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Amendola/Malorni. La verità messa all’angolo

Amendola/Malorni, con Nessuno può tenere Baby in un angolo, portano in scena un giallo in cui si mette in discussione il concetto di verità. Recensione

Foto di Claudia Pajewski
Foto di Claudia Pajewski

Accade qualcosa, gli uomini non vivono separati dalla loro storia, si articola l’evoluzione delle loro esperienze lungo il corso della vicenda umana. Si tratta di forme, di comportamenti, di abitudini sensibili o ragionate, filamenti d’esistenza; frammenti, infine, desistenza. Lucio è un uomo semplice, vive in un buco della storia, dal quale sbirciare e tenersi al riparo; non è stato troppo fortunato Lucio, si è chiuso un po’, si è ritirato prima che la gara entrasse nel vivo. Adesso fa il benzinaio perché in famiglia andava così, ha una pompa tutta sua, ha un lavorante straniero, si mette e si toglie la tuta che puzza di benzina, ma non la sente più così tanto, insomma, un po’ a tutto ci fai l’abitudine, anche gli altri, alla fine, che si abituano a te.

Foto di Claudia Pajewski
Foto di Claudia Pajewski

Valerio Malorni e Simone Amendola trascinano la vicenda di Lucio (interpretato da Malorni) da una consistente pagina scritta fino alla scena, da lì pian piano fuori dal buco in cui era riposta. Nessuno può tenere Baby in un angolo, spettacolo visto a Short Theatre 11 e che torna in scena al Teatro Civico 14 di Caserta, fuori dal riferimento del titolo al film di culto Dirty Dancing, narra di un omicidio, una donna assassinata vicino quella pompa di benzina, il suo corpo ritrovato mozzato della testa, violato da un’efferatezza che con difficoltà si saprebbe ascrivere a questo giovane smarrito benzinaio, vittima di una solitudine in cui tuttavia ha saputo costruire un equilibrio, povero forse, di pura sopravvivenza, ma non al punto di trasformarlo in un folle assassino.

Queste tematiche complesse prendono forma di un monologo graffiato, una difesa da colpe che progressivamente si stringono attorno alla figura del protagonista, accusato di aver ucciso la donna da ipotetici inquirenti, posti di fronte alla sua enorme sedia da imputato, quasi unico elemento della scena. Il giudizio cui è sottoposto Lucio è preventivo, muto – solo talvolta si avverte in sala una voce off femminile che rivela le incongruenze – e per questo assertivo: da un disagio intimo che si svela poco a poco alla teorizzazione dell’accusa, avvertita soltanto dai suoi tentativi di difesa, il passaggio è compiuto nell’equilibrio tra la vicenda che aggiunge particolari sempre più accerchianti e la perdita di terreno di Lucio che inizia a confondersi, disperde segnali, si contraddice, rivela precedenti omissioni, compie cioè passi falsi che allargano le sue responsabilità fino a perderne completamente i contorni.

Foto di Claudia Pajewski
Foto di Claudia Pajewski

La luce notturna di un qualsiasi “fuori orario” suburbano accoglie le parole di un racconto tattile, la cui scrittura è ricca di elementi concreti e per questo credibile, ci sono oggetti, azioni, sensazioni tangibili che acquisiscono l’esistenza del personaggio e la rovesciano sulla scena. Affascinante come la logica del testo resti avviluppata a sé stessa, si decomponga in accessi di strade senza uscita, rivoli di piccoli torrenti prosciugati molto prima di raggiungere il mare largo di una verità sempre mancante, concertata tra sé, in origine, crollata in macerie là dove le sfumature si sovrappongono in un’immagine senza più nitidezza. Con la verità va in rovina anche l’esistenza di Lucio, scaraventato dagli eventi in uno spazio di manovra sempre più ridotto; non trova il modo di farsi capire, di uscire dalla morsa a cui i fatti sembrano inchiodarlo. La storia – pur con qualche ipertrofia drammaturgica da trattare con maggiore severità e con un rodaggio non ancora equilibrato delle sequenze tra la vicenda e l’azione scenica – sembra consumarsi nel disfacimento del corpo, della voce che perde quota, della fiducia che perde energia e lucidità; la dinamica regressiva è un deterioramento lento, cui un grande attore presta il corpo, dall’inizio alla fine in perfetta aderenza con questo racconto avvincente che indaga il confine tra colpa e responsabilità, trasferendo in platea il ruolo di un giudizio ricco di elementi ma privo di definizione, ormai sgranato come una foto corrotta. Siamo pronti per la verità? Per accogliere la sua disgregazione nelle molte sembianze, espressioni del nostro stesso volto?

Simone Nebbia

Short Theatre 11 – Settembre 2016
In scena anche al Teatro Civico 14 di Caserta

NESSUNO PUÒ TENERE BABY IN UN ANGOLO
con Valerio Malorni
scritto da Simone Amendola
collaborazione al testo Sandro Torella
scenografia Faisal Dasser Giulia Giorgi e Fosca Giulia Tempera
regia Simone Amendola, Valerio Malorni
Produzione Blue Desk
Residenze Produttive TAN teatri Associati di Napoli / Carrozzerie not, Roma
Con il sostegno di Festival Attraversamenti Multipli

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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