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Atlante VII – di che peso misura un Teatro di Cintura?

“In questo quartiere manca una piazza, una ci sta ma è così degradata che nemmeno te ne accorgi che c’è: in questi anni è stato questo complesso – un teatro, un bar, una biblioteca – a fare da piazza, da elemento aggregante di chi vive qui e qui si conosce, a fare cioè da punto di snodo della vita sociale del quartiere, l’unico perché possa crescere”. Suonano in testa queste parole, rintracciate e registrate all’incontro con una periferia romana costretta in un punto geografico molto difficile e che attraverso l’arte, secondo un progetto di questi ultimi anni, avrebbe potuto e potrebbe ancora rinascere.

Proprio per questo Atlante torna questa volta dai viaggi oltre le Alpi, dove ha rintracciato i semi violenti del fondamentalismo più cupo, e fa tappa delle sue rotte nel quartiere Quarticciolo di Roma, sede di un teatro che il Comune ha fortemente voluto e inserito nel progetto dei Teatri di Cintura (assieme al Tor Bella Monaca e al desaparecido e ora occupato Teatro del Lido di Ostia – teatrodellido.it) e assegnato in cura al Teatro di Roma. Il concetto stesso della “cintura” indica in un quadro logico ciò che sta a margine, che però proprio per questo può godere di un lavoro di risanamento e inclusione all’interno di un progetto che sia la città stessa, senza distinzione fra il centro e le periferie. Tuttavia nonostante le premesse che animavano il progetto nel 2007, anno di fondazione del Teatro Biblioteca Quarticciolo, un motivo o l’altro hanno permesso quasi mai un interesse concreto e continuativo per le strutture circondariali da parte dello Stabile accentrato nei propri uffici di Argentina e India. Avvicendamenti di direzione, di presidenza, periodi vacanti, rivolgimenti politici e amministrativi, ogni nuovo evento ha finito in questi anni con il rimandare questioni che in città – per la carenza di spazi per il teatro divenuta drammatica – sono di incredibile urgenza.

Con l’avvento di Gabriele Lavia alla direzione artistica e di Franco Scaglia alla presidenza del Teatro di Roma dalla fine del 2010, la speranza era che quest’aria di novità investisse anche il decentramento; in realtà il loro operato è stato piuttosto lontano da una progettualità e la programmazione risulta ancora legata a vecchie dinamiche spot inadatte all’obiettivo, giacché nessuno ha mai visto generare qualcosa senza una minima gestazione (con spettacoli cioè che non resistono più di pochissimi giorni e che non hanno quindi tempo di comporre tessuto). Il demerito di tale inadempienza, tuttavia, non pare essere loro: la gestione del Teatro di Roma, che ogni anno ha ricevuto soldi a settembre per la sola stagione in debutto (altro elemento di scarsa qualità progettuale), per quest’anno ha in concessione il finanziamento non oltre la fine dell’anno solare, con però la richiesta espressa di portare la programmazione fino a giugno. Si consiglia pertanto a chi gestisce questo teatro di seppellire i propri talenti in attesa che ne nasca un albero pieno di frutti. O di scrivere a Babbo Natale che porti in dono artisti gratis e risorse per chi qui ci sta lavorando e chissà cosa farà dopo. Poi, dopo l’estate, chi vede nel futuro se ne sta in silenzio perché rischia di prevedere l’ennesima dismissione pubblica in favore di un privato. E nessun privato porta doni disinteressati con le renne da slitta.

Stringe, dunque, la Cintura. In questo periodo Roma vive un’oscurità inaccessibile, una sfiducia nelle opportunità che sta minando tanti che questo ambiente lo vivono e lo sostengono, questa stretta dell’amministrazione denuncia dunque ancora una volta una cecità nei confronti del valore culturale: il Quarticciolo ha totalizzato nell’anno solare 2010 (comprendendo dunque parte di due stagioni continuative) un numero di presenze pari a 12191 per un numero complessivo di 120 repliche: cosa deve fare di più un teatro che fa da collante a un quartiere esteso e sgretolato, socialmente e strutturalmente, per vedersi confermato come centro di fioritura culturale? Forse le sue economie non sono abbastanza per sostenerlo in vita? Dobbiamo ancora ricordare che il misuratore dell’attività culturale non sarà mai una bilancia? Altre unità di misura, altri pesi. Quel che sembra un peso sulla spalla è una spalla di peso per recuperare la vitalità di certi quartieri. E questo al Quarticciolo lo sanno bene: prima del teatro lì c’era un mercato, nessuno oserebbe richiederlo indietro. E allora, dunque, quale bilancia ha scelto questa gente?

Simone Nebbia

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

3 COMMENTS

  1. Riflessione molto interessante di Simone Nebbia sulla “morte annunciata” dei teatri di cintura; lo smantellamento è cominciato nel 2008 con la chiusura del Teatro del Lido di Ostia (occupato da 21 mesi dai cittadini, ex lavoratori e teatranti) e ad oggi ancora non c’è un progetto preciso da parte dell’ Ass.Gasperini se non l’idea antica di un accentramento e un monopolio senza senso che lui chiama “La casa dei teatri”. Occorre contrapporre alla concezione elitaria di democratizzazione dall’alto verso il basso, l’idea di una democrazia culturale da conseguirsi dal basso verso l’alto, sostituendo a un consumo passivo la creatività culturale.
    Sono le periferie delle grandi città, come Ostia, Quarticciolo o Tor bella Monaca, i luoghi privilegiati in cui si esprimono nuove culture e nuove forme di aggregazione che si evolvono molto rapidamente e che rappresentano, nel loro esplodere, una risorsa potenziale della loro evoluzione. L’accesso alla cultura per i cittadini deve essere un diritto fondamentale come un altro e non un lusso o un qualcosa in più elargito dalle istituzioni “se e quando” avranno voglia, e può rappresentare un antidoto per una città che si sta incattivendo, in cui i rapporti sociali e gli spazi sociali si deteriorano alimentando un senso di insicurezza e paura: feste, momenti d’incontro, cinema, musica e teatro sono una risposta a tutto questo: facendo rioccupare ai cittadini gli spazi pubblici e creando momenti d’incontro e coesione sociale.
    La “partecipazione” proprio per questo serve: non si tratta di partecipazione come costruzione del consenso o come semplice decentramento istituzionale, si tratta di partecipazione come espressione dell’azione di trasformazione che viene dalle pratiche sociali, cui si dà struttura, visibilità, efficacia, potere. L’enfasi deve essere posta sul coinvolgimento attivo degli individui, che si traduce nella loro opportunità di accedere alla cultura non solo come “pubblico”, ma come attori in grado di produrre cultura, intesa come strumento che stimola la creatività e favorisce un senso positivo della propria identità.
    Come “occupante” del Teatro del Lido di Ostia (l’unico esempio di teatro pubblico e partecipato d’Italia, dal 2003 al 2008) sto lavorando insieme agli altri occupanti e alla città in un ottica di partecipazione e democrazia diretta: occorre individuare le modalità giuridiche che possano garantire alle persone, fisiche e giuridiche, di partecipare direttamente alla vita del teatro; attraverso la nascita di un Consorzio di associazioni del territorio (che rappresentano in larga parte i lavoratori e lavoratrici dello spettacolo) e di un Comitato cittadino (che raccoglie singoli individui, collettivi studenteschi e comitati di quartiere) è possibile garantire dal basso, attraverso un azionariato popolare, una reale partecipazione al progetto del proprio teatro cittadino. In questo contesto gli enti finanziatori e i cittadini (rappresentati dal consorzio di associazioni e dal comitato cittadino come “azionisti popolari”) lavorano al progetto del teatro a pari dignità escludendo la figura imposta del direttore artistico.

  2. abbiamo invitato all’assessore – come indicato sul sito del comune di Roma!!!- la nostra proposta di progetto che ci è stata rifiutata perchè nella stessa c’era “una richiesta economica”. Una risposta da parte del Comune direi alquanto assurda. Sarebbe stato meglio essere rifiutati perchè il nostro progetto artistico non interessava o comunque non era consono alla progettualità del teatro. Ma vedersi rifiutati a prescindere perchè si è fatta una richiesta economica, lascia basiti…
    fa piacere sapere che il Comune di Roma accetta proposte solo di professionisti che lavorano gratuitamente!
    ps ovviamente siamo convinti che sia solo una scusa….ma….

  3. Grazie a Giorgia e a Bea per la testimonianza. Noi continueremo a seguire la vicenda. Sperando vivamente che non cada nel vuoto quest’esigenza, come da troppo tempo colpevolmente accade.
    Simone Nebbia

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