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Ascanio Celestini. Il Pueblo delle periferie

Ascanio Celestini con Pueblo torna tra le periferie nascoste dell’umanità. Debutto per Romaeuropa Festival 2017 al Teatro Vittoria. Recensione

Ascanio Celestini
Foto Piero Tauro

Questa è la storia di un giorno di pioggia. O meglio è la storia di un giorno. Che poi sono tutti i giorni. E che si tratti di pioggia o di sole il tempo atmosferico è un fatto incidente, mica scatenante. Perché sono i giorni di una storia che di giorni è fatta. E sono tutti uguali. Solo cambiano forse i ruoli dei protagonisti, cambia il peso delle forze in campo, insomma gli uomini e ciò che gli accade, più raramente quali atti decidano di compiere. E allora, una volta che si sia convenuto il tempo e lo spazio, l’azione e il suo luogo, non resta che far coesistere lo sguardo e la rappresentazione, intenzione e proiezione di accadimenti in una sequenza coerente che chiameremo, infine, racconto.
È in questo contesto che si muove il Pueblo messo in scena da Ascanio Celestini, al debutto per Romaeuropa Festival 2017 al Teatro Vittoria di Roma e ideale prosecuzione del recente Laika, secondo capitolo di una trilogia dedicata a niente più che sé stessa, ciò di cui è composta: la gente, il popolo, chi anima appunto il tempo e lo spazio prescelti alla narrazione.

C’è il bar, c’è il supermercato, ci sono le strade d’asfalto e il limite scandito dalla linea dei marciapiedi: di qua e di là, un muretto di dieci centimetri e una lieve sfumatura di colore decidono il destino di esistenze misurate lungo lo stesso cammino, capitate lì per tanti di quegli accidenti che se n’è persa notizia; quel confine sa descrivere con esattezza la differenza tra umani apparentemente simili: quelli a piedi che abitano i marciapiedi come fossero arterie di una circolazione faticosa lungo una viabilità laterale, occulta e quelli che sfrecciano al centro delle strade con le gomme delle automobili, che non lo sanno l’asfalto, non lo toccano neppure, lo sorvolano radenti come gabbiani il mare. La distanza tra gli uni e gli altri è, talvolta, quella di appena pochi centimetri. Lo spazio di una frenata.

Ascanio Celestini
Foto Piero Tauro

E poi ci sono le case. Quelle nascoste dietro le tende lise e semichiuse, quelle con la luce bassa che non si capisce mai se viene dalla stanza accanto o è proprio lì, senza illuminare poi niente altro che poche vite indifese, da una casa a quella di fronte. E allora a che serve un lampadario di mille candele. Perché le storie di Ascanio Celestini stanno tutte tra la periferie urbana e quella umana, intima, sono quelle piccole luci di stanze mezze buie – la scena dello spettacolo – che neanche sommate una all’altra sanno illuminare certe strade nascoste a tutti che compongono un quartiere.

C’è qualcuno che parla e si rivolge, come in Laika. Ma il referente non c’è, si chiama Pietro e sta tra le note della fisarmonica gentile e preziosa di Gianluca Casadei ma poco importa, non è davvero colui che ascolta. È una forma, qualcosa che sta di là dal dire, l’unica cosa che conta. Perché il racconto è ciò che consiste, afferma la vita. Ciò che non si può raccontare, sembra dire Celestini, non esiste. E allora sì che può dire di Violetta, chiusa in casa con sua madre, di Domenica la barbona sempre ai margini di una vita mai vissuta, come fosse morta da sempre, del supermercato e i lavoratori licenziati, dello zingaro di otto anni che fuma le sigarette, di Said vittima dei videopoker, della vecchia del bar e il sapore del cappuccino decaffeinato; ogni vita esiste perché detta, figurata per voce dell’uomo che parla e che fin dal principio, parlando di Violetta, confessa ogni cosa: “Pietro, io non so niente di lei, ma se vuoi ti racconto tutto”. Solo ammettendo questo passaggio come liminare Celestini può dichiarare, dimostrare il proprio teatro fatto di niente, di povertà, di luoghi privi della presenza di Dio: una maschera esposta, manifesta, ma utile a togliere tutte le altre. Come non fosse altra la missione, ultima e decisiva, del mestiere dell’attore.

Simone Nebbia

Teatro Vittoria, Romaeuropa Festival – ottobre 2017

PUEBLO
Di Ascanio Celestini
Con Ascanio Celestini, Gianluca Casadei
Suono Andrea Pesce
Produzione Fabbrica srl
In coproduzione con Romaeuropa Festival 2017, Teatro Stabile dell’Umbria Distribuzione Ass. Cult. Lucciola Foto © Dominique Houcmant | Goldo

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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