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Biennale Teatro 41. Tutti al brunch per divorare le “giovani” compagnie

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Young Italian Brunch

La crisi che tutti sentiamo, unita al desiderio di dare un volto nuovo a una fondazione potente quanto a rischio di fossilizzazione, ha portato a guardare alla Biennale di Venezia come al nuovo centro nevralgico di formazione (ancor più che produzione) teatrale. Allora nel cartellone del 41esimo festival spuntano quelli che sono i grandi maestri della regia internazionale. Ma se, al secondo decennio di questi Duemila, considerare il potere assoluto della regia come biglietto da visita di un “maestro” può apparire una posizione reazionaria, ecco pronta la carta “nuove generazioni”, che Rigola cala a metà del programma giornaliero. Si chiama infatti Young Italian Brunch la sezione dedicata alla “nuova creazione scenica italiana”.
Consideriamola, suggerisce il programma, come un “assaggio”: il Teatro Fondamenta Nuove serve una cinquina di compagnie effettivamente rappresentative del vigore contemporaneo, almeno per quanto riguarda i venti che raggiungono il Veneto. Ad accomunare i gruppi sostenuti dal teatro veneziano c’è la recente formazione, per nessuno dei cinque meno recente di dieci anni; il loro nascere all’interno di realtà completamente indipendenti, tra il centro sociale e “il capannone industriale dei rave party” (cit.) e l’anti-narratività, compensata con un marcato uso delle tecnologie d’avanguardia.

Il programma prevede Santasangre (Seigradi) martedì 11 ottobre, Teatropersona (Aure) mercoledì 12, Anagoor (Fortuny) giovedì 13, Muta Imago (Displace #1 La rabbia rossa) venerdì 14 e Ricci/Forte (Grimmless) sabato 15.

I criteri che hanno dettato la scelta sono sacrosanti per quanto, a voler fare il nostro mestiere, evidenzieremmo come un rischio l’abuso dei termini “nuovo” e “giovane” e soprattutto la tendenza a vederli legati da una relazione interdipendente. Entrambi, infatti, non fanno che fomentare la bulimia a cui questo sistema (teatrale e non solo) continua a cedere. Una forsennata digestione di materiale che si reputa “d’avanguardia” solo perché prodotto da “giovani” generazioni con “nuove” tecnologie rischia di calciare via una categoria che il teatro dovrebbe forse reputare primaria, quella della “rilevanza culturale”, sia in senso relativo alla contingenza storica, sia in senso assoluto. Le compagnie selezionate e stipate dentro questa prestigiosa vetrina rappresentano effettivamente alcune tra le energie più potenti del momento. Ma non (o almeno non solo) per la giovane età o i mezzi impiegati. Se non si riesce a trovar loro un posto anche al di fuori di questa forbice di interesse, il loro destino potrebbe essere quello del cibo ingerito e digerito da un bulimico. L’espulsione.

Sergio Lo Gatto

Vai al programma di 41. Biennale Festival Internazionale del Teatro

Biennale Teatro 41. In tavola con le “giovani” compagnie

La crisi che tutti sentiamo, unita al desiderio di dare un volto nuovo a una fondazione potente quanto a rischio di fossilizzazione, ha portato a guardare alla Biennale come al nuovo centro nevralgico di formazione (ancor più che produzione) teatrale. Allora nel cartellone del 41esimo festival spuntano quelli che sono i grandi maestri della regia internazionale. Ma se, al secondo decennio di questi Duemila, considerare il potere assoluto della regia come biglietto da visita di un “maestro” può apparire una posizione reazionaria, ecco pronta la carta “nuove generazioni”, che Rigola cala a metà del programma giornaliero. Si chiama infatti Young Italian Brunch la sezione dedicata alla “nuova creazione scenica italiana”.

Consideriamola, suggerisce il programma, come un “assaggio”: il Teatro Fondamenta Nuove serve una cinquina di compagnie effettivamente rappresentative del vigore contemporaneo, almeno per quanto riguarda i venti che raggiungono il Veneto. Ad accomunare i gruppi sostenuti dal Fondamenta Nuove c’è la recente formazione, per nessuno dei cinque meno recente di dieci anni; il loro nascere all’interno di realtà completamente indipendenti, tra il centro social e “il capannone industriale dei rave party” (cit.) e l’anti-narratività, compensata con un marcato uso delle tecnologie d’avanguardia.

Il programma prevede Santasangre (Seigradi) martedì 11 ottobre, Teatropersona (Aure) mercoledì 12, Anagoor (Fortuny) giovedì 13, Muta Imago (Displace #1 La rabbia rossa) venerdì 14 e Ricci/Forte (Grimmless) sabato 15.

I criteri che hanno dettato la scelta sono sacrosanti per quanto, a voler fare il nostro mestiere, evidenzieremmo come un rischio l’abuso dei termini “nuovo” e “giovane” e soprattutto la tendenza a vederli legati da una relazione interdipendente. Entrambi, infatti, non fanno che fomentare la bulimia a cui questo sistema (teatrale e non solo) continua a cedere. Una forsennata digestione di materiale che si reputa “d’avanguardia” solo perché prodotto da “giovani” generazioni con “nuove” tecnologie rischia di calciare via una categoria che il teatro dovrebbe forse reputare primaria, quella della “rilevanza culturale”, sia in senso relativo alla contingenza storica, sia in senso assoluto. Le compagnie selezionate e stipate dentro questa prestigiosa vetrina rappresentano effettivamente alcune tra le energie più potenti del momento. Ma non (o almeno non solo) per la giovane età o i mezzi impiegati. Se non si riesce a trovar loro un posto anche al di fuori di questa forbice di interesse, il loro destino è quello del cibo ingerito da un bulimico. L’espulsione.

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Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto è giornalista, critico teatrale e ricercatore. È stato consulente alla direzione artistica per Emilia Romagna Teatro ERT Teatro Nazionale dal 2019 al 2022. Attualmente è ricercatore presso l'Università degli Studi Link di Roma. Insegna anche all'Alma Mater Studiorum Università di Bologna, alla Sapienza Università di Roma e al Master di Critica giornalistica dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio d'Amico" di Roma. Collabora alle attività culturali del Teatro di Roma Teatro Nazionale. Si occupa di arti performative su Teatro e Critica e collabora con La Falena. Ha fatto parte della redazione del mensile Quaderni del Teatro di Roma, ha scritto per Il Fatto Quotidiano e Pubblico Giornale, ha collaborato con Hystrio (IT), Critical Stages (Internazionale), Tanz (DE), collabora con il settimanale Left, con Plays International & Europe (UK) e Exeunt Magazine (UK). Ha collaborato nelle attività culturali e di formazione del Teatro di Roma, partecipato a diversi progetti europei di networking e mobilità sulla critica delle arti performative, è co-fondatore del progetto transnazionale di scrittura collettiva WritingShop. Ha partecipato al progetto triennale Conflict Zones promosso dall'Union des Théâtres de l'Europe, dove cura la rivista online Conflict Zones Reviews. Insieme a Debora Pietrobono, è curatore della collana LINEA per Luca Sossella Editore e ERT. Tra le pubblicazioni, ha firmato Abitare la battaglia. Critica teatrale e comunità virtuali (Bulzoni Editore, 2022); con Matteo Antonaci ha curato il volume Iperscene 3 (Editoria&Spettacolo, 2018), con Graziano Graziani La scena contemporanea a Roma (Provincia di Roma, 2013). [photo credit: Jennifer Ressel]

3 COMMENTS

  1. CITO DALL’ARTICOLO:

    “I criteri che hanno dettato la scelta sono sacrosanti per quanto, a voler fare il nostro mestiere, evidenzieremmo come un rischio l’abuso dei termini “nuovo” e “giovane” e soprattutto la tendenza a vederli legati da una relazione interdipendente. Entrambi, infatti, non fanno che fomentare la bulimia a cui questo sistema (teatrale e non solo) continua a cedere. Una forsennata digestione di materiale che si reputa “d’avanguardia” solo perché prodotto da “giovani” generazioni con “nuove” tecnologie rischia di calciare via una categoria che il teatro dovrebbe forse reputare primaria, quella della “rilevanza culturale”, sia in senso relativo alla contingenza storica, sia in senso assoluto. Le compagnie selezionate e stipate dentro questa prestigiosa vetrina rappresentano effettivamente alcune tra le energie più potenti del momento. Ma non (o almeno non solo) per la giovane età o i mezzi impiegati. Se non si riesce a trovar loro un posto anche al di fuori di questa forbice di interesse, il loro destino potrebbe essere quello del cibo ingerito e digerito da un bulimico. L’espulsione.”

    TROVO MOLTO INTERESSANTI LE SUE PAROLE E AGGIUNGEREI CHE QUESTE FORMAZIONI INTERESSANTI E COMPETENTI, NON SONO PIU’ TANTO NUOVE NEL PANORAMA ITALIANO ANCHE SE HANNO MENO DI UN TOT DI ANNI ALLE LORO SPALLE.

    NON SOLO IL RISCHIO DI UN’ETERNA GIOVENTU’ CREI UN’IMPOSSIBILITA’ DI PASSARE AI PIANI ALTI, O PIU’ ALTI, MA CREA UNA DIFFICOLTA ANCHE PER ALTRE COMPAGNIE E GRUPPI.CHE FATICANO A ESSERE PRESI IN CONSIDERAZIONE PERCHE’ NON SI ALLINEANO A UN CERTO MODO ODIERNO DI FARE TEATRO.

    INOLTRE LA GIOVENTù E LA TECNOLOGIA CONCORDO (SE ALMENO HO CAPITO LE SUA PAROLE) NON SONO SINONIMO DI QUALITA’. ANCHE PERCHè RISCHIAMO DI INCARTARCI DENTRO AD UNO STILE CHE NON E’ PIU’ NUOVO E DI RICERCA SE TUTTI LO FANNO…E SI E’ OBBLIGATI A FARLO PER ESSERE REPUTATI INTERESSANTI.

    GRAZIE DELLA CORTESE ATTENZIONE

    • Gentile Bea, ha perfettamente ragione. Francamente fatico a considerare straordinari gli spettacoli di queste compagnie….forse sono innovativi, di avanguardia, ma solo per un pubblico di addetti ai lavori e molto limitato. Tante compagnie giovani faticano ad emergere proprio perché lo standard per essere considerate “giovani compagnie valide” è fare un teatro alla “muta imago” per capirsi: un conformismo dell’anticonformismo. Allora non può essere che il teatro sia quello che decidiate voi critici e non noi pubblico. Sfido qualunque persona normale, anche di un livello culturale medio-alto, ad apprezzare certi spettacoli, se non fosse che oramai sono “famosi” e recensiti da chi conta: per questo la gente va a vedere tizio e non caio, anzi caio non avrà neanche mai la possibilità di essere visto.

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