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Giorgio Montanini: «Se muore un artista (non è la fine del mondo), è solo triste»

Il suo settimo monologo è intitolato Eloquio di un perdente e tiene le fila della stand up comedy italiana. Incontro con Giorgio Montanini

Debutta in teatro con Branciaroli, rifiuta Colorado e sceglie Satiriasi – l’officina della Satira. Scrive e conduce per tre anni Nemico Pubblico su Rai 3, cura per due sole puntate la copertina satirica del talk show Ballarò, in sostituzione di Maurizio Crozza. Poi, rescinde il contratto a causa della “mancanza delle condizioni per proseguire” da Nemo – Nessuno escluso su Rai 2 e di seguito approda a Le Iene, registrando tre puntate satiriche da trasmettere nel segmento del programma intitolato “Pregiudizi universali”, dopo le quali termina la collaborazione con Mediaset.

Giorgio Montanini è una meteora della televisione, ma il teatro s’accende solo per volontà suprema da parte degli spettatori e a Roma dal Brancaccio, al club Le Mura, gravitando per lo Spazio Diamante, il suo è un fisso sold out.
Parla una lingua di schegge, quella di entrambi, e siamo in equilibrio, io sulla curiosità, lui sul volermene liberare prendendosene i meriti. Sceglie un locale nei vicoli di San Lorenzo che non conosce differenza tra lunedì pomeriggio e sabato notte, inghiotte una vodka trasparente e comincia senza di me.

Mettiamo subito fra me e te innanzitutto l’orgoglio di essere un comico, tra gli artisti il più nobile perché l’unico a non subire una mitizzazione. Non ha groupie, né un fanclub, quelli dei cosiddetti divi, è ovvio.
L’attore, il regista, il poeta, il musicista, il cantante, sono tutti artisti con un filtro, una possibilità di creare uno o più personaggi, passarli al setaccio e attraverso il setaccio creare l’immagine del divo.

Dunque è un’intervista al tuo orgoglio.

È un’intervista a quanto di più aderente alla persona che sono. A uno che farà qualche romanzeria sul palco ma nessuna predica, nessuna morale, per questo non ti capiterà di mitizzarmi. Come ogni comico, quando mi stringerai la mano e dirai di conoscermi, non ti avrò deluso: perché sul palco hai conosciuto le mie peggiori miserie, non hai sofferto il piedistallo dove sta ogni altro artista, che poi è quel filtro che contribuisce a creare un’immagine distaccata.

Quando e perché è accaduto che dalle comiche si passasse a trascinare sul palco le proprie peggiori miserie?

Per questione puramente culturale, Lenny Bruce a metà del Novecento segna una contrapposizione netta tra la comicità di avanspettacolo italiano o il vaudeville americano, funzionale alla storia sociale degli anni Cinquanta, e tutto quello che è arrivato dopo.
Reduci da due guerre mondiali, l’avanspettacolo – e Lenny Bruce faceva avanspettacolo perché raccontava barzellette insieme a una compagnia di giro e a sua madre che cantava e ballava – aveva la funzione di alleggerire e intrattenere il pubblico martoriato dai conflitti.
Passano gli anni e la comicità americana non è più quella dei fratelli che s’abbracciano per consolarsi dalla tragedia, la tragedia semplicemente è passata, il capitalismo è diventato il sistema culturale individualista e spietato di oggi. Nessun uomo ha intenzione di abbracciare l’altro, si è soli come i cani, ognuno intraprende la propria personalissima competizione con se stesso. L’individuo non interagisce e il comico diventa introspettivo, consapevole del fatto di portare sul palco la propria interiorità; così le barzellette di Lenny Bruce diventano un racconto di quello che vede e soprattutto sente. Codici diversi, ma è lo stesso processo culturale che è avvenuto nella canzone, nella letteratura, nel teatro. E se c’è stato qualche artista fuori da questa consapevolezza, inseguiva semplicemente una chimera fuori tempo.
Totò era un genio. Se Totò facesse oggi se stesso lo considerebbero un burattino.
Se provi a perpetuare un Totò, i fratelli De Filippo, Lino Banfi allora sei fuori tempo. Brignano, Siani, Pintus e tutti i loro colleghi, a livelli diversi di capacità e bravura, sono comici che non sono più parte della società, hanno smesso di essere artisti quando hanno iniziato.

Ma la credulità del pubblico è una risorsa economica, aveva detto Berry. Perché Brignano guadagna più di te, qual è il suo pubblico?

Il pubblico di un villaggio turistico, dove c’è una forma di intrattenimento che deve adattarsi a ogni genere e a ogni fascia d’età. Il suo dev’essere obbligatoriamente un intrattenere che allarga talmente tanto il riferimento culturale da influire sulla performance e adattarla a un pubblico globale. Mia nonna e mia figlia sono gli estremi di una targettizzazione che nel mezzo include me, senza un riferimento culturale ben orientato, ridiamo per una scoreggia con le ascelle: ride la bambina, ride la nonna e ridono tutti. Ma è avanspettacolo.
Non è un’opinione, è un dato di fatto che quel tipo di comicità sia fuori tempo, che piaccia o no non significa niente, smetterà di piacere. Il pubblico è in continua evoluzione e dato che la comicità è risata e la risata è dettata dalla capacità artistica del comico, siamo tenuti a differenziare tra comicità e intrattenimento. Quest’ultimo esisterà sempre, basta riferirsi al nazional popolare. In Italia la stand up comedy sta esplodendo, nel giro di tre anni ogni programma orientato sulla comicità da cabaret televisivo è crollato, da 7-8 milioni di spettatori i programmi hanno chiuso i battenti.

Tuttavia, quel Crozza, che tu stesso hai sostituito in copertina a Ballarò è ben saldo al suo posto.

Crozza conosce la comicità, è uno showman ma assolutamente non è un comico, tantomeno un comico satirico, se per comici intendiamo un monologhista doc. Non può essere considerato un mio collega. Si traveste, balla, canta: è un intattenitore.

Qualcuno deve aver livellato i vostri ruoli per affidarvi lo stesso spazio in prima serata.

Perché evidentemente non conoscono abbastanza il loro mestiere. Chi si occupa di satira crea delle spaccature, divide il pubblico, non avrà mai un plebiscito. Su base nazionale sono molte di più le persone che contrastano il tuo prodotto che quelle nei teatri durante gli spettacoli. Crozza è stato coinvolto nella pubblicità della Lavazza, cosa c’è di più aggregante e popolare del caffè? Un testimonial satirico che crea una faglia profondissima di separazione all’interno del suo pubblico non può essere chiamato a girare la pubblicità di una bevanda che accomuna la quasi totalità della popolazione!

E se avesse interpretato in modo del tutto soggettivo Sergio Staino quando diceva che «La satira non ha limiti»? Si sta tutti un po’ più comodi e indottrinati sul punto di vista di Crozza.

Perché non ce l’ha! O non sarà a te che verrà a rivelarlo. Quando un punto di vista è comune a quello di gran parte degli elettori, parlando ad esempio di politica, non è un punto di vista, è un’affascinante chiacchiera da bar. Il biglietto dev’essere pagato per vedere qualcosa che è impossibile sentire altrove. Per questo motivo ho infastidito una direzione come quella Rai, perché ho creato dei problemi naturali, sanissimi e questo li ha fatti incazzare, si sono irrigiditi. La Rai, l’azienda italiana che deve accontentare, non ha una strategia di programmazione, procede per tentativi a fari spenti ed è completamente ignara del contesto storico culturale contemporaneo. La mia è una comicità per le generazioni nuove che in rarissimi casi è anche arrivata ad essere compresa dagli attuali sessantenni.

Chi tornerà a teatro per vederti?

Vedo ragazzi giovanissimi, questo non significa altro che aver inquadrato il linguaggio del proprio tempo e non un altro. L’età media in televisione è di 68 anni: Nemico Pubblico aveva portato la media a 53, un programma come Tv Talk mi ha chiamato perché ho un pubblico di giovani laureati, quelli che la televisione ha cacciato.
E voglio farti un esempio: in un bellissimo film di Celentano, Il Bisbetico domato, Adriano Celentano interpreta un personaggio completamente al di fuori della società, non ha contatti con nessuno, si limita a dialogare con gli uccelli, zitto e solitario ha con sé solo una governante, il suo è dunque un personaggio completamente avulso dal contesto. A Ornella Muti si ferma la macchina, Celentano è costretto ad ospitarla e a guardare le comiche alla tv con lei: buccia di banana, il comico scivola e cade. Lei ride. Lui piange. Piange perché alla caduta associa il dolore, la Muti che è incapace di concepire la rabbia di Celentano, s’alza, scivola per le scale e si sloga una caviglia. A questo punto s’inverte la situazione, stavolta Celentano ride: il regista ha usato la comicità per far capire quanto sia indispensabile l’appartenenza a un contesto sociale, quanto Celentano fosse fuori dalla società che per una scivolata su una buccia di banana è abituata a ridere. La comicità allora è la condivisione di un immaginario culturale e sociale, se il mio e il tuo immaginario sono simili o addirittura uguali, tu con me riderai, altrimenti non accadrà. Se vieni a vedere me è perché condividi il mio essere-nel-tempo.

E il tuo essere-nel-tempo incide anche sulla predilezione per un argomento piuttosto che un altro? Come nasce un monologo?

Vivendo. Il comico prende da te, da me. Ovvio che quando faccio un’analisi è diversa da quando la fanno gli altri, la faccio sul principio della catarsi.
Mia madre mi ha confessato che voleva abortirmi, me lo ha confessato da adulto: Doug Stanhope dice «abortion is green», io ne ho parlato cercando di non accontentarmi della superficie del giudizio. La giustificazione che si è data mia madre sono state le Brigate Rosse, l’omicidio Moro, la strategia della tensione che sembrava impedirle di mettere al mondo un altro figlio: ma qual è la verità? Semplicemente che non c’è una verità, che non bisogna sempre avere una motivazione esasperata, è molto più semplice e deve esserlo. Quale messaggio più femminista di dire senza idealismi un no?

Come continua la storia della stand up comedy? Chi saranno i tuoi successori?

Abbiamo delle difficoltà. Il fatto è che questi ragazzi sono a cavallo tra il cabaret e la stand up comedy. Hanno reminescenze degli Zelig e dei Colorado e si trovano ad approcciare solo adesso a un genere nuovo perché non possono fare altrimenti. Una cosa è certa, i nuovi che hanno chiamato me, che conoscono prima me che Bill Hicks, saranno i futuri comici, saranno geneticamente modificati con un imprinting incorruttibile.
Oggi non li conosco, forse arriverò a sapere che qualcuno ha avuto davvero intenzione di raggiungermi. Quel che è certo è che la loro sarà stata una scelta di campo netta, dovranno essere integri e non gli ibridi che solo il capitalismo poteva generare. L’artista ha un’esigenza insopprimibile, è utile quanto inutile ed è solo per se stesso, non per l’altra sua metà che fa l’impiegato del catasto. Questo mondo finirà se dovessero morire tutti i metalmeccanici, tutti i cuochi, tutti gli operai, tutti i panettieri: se muore un artista, è solo triste.

Francesca Pierri

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Francesca Pierri
Francesca Pierri
Laureata in Filologia Classica e Moderna con una tesi magistrale in Letteratura Comparata all'Università degli Studi di Macerata, frequenta il master in Critica Giornalistica con specializzazione in Teatro, Cinema, Televisione e Musica presso l'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio d'Amico" a Roma. Ufficio stampa e comunicazione, continua la sua attività redazionale collaborando con la Rai - Radiotelevisione Italiana. Vive a Roma e da gennaio 2017 è redattrice di Teatro e Critica.

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