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Parsons Dance. Tutto vuole librarsi

La Parsons Dance, compagnia statunitense fondata nel 1985 da David Parsons e da Howell Binkley, arriva al Teatro Morlacchi di Perugia. Recensione

Foto di Lois Greenfield
Foto di Lois Greenfield

La profondità scura del palco è una scatola vuota, tre fasci di luce la fendono verticalmente, disegnando una zona grigia, le ombre che cadono sul pavimento assomigliano a lievi depositi di polvere. Il silenzio sembra guizzare dall’attesa del movimento e del suono.
La Parsons Dance – compagnia newyorkese di danza moderna fondata e diretta da David Parsons – arriva al Teatro Morlacchi di Perugia in un giovedì di fine marzo con uno spettacolo articolato in sei coreografie, tra cui una prima e un’anteprima europee.

Sulle note di Thomas Newman sei danzatori irrompono sulla scena: tre coppie a riempire lo spazio mentre il disegno luci di Howell Binkley – light designer e co-fondatore della compagnia – inizia a costruire l’habitat dentro il quale il gioco scenico si distribuisce e si duplica. La presenza iconica dei corpi è esibita con forza, la loro definizione statuaria messa al servizio di uno spartito gestuale che, nella successione dei sei momenti coreografici, guadagna multiformità: dopo il primo quadro, contrassegnato da una ritmica battente e da una luce che gioca tra irraggiamenti e dissolvenze, il palco si popola, via via, di altre suggestioni. A Kind of Blue è una sequenza di scivolamenti, disegnati su seducenti frontalità e su movimenti fluidi che sembrano interdetti dal perimetro di un argine stretto e spigoloso. Unexpected Together – sette danzatori in abiti sportivi illuminati da luci variopinte – si definisce per direttrici lineari, mosse da estroflessioni lente e prese ginniche; la luce (curata, solo per questo pezzo, da Christopher Chambers) interagisce con il dispositivo coreografico, assecondandolo e ammantandolo di una particolare atmosfera in grado di attenuare l’estetica da musical americano che, a momenti, si avverte nelle geometrie del disegno scenico.

Foto di Lois Greenfield
Foto di Lois Greenfield

La seconda parte dello spettacolo è inaugurata dal gioco coreutico virtuoso di Hand Dance: cinque coppie di braccia e mani che si stagliano nel nero, i cui movimenti fini delle dita evocano fluttuazioni e guizzi di fiamma; una consistenza creaturale e suadente sempre vivificata dal suono che insinua e ritrae allusioni al mimo. Segue poi il celebre Caught, il balletto stroboscopico creato da Parsons per se stesso nel 1982 e ora affidato alla precisione atletica di Elena D’Amario.
La coreografia finale, In The End, si sviluppa da una partitura di avvicendamenti lenti per esondare in un gioco coloristico e ginnico, dove la nudità dei danzatori, percorsa da un qualcosa di nervoso e pulsante, compone un quadro coinvolgente di vera gioia e leggerezza che si spegne in un incrocio di silhouette nere e animalesche, stagliate su sfondo rosa.

Foto di Lois Greenfield
Foto di Lois Greenfield

C’è l’abitudine a pensare – questa è un’ammissione – il teatro come la sede di una ricerca, di cui la corporeità è l’ineliminabile conduttore, il polo di rifrangenza di ogni ragionamento ma non il centro concettuale. Anche per questo la modern dance americana – questa stanza dalle pareti altissime, disallineate, abitata di corpi pieni di gioia e vuota di simboli – genera una seduzione a cui sempre si affianca un divertito stupore.
C’è l’abitudine a pensare i movimenti sulla scena come dispositivi di mediazione, delicate articolazioni messe al servizio di un’indagine o di un transito di significati, segni da organizzare per scandire l’allusione a qualcosa che li “ulteriorizzi”. La forza precisa e vibrante dei corpi – destinata soltanto a celebrare se stessa e l’effetto esaltante che produce – sorprende e smentisce. La gioia motrice e libera di creare immagini, sospendendo l’attesa di un significato, espone un segmento di desiderio   tanto comune e tanto naturale che, nello spettatore, l’evidenza sorpassa l’analisi e cerca soltanto la liberazione, partecipata e fisica, dell’applauso.

Ilaria Rossini

Teatro Morlacchi, Perugia – marzo 2017

PARSONS DANCE
coreografia e regia David Parsons
danzatori Sarah Braverman, Ian Spring, Elena D’Amario, Geena Pacareu, Omar Romàn De Jesùs, Eoghan Dillon, Zoey Anderson, Justus Whitfield
musiche Thomas Newman, John Corigliano, Marty Beller, Kenji Bunch, Robert Fripp, Dave Matthews Band
disegno luci Howell Binkley, Christopher Chambers
costumi Naomi Luppescu, Donna Karan, Judy Wirkula, Mia McSwain
produzione BaGS Entertainment

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Ilaria Rossini
Ilaria Rossini
Ilaria Rossini ha studiato ‘Letteratura italiana e linguistica’ all’Università degli Studi di Perugia e conseguito il titolo di dottore di ricerca in ‘Comunicazione della letteratura e della tradizione culturale italiana nel mondo’ all’Università per Stranieri di Perugia, con una tesi dedicata alla ricezione di Boccaccio nel Rinascimento francese. È giornalista pubblicista e scrive sulle pagine del Messaggero, occupandosi soprattutto di teatro e di musica classica. Lavora come ufficio stampa e nell’organizzazione di eventi culturali, cura una rubrica di recensioni letterarie sul magazine Umbria Noise e suoi testi sono apparsi in pubblicazioni scientifiche e non. Dal gennaio 2017 scrive sulle pagine di Teatro e Critica.

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