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Chavela Vargas. Di cielo e di caverna

Dalla voce di Chavela Vargas un disco e uno spettacolo firmato da Antonio Di Martino e Fabrizio Cammarata, con la regia a Giuseppe Provinzano, all’Off Off Theatre di Roma. Recensione

foto di Francesca Romana Abbonato

Questa pagina bianca si scrive pian piano, parola per parola, per quella opportunità che è insieme un lusso e un segreto del dialogo che intercorre tra la forma di espressione più alta dell’umano, l’arte, e la percezione che si insinua, resta, si mescola alla vita e la rende nobile, la spinge quel poco più in là che fa tornare a ripetere l’esperienza. E allora quel lusso, quel segreto, che in genere al teatro non è in verità concesso, risiede sotto queste parole mentre prendono forma e godono di suono, musica, atmosfera, dedizione, amore, si connotano per tutto quanto risiede nel disco Un mondo raro (Picicca, 2017) dei palermitani Antonio Di Martino e Fabrizio Cammarata. Una traduzione italiana dei brani appartenenti alla straordinaria icona del Novecento latinoamericano, Chavela Vargas che è riduttivo definire ma la cui voce è un lascito testamentario al secolo successivo, diviene nucleo dello spettacolo teatrale ideato dai due musicisti e diretto dal regista Giuseppe Provinzano, in scena all’Off Off Theatre di Roma.

foto di Francesca Romana Abbonato

Una scatola nera di luci in semibuio accoglie le note di due chitarre classiche (ben dosata la misura del sound e light design curato da Francesco Vitaliti), le mani si muovono secondo una danza nata da una doppia origine: l’una interiore di una tradizione popolare siciliana che non smette di offrire stimoli di profondità, l’altra riconosciuta in una lingua in apparenza aliena, di un popolo lontano come il Messico, ma molto prossima alle sonorità più familiari. Sono le intenzioni intime a rendere il doppio filo dell’appartenenza, quella vocazione a restituire una cadenza del battito del cuore che parla dall’uomo all’uomo, attraverso l’emissione di suono sia dal movimento delle dita tra le corde, sia dalle cavità più nascoste del respiro. Allo stesso modo, Chavela Vargas amava il canto. Come essenza di chi ne spinge fuori suono, privo di una tecnica derivata dall’impegno d’istruzione, come fiato di sé e di nessun altro, sporco di quanti residui si abbiano in animo e in corpo, di graffi e dissonanze, di chiarori ed armonie. Di vita, ovunque sia stata vissuta.

foto di Francesca Romana Abbonato

Una biografia quasi magica fa della donna un riferimento epocale sublime, indimenticabile. La sua vita in tutto simile a un’opera d’arte già scritta, tratteggiata per il calco dei palchi di mezzo mondo, si consegna alla scena attraverso un racconto per appunti e appuntamenti, quasi improvvisato, in dialogo con l’elemento forse più attraente, fin quasi a essere sovversivo, com’è il teatro dei pupi siciliani in vesti messicane, realizzati da Igor Scalisi Palminteri. Provinzano è abile nel definire la parabola drammatica con un’intensità variabile ma in equilibrio tra la musica, il racconto e il teatro di figura (che ha ricevuto benedizione dal maestro puparo Mimmo Cuticchio, con cui il regista si è formato), che agisce le sezioni biografiche in dialogo con le voci off di veri e propri personaggi.

Nell’atmosfera calda, confidenziale, si fa largo la sensazione che un odore di rosa stia avvolgendo una sala di avventori intenti a sorseggiare tequila e ad ammirare ballerine di lenti magnetici boleri; è la suggestione che la musica sa donare, ma che il teatro interpreta e sviluppa in una forma figurale, affermando una concretezza dimensionale all’evanescenza di un’evocazione. In tali contesti l’amicizia particolare con Frida Kahlo, l’esplosione di una carriera imprevista, l’altrettanto sorprendente sparizione dalle scene, il grande ritorno in vecchiaia, si rincorrono non come informazioni biografiche ma ogni volta come stati d’animo, espressioni dell’umano che vi presiede.

«Come nubi divise dal vento / come un gioco di pietre violento / gocce d’acqua che il sole ha asciugato / una sbornia che non ci è passata» (Non tornerò), così corrono le parole sotto la penna. Appena sorvolano e lambiscono le note di un piccolo capolavoro (finalista al Premio Tenco 2017). Scivolano a definire i contesti, i volti, i gesti di una sospensione letteraria, un racconto raffinato e insieme intriso di terra e sudore, talvolta rarefatto, profezia di sciamani, eppure concreto di talento ed emozioni, dolori e solitudine; s’inarca fin fuori il teatro una voce di cielo e di caverna, grido e carezza di un mondo antico, libero. Un mondo raro.

Simone Nebbia

Off Off Theatre, Roma ‑ gennaio 2018

UN MONDO RARO
di e con Fabrizio Cammarata e Antonio Di Martino
Regia Giuseppe Provinzano
Suoni e luci Francesco Vitaliti
Pupi Igor Scalisi Palminteri
Voci Filippo Luna Chiara Muscato Giuseppe Provinzano Gisella Vitrano
Una produzione Cammarata/di Martino/ BABEL CREW

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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