sfruttò fino all’ora di spettanza per la sua parabola lasciando traccia di sé in un processo diacronico che, a seguito dell’elitarismo disprezzante, ne segnò col passare degli anni la rivalutazione per concetti, modalità e figure di riferimento. Ecco cosa accompagna la visione dell’apertura del sipario di Viviani Varietà, in scena al Teatro Argentina per la regia di Maurizio Scaparro e con l’interpretazione di Massimo Ranieri.

La vicenda è ambientata sul piroscafo Duilio che nel 1929 condusse Raffaele Viviani e la sua compagnia a Buenos Aires per l’inizio della tournée in America Latina. Il lavoro è diviso in due atti che vedono seguire al primo, sorta d’inquadramento o ambientazione, un secondo capitolo che fra montaggio di numeri e assemblaggio di esibizioni ripropongono più o meno esattamente uno spettacolo di rivista a matrice partenopea. Al suo interno non mancano, oltre ovviamente alle composizioni di canti e versi dell’autore-attore e poeta napoletano, riferimenti alla biografia: la centralità dell’interpretazione dello “Scugnizzo”, la moglie Maria, la collaborazione con la compagnia Za-Bum, il ruolo di capocomico e l’attraversamento della fame, ma anche le aspirazioni e il mestiere drammaturgico – che lo portarono alla definizione di un genere performativo mai conosciuto prima – con le sue relative difficoltà e gli scoraggiamenti.

foto di Ufficio Stampa
foto di Ufficio Stampa

L’organizzazione della piéce non si può che dire ordita in maniera meticolosa, seppure il primo tempo potrebbe forse essere eliso per i due terzi senza perdere la funzione contestualizzante riuscendo però a sviare il pericolo della ridondanza retorica o del sentimentalismo tradizionale. Per quanto non stupisca un impianto scenografico quantomeno canonico, la presenza interpretativa non viene a mancare: si conserva nella sfera della coscienza di genere e rivela, negandosi ancora una volta alla preclusione del pregiudizio, in Massimo Ranieri oltre che uno showman o un cantante leggero conosciuto al grande pubblico anche un buon interprete, perfettamente centrato e abile nel muoversi su un simile registro attoriale. I timbri vocali sono utilizzati con padronanza soprattutto nei cantati e gli sketch non faticano a stappare la risata o l’apprezzamento del pubblico quando non cadono nel mielismo, quasi in un transfert  epocale che a tratti rispolvera quell’arrembaggio di lustrini e vedette, di peregrinazioni e paghe al cappello con cui lo spettatore contemporaneo ha scarsa confidenza.

E siccome a volte il percorso, la sensazione e l’intenzione resistono al preconcetto per persistenza è sufficiente lasciarsi trasportare da onde fantastiche su un natante di legno e velluto rosso per sentire l’odore del mare arrivare ai piedi di quella dea ciarlatana, irresistibile, incantevole e sfasciata che fu la Napoli di un tempo che conosciamo senza poterlo ricordare.

Marianna Masselli

 

Visto al Teatro Argentina, in scena fino al 28 aprile [cartellone]

VIVIANI VARIETÁ
poesie, parole e musiche di Raffaele Viviani
regia Maurizio Scaparro
con Massimo Ranieri, Ernesto Lama, Roberto Bani, Angela De Matteo, Mario Zinno, Ivano Schiavi, Ester Botta, Rhuna Barduagni, Antonio Speranza, Simone Spirito, Martina Giordano
orchestra Massimiliano Rosati, Flavio Mazzocchi, Mario Guarini, Donato Senisi, mario Zinno
elaborazione musicale Pasquale Scialò
testi a cura di Giuliano Longone Viviani
scene e costumi Lorenzo Cutùli
movimenti coreografici Franco Miseria

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Marianna Masselli
Marianna Masselli
Marianna Masselli, cresciuta in Puglia, terminato dopo anni lo studio del pianoforte e conseguita la maturità classica, si trasferisce a Roma per coltivare l’interesse e gli studi teatrali. Qui ha modo di frequentare diversi seminari e partecipare a progetti collaterali all’avanzamento del percorso accademico. Consegue la laurea magistrale con una tesi sullo spettacolo Ci ragiono e canto (di Dario Fo e Nuovo Canzoniere Italiano) e sul teatro politico degli anni '60 e ’70. Dal luglio del 2012 scrive e collabora in qualità di redattrice con la testata di informazione e approfondimento «Teatro e Critica». Negli ultimi anni ha avuto modo di prendere parte e confrontarsi con ulteriori esperienze o realtà redazionali (v. «Quaderni del Teatro di Roma», «La tempesta», foglio quotidiano della Biennale Teatro 2013).

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