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Teatrosofia #63. Chi ha fondato la tragedia?

Teatrosofia esplora il modo in cui i filosofi antichi guardavano al teatro. Nel numero 63 si va alla ricerca delle origini della tragedia.

IN TEATROSOFIA, RUBRICA CURATA DA ENRICO PIERGIACOMI – COLLABORATORE DI RICERCA POST DOC DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO – CI AVVENTURIAMO ALLA SCOPERTA DEI COLLEGAMENTI TRA FILOSOFIA ANTICA E TEATRO. OGNI USCITA PRESENTA UN TEMA SPECIFICO, ATTRAVERSATO DA UN RAGIONAMENTO CHE COLLEGA LA STORIA DEL PENSIERO AL TEATRO MODERNO E CONTEMPORANEO.

In Teatrosofia, rubrica curata dal nostro redattore Enrico Piergiacomi – dottore di ricerca in filosofia antica all’Università degli Studi di Trento – ci avventuriamo alla scoperta dei collegamenti tra filosofia antica e teatro. Ogni uscita presenta un tema specifico, attraversato da un ragionamento che collega la storia del pensiero al teatro moderno e contemporaneo.

È un bisogno normale di qualunque essere umano ricercare le sue origini. Un orfano dedicherebbe la vita per scoprire chi gli fece da padre e madre, per ritrovare nel passato il proprio “io” presente. È tuttavia curioso che, almeno stando ai documenti a noi noti, non furono gli antichi attori a cercare di capire chi fu l’iniziatore della tragedia, ossia il primo genere in cui si manifestò l’arte della recitazione, bensì i filosofi. E questi ultimi non formularono un’ipotesi unica, ma tante, spesso a partire da testimonianze assai remote. La loro ricerca storica si addentrava così fino al mito.
Furono tre i candidati ipotizzati dagli antichi filosofi. Se accettiamo la validità di una fonte molto tarda come il commento di Giovanni Diacono al Metodo per un discorso efficace di Ermogene di Tarso, il fondatore più antico in assoluto era identificato dalle Elegie di Solone in Arione di Metimna. Tale misterioso personaggio è accreditato da altre fonti come l’inventore del coro tragico che con le sue danze circolari intonava il ditirambo. La tradizione inaugurata da Solone fu continuata da Aristotele nella sua Poetica, che vedeva appunto nella poesia ditirambica il predecessore della tragedia. Venne poi proseguita dai peripatetici Dicearco di Messina, che potrebbe aver negato la paternità della scoperta a Laso di Ermione (riconosciuta da alcuni grammatici antichi), e Stratone di Lampsaco. Ma su quest’ultimo personaggio bisogna assumere cautela. L’unico sostegno all’idea che egli indagò l’origine della tragedia è di nuovo la fonte controversa di Giovanni Diacono. Essa menziona un tal “Dracone” di Lampsaco che individuò il fondatore del genere tragico appunto in Arione. Dracone potrebbe essere una corruzione testuale per “Stratone”.
Un altro candidato era individuato da alcuni in Epigene di Sicione, come riporta il lessico Suda. Di questo personaggio non sappiamo praticamente nulla, se non che fu forse il primo ad aver composto una tragedia su Dioniso, al quale l’origine della tragedia è in un qualche modo legata, per poi narrare nelle sue successive composizioni miti e storie non attinenti a questo dio. Da qui sarebbe derivato il motto «Nulla a che fare con Dioniso», ossia la critica tutta sommato maliziosa che le più recenti tragedie si sono allontanate dalla loro matrice dionisiaca autentica. Gli autori che ascrivevano la fondazione della tragedia a Epigene non sono menzionati per nome dalla Suda. Un’altra voce di questo lessico riferisce però che un’indagine sull’origine del motto «Nulla a che fare con Dioniso» era stata compiuta dal peripatetico Prassagora di Rodi nell’opera Su Tespi. Possiamo perciò presumere con buona probabilità che fu forse lui uno di coloro che identificarono Epigene e il mitico fondatore della tragedia.
Il terzo candidato possibile si divide, in realtà, in una coppia di artisti: l’attore Tespi e il suo allievo Frinico. Su di loro, abbiamo due versioni contrastanti. Alcuni (ignoti) riferivano che essi inventarono effettivamente la tragedia. Altri – probabilmente intenzionati ad armonizzare le ipotesi di identificazione con Arione o Epigene – ne fecero invece coloro che perfezionarono il genere tragico. Secondo Diogene Laerzio, Tespi avrebbe aggiunto al coro la figura del primo attore, che risponde alle battute pronunciati dai coristi. Frinico avrebbe invece introdotto la maschera dei ruoli femminili e migliorato la musica di accompagnamento dei versi tragici. Tale seconda versione costituì l’ipotesi che ebbe maggiore fortuna non solo nell’antichità, tanto da essere accolta da filosofi come Aristotele (forse nel trattato Sui poeti, da cui potrebbe dipendere anche la notizia di Diogene Laerzio) e Orazio (nell’Arte poetica), ma anche nella contemporaneità. Oggi, infatti, è divenuto luogo comune che Tespi fu certamente colui che inventò o perfezionò la tragedia, mentre figure come Arione, Laso ed Epigene (ma, a dirla tutta, anche Frinico) sono diventati nomi che suggeriscono qualcosa perlopiù ai soli specialisti dell’antico.
Non mancarono tuttavia voci fuori dal coro, ossia che insinuarono che la ricerca di un primo scopritore della tragedia era un’attività superflua. Vale la pena a tal proposito di ricordare il Minosse, che è un dialogo di incerta attribuzione (potrebbe essere di Platone, oppure di un Platonico a lui vicino cronologicamente), dove si dichiara che la tragedia è molto più antica di Tespi e Frinico, poiché sarebbe stata inventata dai Cretesi contemporanei a Minosse. Il genere tragico risulterebbe in tal senso un prodotto “collettivo”, o in termini più astratti la manifestazione estetica di un’intera comunità, più che il parto di uno o più geniali individui.
Da come si può vedere, se facciamo eccezione per Solone, l’autore del Minosse e Orazio, i filosofi che si interessarono alla nascita della tragedia furono soprattutto i Peripatetici. Ci si può a questo punto chiedere quale fu la molla che innescò una simile ricerca storica. Come le ipotesi di identificazione dello scopritore della tragedia, anche le motivazioni potevano essere disparate.
Solone potrebbe essere stato forse indotto ad anticipare la scoperta ad Arione per attaccare Tespi. Come abbiamo visto in un precedente appuntamento, questi era stato criticato perché le sue tragedie rappresentavano un pericolo per l’equilibrio politico della città. Solone potrebbe dunque aver cercato di dimostrare che Tespi non è solo un individuo pericoloso, ma anche un artista non originale, giacché non inventò nulla di nuovo.
L’autore del Minosse retrodata invece la scoperta della tragedia agli albori della storia per riabilitare il nome dell’eroe Minosse. Partendo dalla premessa che i poeti tragici mentono e calunniano, egli conclude che non va attribuita validità storica alla fama di uomo incolto, rozzo e crudele, diffusa su di lui per la prima volta appunto dai tragediografi cretesi. Andrà invece accettata come storicamente affidabile la lode che Minosse riceve da Omero ed Esiodo, i quali lo esaltano come un legislatore virtuoso e saggio. In altri termini, la retrodatazione della nascita della tragedia a tragediografi antecedenti Tespi e Frinico serve a dimostrare che la cattiva fama dell’eroe dipese dall’inimicizia tra lui e i cosiddetti primi tragici di Creta.
Quanto infine ai Peripatetici, si può supporre che per entrambi la molla a indagare la nascita della tragedia fu semplicemente il desiderio di conoscere. Aristotele e discepoli danno preminenza, infatti, perlopiù al sapere teoretico rispetto a quello pratico, poiché – per citare un noto luogo del libro X dell’Etica Nicomachea – la contemplazione o theoria garantisce a chi la pratica lo stesso piacere intenso di cui godono gli dèi. Per Orazio, infine, si può supporre che l’individuazione dell’origine della tragedia dal greco Tespi gli servisse per confermare che compito di un bravo scrittore latino è imitare quanto meglio i Greci. Forse non a caso, infatti, l’accenno alla genealogia del genere tragico segue immediatamente a questo precetto. Se la tragedia nasce con un Greco e fu coltivato dai Greci, i Latini diventeranno buoni tragici capendo perché costoro scrissero drammi tragici così buoni.
Nell’antichità, insomma, il problema fondamentale della nascita della tragedia fu affrontato da figure estranee all’arte del teatro, da cosiddetti outsiders. Oggi ci sono tuttavia le premesse perché questo tipo di indagine storica possa essere affrontata meglio da attori che studiano. Rintracciare le proprie origini potrebbe consentire loro di acquisire una comprensione ancora più nitida della loro arte, sia essa nata dal lavoro di uno o due individui eccezionali, oppure di un popolo intero.

Enrico Piergiacomi

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Come scrive Solone nelle sue Elegie, il primo a introdurre la tragedia fu Arione di Metimna. Dracone di Lampsaco dice che il primo dramma ad essere rappresentato ad Atene fu composto da Tespi (Giovanni Diacono, Commento al «Metodo per un discorso efficace» di Ermogene = Tespi, T9 Snell; Arione di Metimna, T6 Campbell; Solone, fr. 39 Gentili-Prato)

«Insegnanti dei cori circolari» [Aristofane, Uccelli, v. 1403)]: è usato per alludere ai poeti ditirambici. (…) Antipatro e Eufronio [grammatico] dicono nei loro commentari [ad Aristofane?] che Laso di Ermione fu il primo ad organizzare i cori circolari. Ma le autorità più antiche – ossia Ellanico e Dicearco – sostengono che il primo [organizzatore] fu Arione di Metimna. Dicearco [afferma ciò] nel suo trattato Sugli agoni dionisiaci, Ellanico nella sua Lista delle vittorie di Carnea (Scolio agli Uccelli di Aristofane, v. 1403 = Arione di Metimna, T5 Campbell; Dicearco, fr. 99 Mirhady)

Indagare, poi, se la tragedia abbia già dato o meno completamente corso alle sue specie, giudicando in sé e per sé o in relazione all’arte teatrale, è un altro discorso. Divenuta, infatti, dalle prime improvvisazioni – la stessa tragedia, e anche la commedia, l’una a partire dagli iniziatori del ditirambo, l’altra da quelli dei canti fallici, i quali da tempo e ancora oggi continuano comunque ad essere praticati in numerose città – a poco a poco si accrebbe, sviluppando, <i poeti>, quanto di essa diveniva manifesto. La tragedia cessò poi di subire tutti i cambiamenti che l’hanno trasformata, quando raggiunse la sua natura propria (Aristotele, Poetica, 1449a; trad. Guastini)

«Nulla a che fare con Dioniso»: Alcune persone esclamarono ciò dopo che [videro] che Epigene di Sicione compose una tragedia in onore di Dioniso: da qui il motto in questione. Migliore è però la spiegazione che segue. Dapprincipio, quando [i tragici] componevano in onore di Dioniso, erano soliti competere negli agoni tragici con queste [tragedie], che venivano allora chiamate anche «componimenti satirici». Ma col passare del tempo, dopo aver fatto progressi nella scrittura di tragedie, essi si spostarono a poco a poco su miti e racconti storici senza più alcuna connessione con Dioniso. Fu qui che questo motto venne pronunciato da alcuni. Camaleonte riferisce cose del genere nel trattato Su Tespi (Suda Ο 806 = T18 Snell; Camaleonte di Eraclea, fr. 11 Martano)

Tespi: di Icario, una città dell’Attica. Fu poeta tragico, il sedicesimo dopo Epigene di Sicione, primo scrittre di tragedie, ma secondo altri era invece il secondo dopo Epigene. Altri ancora dicono che Tespi fu il primo tragediografo. Dapprincipiò recitò cospargendosi la faccia con cerone bianco, quindi si coprì [ilcapo] con la portulacea drante la sua esibizione, infine introdusse anche l’uso di maschere intrecciate solamente con lino (Lessico Suda, Θ 282 = Tespi, T1 Snell)

Frinico: figlio di Polifradmo o di Miniro, ma secondo altri di Coricle. Fu Ateniese, tragico, allievo di Tespi, il quale per primo introdusse la tragedia. (…) Questo Frinico aggiunse per la prima volta una maschera femminile sul palcoscenico e inventò il tetrametro (Lessico Suda, Φ 762 = Frinico, T1 Snell)

E la sublime tragedia avrebbe fatto il suo ingresso a teatro con tutto il suo organico di attori e coro al completo? Non dobbiamo tenere alcun conto di ciò che dice Aristotele, che all’inizio era introdotto il coro per cantare in onore degli dèi, poi Tespi inventò prologo e dialoghi parlati ed Eschilo il secondo e il terzo attore e i coturni, mentre a Sofocle e ad Euripide dobbiamo le innovazioni successive? (Temistio, Il diritto del filosofo a parlare in pubblico [= Orazione 26], § 7 = Tespi, T6 Snell; Aristotele, Sui poeti, F38 Janko)

Come nelle più antiche rappresentazioni tragiche soltanto il coro sostenne tutta l’azione drammatica, poi Tespi introdusse un primo attore determinando le pause del coro, ed Eschilo un secondo e Sofocle un terzo portando a completa perfezione la tragedia, così pure la filosofia prima si rivolse unicamente alla natura, poi con Socrate all’etica ed infine con Platone alla dialettica, cioè alla sua completa e perfetta evoluzione (Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, libro III, § 56 = Tespi, T7 Snell; Aristotele, Sui poeti, F42 Janko; trad. Gigante)

A voi conviene studiar notte e giorno i modelli greci. (…) Si dice che inventore della poesia tragica, prima sconosciuta, fosse Tespi; e che trasportasse sopra un carro i coristi e gli attori con il volto impiastricciato di mosto (Orazio, Arte poetica, vv. 268-269 e 275-279 = Tespi, T23 Snell; trad. Colamarino-Bo)

AMICO: Allora, perché mai, Socrate, si era divulgata su Minosse codesta fama di uomo incolto e intrattabile?
SOCRATE: Per lo stesso errore da cui anche tu, carissimo, se sei saggio e tutti gli altri uomini che vogliano essere tenuti in pregio da qualcuno, devono stare in guardia: non inimicarsi mai nessun poeta. I poeti infatti hanno grande influenza sulla fama delle persone a seconda che nei loro poemi ne parlino male o bene. Proprio in questo Minosse sbagliò, poiché combatté contro questa città in cui vi sono ogni forma di sapienza e vari poeti di ogni genere letterario, compreso quello tragico. A ben vedere, inoltre, la tragedia esiste da noi sin dall’antichità e non inizia, come generalmente si crede, con Tespi o Frinico, ma se si vuole condurre una ricerca si troverà senz’altro che è un’antica scoperta di questa città. Inoltre la tragedia è il genere letterario più popolare ed avvincente e noi inserendo in essa Minosse ci vendicammo di quei tributi che ci costrinse a pagare. Dunque fu questo l’errore di Minosse, l’essersi reso odioso ai nostri occhi, ed è a partire da tale fatto che ottenne fama più ignobile, quella che è oggetto della tua domanda (Platone o pseudo-Platone, Minosse, 320d-321b = Tespi, T13 Snell; trad. Rubatto)

E mentre per gli dèi tutta la vita è beata, per gli esseri umani lo è nella misura in cui appartiene a essi una qualche immagine di una simile attività: degli altri animali nessuno è felice, dato che nessuno ha a che fare con la contemplazione. Dunque, quanto si estende la contemplazione, tanto si estende la felicità, e a colora a cui maggiormente appartiene il contemplare, appartiene anche l’essere felici, non per accidente, ma in conseguenza della contemplazione: questa infatti è degna di onore di per sé. Di modo che la felicità verrà a essere un certo tipo di contemplazione (Aristotele, Etica Nicomachea, libro X, 1179b; trad. Natali)

[Riporto di seguito i riferimenti bibliografici degli editori e dei traduttori citati. Se non è indicata alcuna traduzione italiana in margine a un passo, significa che essa è mia:
1) David Campbell (a cura di), Greek Lyric III, Cambridge et alii, Harvard University Press, 1991;
2) Tito Colamarino, Domenico Bo (a cura di), Orazio: Opere, Torino, Utet, 2008;
3) Bruno Gentili, Carlo Prato (a cura di), Poetae Elegiaci testimonia et fragmenta, München-Leipzig, Saur, 2002;
4) Marcello Gigante (a cura di), Diogene Laerzio: Vite dei filosofi, libri 1-7, Roma-Bari, Laterza, 1976;
5) Daniele Guastini (a cura di), Aristotele: Poetica, Roma, Carocci, 2010;
6) Richard Janko (a cura di), Philodemus: On Poems, books 3-4, with the Fragments of Aristotle, On Poets, Oxford-New York, Oxford University Press, 2010;
7) Riccardo Maisano (a cura di), Discorsi di Temistio, Torino, Utet, 1995;
8) Andrea Martano (a cura di), Chamaeleon of Heraclea Pontica. The Sources, Text and Translation, in Andrea Martano, Elisabetta Matelli, David Mirhady (a cura di), Praxiphanes of Mytilene and Chamaeleon of Heraclea. Text, Translation and Discussion, New Brunswick-London, Transaction Publisher, 2012, pp. 157-337;
9) David Mirhady (a cura di), Dicaearchus of Messana. The Sources, Text and Translation, in William Fortenbaugh, Eckart Schütrumpf (eds.), Dicaearchus of Messana. Text, Translation, and Discussion, New Brunswick-London, Transactions Publisher, 2001, pp. 3-142;
10) Carlo Natali (a cura di), Aristotele: Etica Nicomachea, Roma-Bari, Laterza, 1999;
11) Stefania Rubatto (a cura di), Platone (?): Minosse, in Enrico Maltese (a cura di), Platone: Tutte le opere. Vol. 5, Milano, Newton Compton, 1997, pp. 28-47;
12) Bruno Snell (a cura di), Tragicorum Graecorum Fragmenta, Hildesheim et alii, Olms, 1973]

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Enrico Piergiacomi
Enrico Piergiacomi
Enrico Piergiacomi è cultore di storia della filosofia antica presso l’Università degli Studi di Trento e ricercatore presso il Centro per le Scienze Religiose della Fondazione Bruno Kessler di Trento. Studioso di filosofia antica, della sua ricezione nel pensiero della prima età moderna e di teatro, è specialista del pensiero teologico e delle sue ricadute morali. Supervisiona il "Laboratorio Teatrale" dell’Università degli Studi di Trento e cura la rubrica "Teatrosofia" (https://www.teatroecritica.net/tag/teatrosofia/) con "Teatro e Critica". Dal 2016, frequenta il Libero Gruppo di Studio d’Arti Sceniche, coordinato da Claudio Morganti. È co-autore con la prof.ssa Sandra Pietrini di "Büchner, artista politico" (Università degli Studi di Trento, Trento 2015), autore di una "Storia delle antiche teologie atomiste" (Sapienza Università Editrice, Roma 2017), traduttore ed editor degli scritti epicurei del professor Phillip Mitsis dell'Università di New York-Abu Dhabi ("La libertà, il piacere, la morte. Studi sull'Epicureismo e la sua influenza", Roma, Carocci, 2018: "La teoria etica di Epicuro. I piaceri dell'invulnerabilità", Roma, L'Erma di Bretschneider, 2019). Dal 4 gennaio al 4 febbraio 2021, è borsista in residenza presso la Fondazione Bogliasco di Genova. Un suo profilo completo è consultabile sul portale: https://unitn.academia.edu/EnricoPiergiacomi

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