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La scrittura e la scuola. Intervista a Claudia Castellucci

Quinta di copertina Speciale. In occasione della rassegna di danza May Days nella quale è andato in scena a Parma il ballo Verso la specie, abbiamo intervistato Claudia Castellucci a proposito del suo libro Setta. Scuola di tecnica drammatica pubblicato da Quodlibet nel 2015.

foto di Pierre Planchenault

Claudia Castellucci, fondatrice della Socìetas Raffaello Sanzio insieme a Romeo Castellucci e a Chiara Guidi, ha maturato una profonda esperienza nella creazione di scuole drammatiche intese non come luoghi né come metodi, ma come percorsi di trasmissione della conoscenza. Limpido, ironico e serio, il volume pubblicato dalla casa editrice Quodlibet nel 2015 è un prodotto editoriale particolarissimo che contiene la sintesi di oltre quindici anni di impegno nella prassi scolastica, ovvero una pratica volta alla creazione e alla trasmissione di una conoscenza approfondita del ritmo, del corpo e del suo movimento. Il testo, redatto nel corso di tre anni, propone un approccio che a prima vista sembrerebbe essere teso a raffreddare la materia di cui tratta, tuttavia dalle pagine di Setta. Scuola di tecnica drammatica emerge il sentire caldo, umano e approfondito della riflessione che nasce attraverso la pratica quotidiana intesa come spazio di relazione, di contatto e di ascolto.

foto di Luca Ghedini

La scrittura di un testo implica una creazione preliminare che consiste nello stabilire un rapporto con la scrittura. Qual è stata la genesi di questo libro?

Avevo a disposizione una collezione di appunti dedicati a lezioni che ho fatto nel corso del tempo, ma avevo ben chiaro di non costituire un’antologia. La composizione l’ho pensata in relazione a una lettura che, data la natura del libro, dovesse essere prossima a quella di un manuale o a quella di un prontuario che all’occorrenza venisse utilizzato: una lettura vicina a un esercizio o a un’immaginazione di esercizio, che potesse essere frequentato nella mente, non soltanto fisicamente. Si tratta quindi di una scrittura spettrale che riguarda sia chi in maniera pedissequa tratti questo libro come un esercizio da mettere in pratica immediatamente, sia chi tratti questo libro come una narrazione di atti che rimandano a pensieri. È stato per me importante scrivere questo libro come un andamento, accompagnando una continuità di scorrimento delle parole adeguata a un ritmo, che è quello della lettura. La preoccupazione principale di queste lezioni è quella di costituire un ritmo nella giornata scolastica; di conseguenza dovevo riuscire a ottenere la stessa qualità ritmica, dinamica, attraverso la lettura. Ho scelto le parole in base al ritmo, o, per meglio dire, la scelta delle parole si trova in una dimensione ancora più profonda. Prima di questo c’è la scelta dell’alternarsi degli esercizi e dei pieni e dei vuoti che le parole stesse portano e comportano, e del grado di attenzione che questi esercizi richiedono anche solo alla lettura; e anche di una certa ironia, nel senso strutturale della parola, non in senso scherzoso. Poi, c’è la scelta terminologica, che è per me fondamentale qui, come lo è nelle lezioni, per il semplice fatto che è indispensabile intendersi quando parliamo. Man mano che costruisco il libro, adotto dei termini e anche delle famiglie di termini che tra loro si rafforzano per costituire un panorama coerente, dove è possibile orientarsi.

foto ufficio stampa

Nel suo libro si parla di scuola e viene bandita la parola metodo. A che cosa è dovuta questa scelta?

La parola “metodo” rispetto a “scuola” è fortemente indicativa di una direzione assodata. C’è un aspetto che viene tagliato fuori da subito che è quello della contraddizione e della libertà, anche dal metodo stesso. Quindi la parola metodo ho dovuto allontanarla per il semplice fatto che, pur essendo le giornate scolastiche preparate rigorosamente, pur avendo quindi un’apparenza fortemente metodica, non possono dirsi legate a un metodo: la ragione è che verrebbe esclusa dall’origine la possibilità della contraddizione rispetto a una direzione. La parola più corretta è “scuola” perché accentua l’aspetto di questa tipica relazione umana -che è speciale, e veramente definibile solo con la parola scuola: un insieme di persone che decide di stare insieme a studiare, con il solo motivo di studiare e di provare determinati tratti di conoscenza. Non può esserci, dunque, un metodo, perché esso è qualcosa di esauribile e di esaurito, ed è bastevole a se stesso proprio perché si fonda su un sistema. La scuola si basa su tesi, non può dirsi sistematica. Il sistema, se c’è, è quello ritmico. Il ritmo è un sistema, ma il ritmo stesso è una parola complessa rispetto al metro, per esempio. Quindi forse la differenza che c’è tra la parola scuola e la parola metodo è la stessa che corre tra ritmo e metrica: la metrica è basata su una regola normativa e normante, assolutamente regolare e fissata, prefissata, e sa già qual è il proprio orizzonte. Il ritmo è senz’altro regolare, metrico, ma è più libero del metro, perché poggiandosi sul metro realizza una nuova normativa, che è propria. La stessa cosa avviene per me con la scuola, dove il motivo e l’orizzonte di questa riunione umana è legato allo studio e alla prova in comune. Naturalmente è importante che in questa relazione vi sia qualcuno che si prepara, mettendo a punto la giornata e il ritmo. Ma questa preparazione serve solo come base per un ballo che si inaugura, sì, con chi prepara, ma che è aperto a una trasformazione che si attua durante la scuola stessa e assorbe tutte le modificazioni e gode della contraddizione, veramente, non per una generica apertura verso qualcosa di indefinito, ma perché è così che succede la moltiplicazione del ritmo, di conseguenza succede anche una libertà problematica nei confronti dello studio.

foto di Wang – www.ladanzanellacitta2016

La struttura interna del libro, divisa in “giornate”, è particolare per il modo in cui orienta il lettore. Come è nata?

L’idea delle giornate serve per dare un’idea vivida di andamento temporale. Il numero di 59 giornate è arbitrario, nel senso che in generale le giornate sono state di più, mentre lungo l’anno sono di meno, una trentina. La durata scolastica è determinata invece dallo scolaro stesso, che decide quando è ora di finire; e anche io sento che viene un momento in cui è giusto concludere. Anche questo denota il fatto che non vi potrebbe essere un metodo, perché il metodo, sebbene rinnovato e attualizzato, è un marchio che procede nel tempo, invece queste sono opere che si concludono per poi magari riaprirsi in altri modi o secondo altre tendenze. Quella delle giornate era un’idea vivida di tempo che scorre e quindi anche di una certa esemplarità spiccia — prima giornata, seconda, etc. — ma c’è anche un certo progresso, nel senso che ci sono esercizi che non possono essere fatti se prima non se ne sono fatti altri. È un progresso in senso storico, e, più che un miglioramento, ha un senso di completamento; certe cose c’è bisogno di farle in maniera scalare, progressiva. Nel libro è importante la parte finale, quella degli indici, dove ipoteticamente il lettore può comporre la giornata che crede. Se uno ha bisogno di dedicarsi maggiormente a una determinata e specifica istanza, può concentrarsi e andare a cercare quel tipo di angolatura. C’è un elenco delle materie, c’è l’elenco dei discorsi e quindi uno può formarsi la propria storia scolastica. È un esempio che viene a essere, e si configura, così come accade nella scuola reale e fisica; praticato come un motivo principiante, che serve per cominciare qualcosa che poi si sviluppa con la mente -nel caso della lettura, e quindi andando a sfogliare, non necessariamente in modo progressivo. La determinazione della propria giornata è determinata in base alle necessità della propria fisicità.

Gaia Clotilde Chernetich

SETTA. SCUOLA DI TECNICA DRAMMATICA
autore Claudia Castellucci
editore Quodlibet, Macerata
anno 2015
pagine 440
ISBN 9788874626557

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Gaia Clotilde Chernetich
Gaia Clotilde Chernetich
Gaia Clotilde Chernetich ha ottenuto un dottorato di ricerca europeo presso l’Università di Parma e presso l’Université Côte d’Azur con una tesi sul funzionamento della memoria nella danza contemporanea realizzata grazie alla collaborazione con la Pina Bausch Foundation. Si è laureata in Semiotica delle Arti al corso di laurea in Comunicazione Interculturale e Multimediale dell'Università degli Studi di Pavia prima di proseguire gli studi in Francia. A Parigi ha studiato Teorie e Pratiche del Linguaggio e delle Arti presso l'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales e Studi Teatrali presso l'Université Paris3 - La Sorbonne Nouvelle e l'Ecole Normale Supérieure. I suoi studi vertono sulle metodologie della ricerca storica nelle arti, sull’epistemologia e sull'estetica della danza e sulla trasmissione e sul funzionamento della memoria. Oltre a dedicarsi allo studio, lavora come dramaturg di danza e collabora a progetti di formazione e divulgazione delle arti sceniche e della performance con fondazioni, teatri e festival nazionali e internazionali. Dal 2015 fa parte della Springback Academy del network europeo Aerowaves Europe, mentre ha iniziato a collaborare con Teatro e Critica nel 2013.

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