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HomeArticoliDa Gogol' a Bergamo. L'inesorabile naufragio di un pazzo

Da Gogol’ a Bergamo. L’inesorabile naufragio di un pazzo

Tratto dal racconto di Gogol’, Appunti di un pazzo è andato in scena al Teatro Studio di Scandicci per la regia di Alessio Bergamo. Recensione

Foto di Filippo Manzini

È il 3 ottobre quando Aksentij Ivanovič Popriščin rivela, con disarmato candore, un’inusitata capacità di attenzione, quell’avvenuto superamento di una soglia sensoriale che lo rende capace di cogliere una verità celata ai più: «Lo confesso, da qualche tempo mi capita di udire e di vedere cose che nessuno finora ha mai visto e udito». Le voci delle cagnette Meggy e Fidèle, percepite lungo la Prospettiva Nevskij, lo incuriosiscono al punto da convincerlo a seguirne i piccoli passi, sperando che le conversazioni, se non addirittura i carteggi tra le due bestiole, possano «rivelargli tutto», soprattutto possano confermargli che anche Sophie ricambia l’amore che il modesto impiegato prova per lei. È invece in una sera di marzo che il pubblico del Teatro Studio Mila Pieralli incontra il funzionario per la prima volta: non osservato, l’uomo si aggira con espressione sorniona tra le file di poltrone, mentre gli spettatori prendono posto in una platea ricavata nel retropalco. Proprio là, dove solitamente soltanto gli artisti e i tecnici hanno accesso, gli sguardi di una piccola folla scrutano quella parete dalla quale – si immagina a torto – gli attori usciranno per abitare un inconsueto proscenio. Ma è un’attesa inane, perché proprio Aksentij Ivanovič invita ben presto il gruppo a varcare la scena; e ad addentrarsi così nella sua fragile mente, scandita da un tempo sempre più sfilacciato.

Foto di Filippo Manzini

Ha la struttura di un’immersione progressiva, questo Appunti di un pazzo che Alessio Bergamo ha diretto in prima nazionale nella storica struttura di Scandicci: un inesorabile naufragio in una dimensione nella quale la cronologia perde significato e la scena stessa assume una consistenza onirica, labile come le parole che Aksentij scrive nel proprio diario, e al contempo sontuosa come la prosa vergata da Nikolaj Gogol’. Tempo e spazio sono coordinate che proprio la scrittura cerca, invano, di tenere in relazione, quasi a ricucire quelle falle che la psiche del protagonista attraversa con incoscienza e dignità, follia e straordinaria fierezza. Pubblicato per la prima volta nel 1835, Le memorie di un pazzo è uno dei tanti gioielli che lo scrittore raccolse più tardi nello scrigno dei Racconti di Pietroburgo: il resoconto, steso in prima persona, della discesa nella malattia mentale di un grigio burocrate, invaghito della figlia del direttore e autoproclamatosi legittimo pretendente al vacante trono di Spagna.

In una scansione che dai giorni di autunno giunge al 43 aprile, all’86 marzobre e termina infine in un ineffabile «Li 34 slo Mc gdao febbraio 349», Gogol’ conduce Aksentij Ivanovič e il lettore dalle strade lussuose della città russa alle stanze asettiche di un manicomio che, per l’uomo, ha l’aspetto della sala del trono del Palazzo Reale di Madrid. Una scatola di lattiginoso candore, all’interno della quale il pubblico siede su tre lati, è invece l’ambiente disegnato da Irina Dolgova e dallo stesso Bergamo per questa coproduzione tra Fondazione Teatro della Toscana, Teatro dell’Elce e Cantiere Obraz: immersa in una luce diffusa, la realtà trascritta da Aksentij ha i colori vivaci e le forme immaginifiche che l’estro di Thomas Harris affida a costumi e oggetti, accomunati da una cifra estetica che proprio alla parola sembra debitrice. Calligrafie si susseguono sull’abito di Sophie come ghirlande di fiori, e lunghi rotoli di carta sono gli ossi lanciati alle cagnette: la scrittura – quel medium che è per il funzionario sia obbligo professionale, sia solipsistica salvezza – attraversa lo spettacolo come un fil rouge e si rivela infine nella voce di Domenico Cucinotta.

Foto di Filippo Manzini

Affabulatore se non addirittura falsario, il Popriščin plasmato da Cucinotta ostenta una tronfia sicumera: e tuttavia non c’è traccia di violenza nell’anima del travet, quanto una commossa e ostinata incapacità di adeguarsi a una realtà opaca, che nella sua allucinata percezione è però colorata, gioiosamente caotica. In un tour de force attorale che solo per brevi istanti è interrotto dagli altri interpreti, Aksentij Ivanovič racconta una quotidianità monotona, animata con apparente ostilità dalla cameriera Mavra (Marco Di Costanzo, presenza muta in livrea e barba folta), dal capoufficio (lo sprezzante Erik Haglund), dal direttore generale (Stefano Parigi, surreale e angelico) e dal suo assistente (Massimiliano Cutrera), e tuttavia resa significativa da Sophie (Alessandra Comanducci) e dagli eroici e bislacchi tentativi di conquistarne il cuore e l’attenzione. È «una felicità come non poteva neanche immaginarsi» ciò che Aksentij promette alla giovane donna, eppure questo innocente trasporto è destinato a infrangersi contro le convenzioni sociali e le differenze di classe. Soltanto un maestro di camera, o un generale, o un colonnello dell’esercito sono degni di condurre all’altare la figlia del direttore generale: a rivelare la banale verità ad Aksentij sono le missive che due cagnette si scambiano, spettegolando su quanto distrattamente ascoltato dai propri padroni. A Stefano Parigi e a Daniele Caini spetta il compito di animare sulla scena lo scambio di battute tra gli animali, dando vita a un dialogo di virtuosistico divertimento e ciò nonostante amaro, violento, per quella sconfitta che esso presagisce.

Foto di Filippo Manzini

Alessio Bergamo tradisce felicemente il testo originale, inframmezzando al dettato di Gogol’ impalpabili elementi dissonanti e non coerenti, sia a livello scenotecnico sia sul piano drammaturgico: dalla presenza in scena di una lucidatrice anni Cinquanta al riferimento alle aerolíneas españolas, finanche a una preziosa sequenza ambientata in un cinematografo, capace di mostrare ad Aksentij  grazie a un film interpretato live – quella vita così ardentemente desiderata, dove l’amore è un’eventualità ancora possibile. Ma la regia in Appunti di un pazzo è ben più di un mero transfert scenico di una fantasia distorta: ciò che traspare è una riflessione sull’arte della narrazione, sul linguaggio e sulle arti performative come creazioni di mondi ulteriori, inaspettati, prodigiosi.

Dal “cinema nel teatro” al “teatro nel teatro”, Bergamo dissemina indizi di molteplici piani di realtà, plasmati ora dalle parole di Aksentij ora dall’infelice destino che per lui architettò l’autore russo. Ecco che quei letti a castello che un tempo erano ufficio e scrivania sono adesso squallidi arredi ospedalieri, ecco che quelle anime tronfie che con indifferenza abitavano i giorni dell’impiegato sono ora fantasmi catatonici, ecco che la brutalità del manicomio si confonde con la furia dell’Inquisizione Spagnola. Aksentij, ormai obnubilato dalla convinzione di essere re di Spagna, affronta il martirio appeso a testa in giù, lobotomizzato e  umiliato: ma come nella carta dei tarocchi, dal suo volto traspare quello stesso sorriso beffardo con cui, poche ore prima, aveva accolto il pubblico. C’è ancora tempo per irridere il re di Francia, il potere e la società, prima che il buio ci avvolga.

Alessandro Iachino

Teatro Studio Mila Pieralli, Scandicci – marzo 2018

APPUNTI DI UN PAZZO
di Nikolaj Vasil’evič Gogol’
con Daniele Caini, Alessandra Comanducci, Domenico Cucinotta, Massimiliano Cutrera, Marco Di Costanzo, Erik Haglund, Stefano Parigi
spazio scenico Irina Dolgova e Alessio Bergamo
oggetti e costumi Thomas Harris
contributi sonori Andrea Pistolesi
regia Alessio Bergamo
produzione Fondazione Teatro della Toscana, Teatro dell’Elce, Cantiere Obraz
in collaborazione con Postop Teatro
con il sostegno produttivo di Armunia Festival Costa degli Etruschi
con il sostegno di Regione Toscana
ritratti e foto di scena Filippo Manzini

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Alessandro Iachino
Alessandro Iachino
Alessandro Iachino dopo la maturità scientifica si laurea in Filosofia presso l’Università degli Studi di Firenze. Dal 2007 lavora stabilmente per fondazioni lirico-sinfoniche e centri di produzione teatrale, occupandosi di promozione e comunicazione. Nel novembre 2014 partecipa al workshop di visione e scrittura critica TeatroeCriticaLAB tenuto da Simone Nebbia e Andrea Pocosgnich nell’ambito della IX edizione di ZOOM Festival, al termine del quale inizia la sua collaborazione con Teatro e Critica. Ha partecipato inoltre al laboratorio Social Media Strategies for Drama Review, diretto da Andrea Porcheddu e Anna Pérez Pagès per Biennale College ‑ Teatro 2015, e ha collaborato con Roberta Ferraresi alla conduzione del workshop di critica della Biennale College ‑ Teatro 2017. È stato membro della commissione di esperti del progetto (In)Generazione promosso da Fondazione Fabbrica Europa, ed è tutor del progetto Casateatro a cura di Murmuris e Unicoop Firenze.

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