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Teatro e Carcere. Nuove scritture alimentano l’urgenza politica

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Torniamo a parlare di teatro e carcere con l’esordio di una giovane compagnia mentre siamo in attesa della nuova riforma carceraria. Recensione

Foto di Tullia De Nardo

Tentare di tracciare un profilo della scena attuale è un po’ come cercare di disegnare i lineamenti di un volto in continuo mutamento, deformato nelle sue espressioni dalle rughe, dallo spalancarsi o aggrottarsi degli occhi, dalla distensione di un sorriso. È una fotografia impressa sempre nella sua sfocatura, mai perfettamente e volutamente nitida, la cui grana si confonde nella molteplicità e sperimentazione dei linguaggi. I premi consegnati in questo ultimo periodo possono guidarci nell’attestazione di percorsi che iniziano a imporsi all’attenzione nazionale, pur offrendo tuttavia una panoramica parziale della scena contemporanea. Resta dunque il diletto, quello sì, di lasciarsi incuriosire da proposte differenti, distaccate dai nomi già riconoscibili, per ascoltare cosa queste abbiano da dire. “Scouting” non è forse il termine adatto – almeno non per il teatro né tantomeno per gli altri ambiti artistici che rifuggono la logica dei talent – si prediliga quindi quello di avvicinamento al lavoro di nuove e/o potenziali compagnie.

Foto di Tullia Di Nardo

Come capita spesso a tutti coloro che vogliano iniziare un percorso autonomo e indipendente che segua e metta a frutto gli anni di studio, Pierfrancesco Nacca, Alessandro Calamunci Manitta, Andrea Colangelo e Gabriele Sorrentino, con la supervisione registica di Giulia Paoletti, hanno deciso, dopo i due anni di scuola, di lavorare insieme al progetto L’Aria scritto dallo stesso Nacca. Un abbrivio nel mestiere attorale a conclusione dei corsi frequentati presso L’Officina delle Arti Pier Paolo Pasolini, il «Laboratorio di Alta Formazione del teatro, della canzone e del multimediale» attivato dalla Regione Lazio nei locali del Teatro Palladium. Ospitati per sole due sere al Teatro Porta Portese – inaugurato tre anni fa con la gestione dell’Associazione Culturale Palco Comune, la cui piazzetta antistante al foyer è dedicata a Mario Lunetta, scrittore romano scomparso recentemente – il collettivo presenta uno spettacolo ostinato nella cura di dare rappresentazione a un tema assai controverso e quantomai attuale relativo alle morti in carcere. La «strage sileziosa» censita dal lavoro di due associazioni storiche come Antigone e Ristretti Orizzonti ha raggiunto la grave quota di 52 suicidi dall’inizio dell’anno; problema rispetto al quale lo Stato, proprio in questi giorni, ha approvato i decreti attuativi della riforma carceraria giunta dopo quarantadue anni dall’entrata in vigore dell’ordinamento penitenziario e dopo quattro dalla condanna umiliante della Corte europea dei diritti umani per l’emergenza nella quale riversano i detenuti negli istituti penitenziari italiani.

Foto di Tullia Di Nardo

«Dedicato a tutte le vittime degli abusi di potere da parte dello Stato: Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi, Michele Ferrulli, Giuseppe Uva», questo il sottotitolo che cita i casi più tristemente conosciuti della storia recente e ai quali si fa riferimento solo alla fine dello spettacolo con un video che ricolloca la narrazione all’interno del contesto oggettivo della cronaca. Nicola (Alessandro Calamunci Manitta) Rosario (Gabriele Sorrentino) Mario/Maria (Pierfrancesco Nacca) e Carmine (Andrea Colangelo) sono infatti i quattro attori protagonisti, in nome dei circa sessantamila detenuti reclusi nelle carceri del nostro paese, affollati in quella porzione di spazio che sulla scena del Teatro Porta Portese diventa un quadrato chiuso ai lati da due letti a castello. La quotidianità asfittica della reclusione viene rappresentata attraverso una drammaturgia netta, attenta a strutturare il testo in una serie di soliloqui in cui ciascun personaggio racconta allo spettatore la propria storia confidando pensieri e paure. Ai soliloqui si alternano monologhi in forma di risposte a interviste che i quattro rilasciano all’invisibile occhio esterno dei giornalisti, interessati allo scalpore sensazionalistico piuttosto che alla reale urgenza.

Come specificato nelle note di regia, agli attori sono state imposte delle regole precise di “uso e attraversamento” del ristretto spazio a disposizione, affinché potessero percepire durante le prove la contrainte di una situazione data, facendo scaturire da essa una gestualità specifica: puntuale, a disegnare traiettorie e direzioni che in realtà non arrivano da nessuna parte se non a scontrarsi con la chiusura di uno spazio claustrofobico. L’ambiente è “occupato” da una partitura di movimenti – derivata da un lungo training fisico tramite il quale la regista ha voluto impostare sin da subito il lavoro – che agisce sulla recitazione favorendone l’esacerbazione dei sentimenti, delle tensioni che animano il gruppo. Lo spettatore è posto di fronte a quella che sembrerebbe una gabbia, in cui animali in cattività si contendono uno spazio vitale, osservati dal mondo esterno e estraneo a dinamiche di vera e propria sopravvivenza. A riempire questa attenta costruzione registico-drammaturgica svolge un ruolo fondamentale la sensibile personalizzazione degli interpreti rispetto ai ruoli, tutti giocati con estrema vicinanza e sensibilità, conformando quattro distinte biografie sceniche ciascuna provvista delle proprie tonalità caratteriali. Quattro volti il cui spessore drammatico è calibrato secondo un ampio spettro di registri, dal tragico, al comico passando per le coloriture dialettali e a tratti macchiettistiche: Mario/Maria soprannominato “Bijou” ricorda molto la maschera del femminiello napoletano.

Pur mantenendo un attaccamento “di sicurezza” all’impostazione accademica, quasi fosse una sorta di aggancio a un modello dato e appreso che deve ancora maturare una sua autorialità espressiva e che in alcuni passaggi fatica a trovare il giusto accordo tra una scena e l’altra (ad esempio in quella della lotta a ralenti); ciononostante il gruppo riesce a inserirsi con questo lavoro nel pieno del dibattito politico e come altri spettacoli dedicati al tema delle morti in carcere, porta sul palcoscenico questa problematica senza retorica e pregiudizio, mostrandola in tutta la sua necessaria urgenza.

Lucia Medri

Teatro Porta Portese – dicembre 2017

L’ARIA
di Pierfrancesco Nacca
regia Giulia Paoletti
con Alessandro Calamunci Manitta, Andrea Colangelo, Pierfrancesco Nacca
e Gabriele Sorrentino.
costumi Nicola Civinini

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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