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Arturo Cirillo al Teatro Vascello: senza dire, la verità

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Al Teatro Vascello di Roma Arturo Cirillo dirige e interpreta Chi ha paura di Virginia Woolf?, un testo di Edward Albee tradotto da Vittorio Capriolo. Recensione.

Foto di Diego Steccanella

Come il cielo dalla finestra, come un campo intero di mine inesplose, si spiega in un’ora e mezzo Chi ha paura di Virgina Woolf? diretto da Arturo Cirillo al Teatro Vascello di Roma. Lo affiancano in scena Milva Marigliano, Valentina Picello e Edoardo Ribatto, tre ulteriori volti per raccontare.
Il testo di Edward Albee restituisce il quadro della facile possibilità che ci è data di imboccare il fallimento e il modo che ha questo di sedimentarsi sul fondo di una vita trascorsa senza particolari rimostranze.
In mano a Cirillo quest’opera pensata per il teatro, che il cinema ha circoscritto nell’esasperazione degli istrioni americani, si fa, invece, una lente per la lettura dell’anima nella sua più autentica e incorrotta disperazione.
Benché ognuno dei quattro personaggi avverta la necessità di abbandonarsi all’alterazione forzata dell’alcol – che è un ordine del copione di Albee – nel caso specifico, nessuno pare puntare su questa licenza per svelarsi nella propria bieca intimità ed è per questa ragione che, guardandoli, si ottiene l’imbarazzo di percepirci nudi gli uni di fronte agli altri; una nudità colpevole, un segreto illuminato da quattro attori che porta a chiedersi di chi sia stata l’iniziativa di raccontare al teatro tanto più di ciò che sapevamo sulla nostra identità.

Foto di Diego Steccanella

Due le donne, due gli uomini. Ognuno l’estremità antipode e sottile dell’altro come in due coppie di differenti età. I quattro poli godono della loro opposizione diametrale per presentarsi e difendersi a modo proprio dal cattivo uso che hanno fatto della vita mantenendo l’accento della recitazione, sempre un tono al di sotto del sarcasmo e un altro al di sopra del disincanto.
Valentina Picello, la donna più giovane, è una creatura nei cui fianchi non possono essere trattenuti gli spasimi della non accettazione di se stessa e delle proprie scelte. L’attrice vomita come danza, azioni entrambe contrassegnate da un movimento liberatorio dalla propria psiche e dal proprio compagno, Edoardo Ribatto che, nei panni di un giovane biologo imbellettato, riesce a restituire dal punto di vista attoriale di conoscere la vita solo grazie ai prontuari.

Foto di Diego Steccanella

L’altra coppia è di Arturo Cirillo e Milva Marigliano, beffa e arenamento di un legame intisichito dalla nascita ma in qualche maniera miserevolmente indissolubile. L’uomo scandisce il suo fraseggio umettandosi di volta in volta le labbra per ammorbidirsi la rabbia nel recinto dei denti. La compagna gli penetra nelle ossa con la pretesa di fargli da scheletro, ma senza un apparente risultato se non quello di apparire ancora più al di fuori di dove realmente si trovi.

Una messinscena che si è detta sull’incomunicabilità, ma che nel suo paradosso trova il sentiero per arrivare ai dotti lacrimali, tanto che quando la luce torna a scontornare i volti, questi la riflettono senza alcun pudore e s’applaude per scuoterla via.

Francesca Pierri

Teatro Vascello, maggio 2017

CHI HA PAURA DI VIRGINIA WOOLF?
di Edward Albee
traduzione Ettore Capriolo
con Milvia Marigliano, Arturo Cirillo, Valentina Picello, Edoardo Ribatto
scene Dario Gessati
costumi Gianluca Falaschi
luci Mario Loprevite
regia Arturo Cirillo
produzione Tieffe Teatro Milano / Marche Teatro

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Francesca Pierri
Francesca Pierri
Laureata in Filologia Classica e Moderna con una tesi magistrale in Letteratura Comparata all'Università degli Studi di Macerata, frequenta il master in Critica Giornalistica con specializzazione in Teatro, Cinema, Televisione e Musica presso l'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio d'Amico" a Roma. Ufficio stampa e comunicazione, continua la sua attività redazionale collaborando con la Rai - Radiotelevisione Italiana. Vive a Roma e da gennaio 2017 è redattrice di Teatro e Critica.

2 COMMENTS

  1. Bell’articolo ma, mi si permetta, mi è parso un esercizio di stile, ricercatissimo (“quando la luce torna a scontornare i volti, questi la riflettono senza alcun pudore e s’applaude per scuoterla via”, “come il cielo dalla finestra, come un campo intero di mine inesplose”) ma che nulla o quasi dice sull’allestimento, le scelte registiche, le interpretazioni.

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